La novità degli ultimi mesi è data dal fatto che a lanciare l’allarme sui rischi futuri legati al riscaldamento del pianeta non è più solo la comunità scientifica ma rappresentanti autorevoli del mondo delle istituzioni. Lo afferma a chiare lettere Blair (la più grave sfida che l’umanità dovrà affrontare in questo secolo), lo ribadisce il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan delineando a Nairobi i disastri che colpiranno i paesi in via di sviluppo.
Ma tutto ciò è maledettamente insufficiente. La Cina sta incrementando le proprie emissioni molto più di quanto fosse prevedibile quando si è adottato nel 1997 il Protocollo di Kyoto. Nel 2009 toglierà infatti agli Usa il primato mondiale della produzione di anidride carbonica. Ma, come gli altri paesi in via di sviluppo, si rifiuta naturalmente di prendere qualsiasi impegno futuro, forte anche della posizione Usa contraria ad impegni vincolanti.
Scenario tutto negativo dunque? Non proprio. Negli Stati Uniti sono molti i segnali di un possibile cambiamento. Le chiese evangeliche scalpitano perchè ritengono eticamente immorale la posizione di Bush, il passaggio di Congresso e Senato ai democratici mette in difficoltà la posizione della Amministrazione come si evince dalle prime dichiarazioni dei futuri responsabili delle Commisisoni ambiente ed energia. California e Stati del Nord-Est vanno per la loro strada nel definire strategie simil-Kyoto.
Ma soprattutto la cosa interessante è che il mercato ha fiutato l’avvio della inevitabile rivoluzione energetica che ci aspetta nei prossimi decenni. Significativi i dati sulla crescita delle fonti rinnovabili riportati nell’ultimo numero di Newsweek. Un business raddoppiato in soli due anni, da 30 a 63 miliardi di dollari tra il 2004 e il 2006. Un comparto che si avvia diventare, dopo il boom di internet, il prossimo settore trainante della finanza mondiale.
Gianni Silvestrini
18 novembre 2006