Il Financial Times teme l’esplosione di una bolla speculativa viste le probabili prossime ulteriori riduzioni. La spiegazione di alcuni analisti finanziari è strettamente connessa alla probabile e imminente fase recessiva che si sta percependo nei paesi industrializzati. In sintesi, spiegano, che nel corso di una recessione, ci sono meno soldi che circolano e la stessa domanda energetica tende a calare, ma tra le opzioni energetiche quelle che ne risentono maggiormente sono le più innovative, cioè le fonti rinnovabili che sono meno stabili e acclarate, a livello tecnologico e di mercato, rispetto alle fonti convenzionali.
Il prestigioso giornale economico britannico fa qualche esempio. Il titolo della cinese Suntech Power, società del fotovolatico quotata negli Stati Uniti, è risultato dall’inizio di quest’anno del 35% inferiore all’indice S&P 500 (era cresciuto di circa il 300% dall’inizio della sua quotazione borsa nel 2005). La britannica Clipper Windpower ha avuto un rendimento inferiore del 17% rispetto alla media del Ftse e la statunitense Pacific Ethanol ha scontato un divario del 15% con il Nasdaq. L’unica eccezione che viene citata è quella della società eolica danese Vestas, il cui titolo è cresciuto moderatamente dall’inizio del 2008, ma che aveva registrato una crescita addirittura del 700% dal 2005 a fine 2007.
Andando a dare un’occhiata anche al fotovoltaico e più nel dettaglio l’indice di Photon delle circa 30 maggiore società quotate in borsa (il cosiddetto PVPX), notiamo che il calo dal 1 gennaio 2008 è stato anche maggiore, cioè pari a quasi il 38%.
Per esempio il titolo della tedesca Q-Cells (seconda azienda al mondo nella fabbricazione di celle) ha registrato un calo del 44,8%, ma anche la norvegese REC (produttrice di polysilicon) ha avuto un tracollo e anche maggiore (57,3%). Dall’altra parte dell’Oceano, la Evergreen Solar ha visto calare il valore delle proprie azioni del 41%. Sempre in Cina i titoli della Yingli (che opera su quasi tutta la filiera) hanno perso la loro quotazione, sempre dall’inizio dell’anno, di una percentuale pari al 52%.
Nelle prossime settimane cercheremo di capire meglio i motivi profondi di questo andamento generalizzato dei titoli delle aziende “rinnovabili”. Un fatto è però certo: tutto ciò è in forte contraddizione con gli impegni e agli obiettivi che da alcuni mesi i governi delle grandi economie industrializzate si stanno dando sullo sviluppo dell’energia verde.
LB
18 febbraio 2008