Idrogeno, carburante del futuro non prossimo

  • 23 Settembre 2008

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Già dieci anni fa la diffusione di massa delle auto a idrogeno era annunciata come imminente, ma ad oggi la promessa non è stata mantenuta. Quali sono i punti deboli di questo carburante? Un articolo sull' Economist li indaga.

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L’era delle auto a idrogeno? È dietro l’angolo, ma molti anni. Già nel ’98 i vertici di General Motors parlavano di iniziare la produzione su larga scala di veicoli a idrogeno “entro il 2004 o prima”, e l’entusiasmo per questo tipo di motorizzazione negli anni scorsi ha contagiato molti, come l’amministratore delegato di Ford, Jacques Nasser, che, sempre nello stesso anno, prevedeva che l’idrogeno avrebbe sostituito il petrolio già durante il suo incarico (fu sostituito nel 2001).

Negli anni che sono trascorsi sono stati fatti grandi progressi nella tecnologia delle fuel cells; è comparso qualche distributore di idrogeno, ma le auto in circolazione ad oggi si limitano essenzialmente a pochi esemplari a scopo sperimentale, dimostrativo o promozionale. Cosa ha impedito finora a questa tecnologia di avere successo?

In un articolo apparso sull’Economist, Phil Wrigglesworth cerca di rispondere alla domanda. Uno degli ostacoli da superare – scrive – è quello della rete di distribuzione. Un problema del tipo “gallina o uovo”: perché realizzare le costose infrastrutture per rifornire le auto a idrogeno se queste non sono ancora in circolazione, e perché vendere auto a idrogeno se poi mancano le infrastrutture per il rifornimento?
Un problema che General Motors lamenta, a cui Honda ha cercato di ovviare sviluppando una sorta di minidistributore da mettere a casa che funziona attaccandosi al gas, che Shell Hydrogen crede si possa superare con una strategia fatta di reti locali che abbinino ad ogni centinaio di veicoli venduti un paio di distributori. Ma intanto gli impianti Shell dove ci si può rifornire di idrogeno oggi sono solo 6 nel mondo e il colosso petrolifero BP ha chiuso l’unico distributore di H2 che aveva, preferendo rivolgere le sue attenzioni ai biocarburanti.

La verità – scrive il giornalista dell’Economist – è che per decollare l’idrogeno ha bisogno di massicci investimenti pubblici. Che sta per altro ricevendo. A maggio il Parlamento europeo ha stanziato 470 milioni di euro per un’iniziativa su idrogeno e fuel cells, mentre negli Usa il programma Hydrogen Fuel Initiative del 2003, voluto dal presidente Bush, ha portato alla ricerca sull’idrogeno oltre un miliardo di dollari: soldi che, per alcuni come Severin Borenstein, direttore dell’University of California Energy Institute di Berkeley verrebbero “sottratti alla ricerca sulle fonti rinnovabili”.

Secondo uno studio dell’Oak Ridge Laboratory commissionato dal Dipartimento per l’energia americano per arrivare ad avere 10 milioni di veicoli a idrogeno sulle strade del paese al 2025, servirebbero fondi pubblici per 45 miliardi di dollari; la stima della National Academy of Sciences fatta a giugno è ancora più alta: 55 miliardi di dollari per avere 2 milioni di macchine al 2023.

Altro punto critico dell’idrogeno è quello della produzione: come sappiamo, l’idrogeno è solo un vettore, cioè un modo per trasportare energia, e deve essere prodotto utilizzando energia. I metodi più promettenti ed economici individuati dallo studio dell’Oak Ridge Laboratory sono nel produrlo dal gas naturale, direttamente nelle stazioni di servizio, o a partire da gas ottenuto da biomassa oppure da carbone in grandi impianti centralizzati. Metodi comunque costosi e, tranne per il gas da biomassa, con un impatto non trascurabile in termini di emissioni: il modello a fuel cells presentato quest’anno da General Motors, la Chevy Equinox, se alimentata con idrogeno ottenuto da metano avrebbe emissioni pari a 190 grammi di anidride carbonica per chilometro, da confrontare con quelle di modelli già sul mercato, come la Toyota Pryus ibrida elettrica – benzina che in un chilometro emette 104 grammi di CO2.

La via da seguire se si vuole che l’idrogeno contribuisca a ridurre le emissioni dunque è produrlo per elettrolisi con l’elettricità ottenuta da fonti rinnovabili o da nucleare. Ma se questa energia deve servire per il trasporto – fa notare Wrigglesworth – sarebbe molto più efficiente usarla direttamente per caricare le batterie dei veicoli completamente elettrici o ibridi già in commercio.

Insomma, gli ostacoli affinché l’idrogeno diventi il carburante del futuro non sono stati affatto superati. Una nota aggiuntiva in proposito va fatta sui costi delle fuel cells: produrre una Honda FCX Clarity, l’ultima vettura a idrogeno lanciata dalla casa giapponese, costa diverse centinaia di migliaia di dollari e anche se il prezzo, come ha dichiarato al New York Times la compagnia, “si spera scenda sotto i 100 mila dollari” entro una decade con una produzione più estesa, le auto a fuel cell resteranno probabilmente troppo care per una diffusione di massa.

Il commento che fa il giornalista dell’Economist alle previsioni di Shell e del Dipartimento per l’energia staunitense, che ritengono si possa arrivare a una presenza significativa di auto ad idrogeno sulle strade per il 2020, è molto significativo: “i proclami che affermano che l’idrogeno sarà il carburante del futuro sono veri oggi come lo sono sempre stati, l’idrogeno resterà il carburante del futuro ancora per molto.” Intanto la più concreta alternativa al motore a scoppio resta il veicolo elettrico (con lo step dell’ibrido) che è molto più testato e già presente sulle strade urbane di molti paesi industrializzati.

GM

23 settembre 2008
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