Beretta ritiene impensabile potere adottare obiettivi ambiziosi come quelli che propone l’Europa e che non sia possibile raggiungerli chiedendo uno sforzo solo a una parte del paese. Il direttore generale ritiene che vada messo in piedi un piano “realistico” per la riduzione della CO2, che tenga conto che “l’industria italiana ha già fatto tanto nella sua capacità tecnologica per ridurre le emissioni, e che ci sono invece ampi settori che non sono stati nemmeno minimamente coinvolti”.
Ritenere che il 40% sia solo un modesto contributo, che l’industria italiana sia all’avanguardia dal punto di vista dei consumi energetici e alla fine ricorrere alla consueta minaccia di delocalizzare la produzione sembrano argomenti conosciuti, indice di una scarsa visione innovativa e di arroccamento su posizioni conservatrici.
In questo senso pronta la replica di Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera: “Dalla Confindustria italiana mi attendo un atteggiamento che non sia soltanto una contestazione e una lamentela sulla vessazione delle misure di emission trading, ma che sia l’acquisizione di uno scenario, come accade in altri sistemi produttivi del mondo”. “Negli Stati Uniti – spiega Realacci – una parte delle imprese che nel 1992 spesero decine di milioni di dollari per dimostrare che l’effetto serra non c’era, adesso sono protagoniste di una spinta affinché l’amministrazione sia più rigorosa su questi temi” (vedi “Ambiente, energia ed economia: uniti per sempre” su qualenergia.it).
Realacci cita anche una battuta, forse dell’amministratore delegato della General Electric, che alla domanda sul perché il gruppo avesse cambiato atteggiamento nei confronti dei limiti di Kyoto, ha risposto: “Se è chiaro che ci deve essere una cena, preferisco essere un convitato piuttosto che una pietanza”. Il Presidente della Commissione Ambiente conclude dicendo di aver “invitato Confindustria a non essere una pietanza nella sfida ai mutamenti climatici”.
LB
(Fonte: Dire Ambiente)
29 marzo 2007