Clima ed energia, la via inglese

  • 4 Dicembre 2008

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Un report commissionato dal Governo britannico indica costi e tappe per raggiungere gli ambiziosi obiettivi nazionali sulle emissioni. Il prezzo? Un punto di Pil all'anno serve al Regno Unito per iniziare la transizione verso un'economia low-carbon.

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L’un per cento del Pil. E’ quanto costerà al Regno Unito nei prossimi 12 anni raggiungere l’ambizioso obiettivo sul taglio delle emissioni stabilito con la nuova legge sul clima, cioè la riduzione dell’80% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. È questo il dato più rilevante del report destinato al Governo inglese, “Building a low-carbon economy – the UK’s contribution to tackling climate change”, realizzato dal Commitee on Climate Change, l’organismo indipendente designato proprio dalla nuova legge che stabilisce i tagli sulle emissioni – il Climate Change Bill – a guidare i ministri nella lotta al global warming.

Per arrivare agli obiettivi al 2050 posti nel Climate Change Bill, lo studio raccomanda che nei prossimi 10 anni le emissioni di gas serra debbano essere ridotte di almeno un quinto rispetto ai livelli attuali. Al 2020, invece, l’obiettivo intermedio consigliato dall’organismo di consulenza è meno 34% rispetto al 1990, da innalzare a meno 42% nel caso si raggiunga un accordo globale sul clima. Cifre superiori di oltre 10 punti percentuali a quelle di cui si parla per il pacchetto clima europeo (riduzione del 20% da innalzare al 30% nel caso di un intesa mondiale).

Secondo il rapporto, in Gran Bretagna le emissioni dovranno essere ridotte realmente, così il ricorso a meccanismi di compensazione con investimenti in altri paesi (i progetti CDM) si dovrà adottare solo nel caso in cui si scelga di raggiungere l’obiettivo più alto, legato a un accordo mondiale.

Raccomandazioni che, se accolte dai ministri, comporteranno conseguenze rilevanti nella politica energetica. Occorrerà potenziare le rinnovabili – che al 2020 dovranno fornire il 30% dell’elettricità britannica – migliorare l’efficienza, promuovere i veicoli elettrici – raccomanda il CCC – ma anche installare nuova potenza nucleare, predisporre per il sequestro della CO2 le centrali a carbone, usare più biocarburanti. Altri provvedimenti da prendere vanno dalla riduzione delle emissioni tagliando l’uso di fertilizzanti in agricoltura, a programmi educativi per insegnare alla popolazione a risparmiare energia e carburante, o anche a passare a una dieta meno impattante per il pianeta, in quanto a emissioni (ad esempio mangiando meno carne).

Tutti consigli che il Governo britannico ha dimostrato di voler seguire, oltre che con alcune campagne di sensibilizzazione lanciate, già con le leggi approvate definitivamente la settimana scorsa assieme al Climate Change Bill: l’Energy Act che promuove, appunto, rinnovabili, nucleare e sequestro della CO2 e il Planning Bill che invece legifera sull’efficienza energetica nelle abitazioni e semplifica il processo di pianificazione per i grandi progetti di infrastrutture energetiche. Insomma, senza aspettare il pacchetto clima europeo (ne tanto meno cercare di ostacolarlo), il Regno Unito si appresta a prendersi un cospicuo vantaggio nei confronti degli altri paesi europei in materia di riduzione delle emissioni.

Vantaggio che, come emerge dal report, non costerà nemmeno tanto. La stima fatta, cioè un costo dell’1% del Pil da qui al 2020, secondo alcuni potrebbe essere sottodimensionata, perchè fatta prevedendo una crescita annua del 2% del pil, che forse non avverrà. Per altri osservatori, come i Friends of the Earth inglesi, sarebbe invece troppo alta: secondo loro anche puntare ad una riduzione del 42% al 2020 costerebbe meno dell’1% di Pil. Un prezzo – aggiungono gli esperti nel presentare lo studio – che vale la pena pagare visti i costi a lungo termine del non agire sul cambiamento climatico.

GM

4 dicembre 2008
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