Un nuovo tentativo italiano per l’eolico ad alta quota

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Sfruttare i venti a centinaia o migliaia di metri di altezza è ancora un'impresa complessa. In Italia un nuovo progetto, KGM1, riprende il concetto del kite o ala collegato a un generatore. Obiettivo è un prototipo che possa superare i punti deboli di questa tecnologia che, anche da diversi investitori esteri, viene considerata molto promettente.

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Uno dei prototipi dei personaggi hollywoodiani è quello dell’eroe che pur essendo bersagliato dalla sorte e dai “cattivi”, trova sempre la forza di rialzarsi e di combattere, fino a trionfare nell’happy end.

Auguriamo un simile happy end anche a Marco Ghivarello, progettista industriale torinese, titolare della GHIVA Progettazione CAD, che ha deciso di afferrare e ricominciare a sventolare una delle bandiere più malridotte del mondo delle energie rinnovabili, quello dell’eolico di alta quota, portando avanti, quasi da solo, un nuovo progetto che, spera, riuscirà a superare i molti punti deboli che hanno finora affossato o ritardato sine die quello che, in apparenza, era uno dei più promettenti sistemi per produrre energia rinnovabile.

Come molti sapranno con eolico d’alta quota si intende lo sfruttamento dei venti a centinaia o migliaia di metri di altezza, là dove, liberi dall’impedimento di foreste, montagne e altri ostacoli naturali o artificiali, spirano con grande potenza e, da certe altezze in su, con continuità. Il tutto con impianti molto più leggeri e meno vistosi di quelli delle normali torri eoliche.

Per catturare quei venti non si può dire che siano mancate le idee, che si possono suddividere in due categorie: quelle che portano in quota il generatore elettrico, e quelle che lasciano a terra il generatore, portando ad esso la forza del vento in quota tramite ali o kite.

Nel primo caso i generatori, collegati a terra con un cavo elettrico, vengono montati su dirigibili, come nel caso della Magenn o della Altaeros, o su velivoli, come nel caso della Makani Power, dove l’aeromobile parte come un elicottero da terra, usando i generatori come motori, e poi usa il vento di alta quota per azionare i generatori collegati alle eliche.

Nel secondo caso, a portare la forza dei venti giù fino a un generatore a terra è un leggero kite o una più pesante ala rigida, che tira un cavo collegato al generatore, e che poi ritorna al punto di partenza richiamato indietro da un motore.

Gli esempi sono vari, uno dei più recenti è il progetto Skyfish della Stratodynamics, uno spinoff della NASA. Ma noi italiani conosciamo molto meglio il Kitegen, la società dell’ingegner Massimo Ippolito, che ha creato un prototipo di sistema di generazione eolica con kite, che però, in ormai una decina di anni di sviluppo, non è ancora riuscita a passare a una fase commerciale.

Nonostante tutta questa creatività e investimenti, come si sa, l’energia eolica si continua ancora ad ottenere nel mondo da “banali” turbine piantate a terra, che pescano il vento massimo a 100 metri di altezza, e non da questi impianti molto più leggeri e meno impattanti sul paesaggio.

L’alternativa ad alta quota sembra così difficile da far decollare che parrebbe impossibile che qualcun altro ci provi, per il timore di scottarsi, e invece, come detto, Ghivarello, che ha decenni di esperienza di progettazione automotive e aereonautica, oltre ad essere pilota di aliante e parapendio, e aver collaborato anche con Kitegen per diversi anni, ha annunciato il suo progetto, KGM1, che riprende il concetto del kite o ala collegati a un generatore, ma con alcuni miglioramenti che, secondo lui, dovrebbero evitare di fargli fare la stessa fine dei predecessori.

«Lavoro a questo progetto dal 2014, tutto a spese mie e del team che mi ha aiutato finora, ottenendo però recentemente due, modesti, finanziamenti da parte di aziende che, evidentemente, credono nei miglioramenti del progetto KGM1».

In particolare KGM1 si propone di intervenire su tre aspetti cruciali.

«Prima di tutto abbiamo rivisto la classica traiettoria a 8, detta Yo-Yo, disegnata in cielo dai kite per la generazione di energia, progettandone una differente, che offre molti vantaggi in termini di produzione ed efficienza. L’abbiamo iniziata a sperimentare in pratica e sarà presto oggetto di una tesi di laurea magistrale sotto la supervisione del Prof. Lorenzo Fagiano, del Politecnico di Milano, uno dei massimi esperti del settore. Un primo test condotto sul generatore prototipale, con un semplice kite commerciale, ha dimostrato che è una traiettoria realisticamente riproducibile».

Gli altri due obbiettivi principali sono la realizzazione di un generatore profondamente differente da quelli convenzionali utilizzati oggi, che sfrutti al meglio la nuova traiettoria, e una nuova ala semi-rigida, che aumenterà ulteriormente il controllo di volo e l’efficienza.

«L’intero progetto ha come linea guida la massima semplificazione di ogni sotto-sistema di bordo e a terra, software di controllo compreso, così da tenere possibili guasti, manutenzione e costi al minimo possibile, con l’obiettivo di ottenere un aumento di produttività nello sfruttamento del vento».

Sulla carta, tutto bene, ma quali sono gli obiettivi realmente raggiunti?

«Intanto abbiamo richiesto tre brevetti italiani su altrettante innovazioni, oltre a una richiesta di brevetto internazionale, e questo è un passo indispensabile per dare sicurezza agli investitori. Abbiamo poi costruito un primo prototipo, su cui compiere i test di volo e quelli di motorizzazione e software. Per passare a un prototipo completo da 5-10 kW, funzionante con un controllo automatizzato, serviranno 200mila euro, che spero riusciremo a raccogliere da vari investitori o grazie ad acceleratori tecnologici. Ma, chi crede in questa tecnologia può anche contattarci per investire direttamente. Con quei fondi potremo realizzare un dimostratore che, stimiamo, avrà un valore di 10 milioni di euro, come potenzialità di mercato, per esempio come generatore per piccole comunità off grid».

Una cosa che lascia perplessi, però, è che KGM1, almeno per adesso, è previsto funzionare a una altezza massima di 100 metri circa. Quindi non si può certo dire che vada a caccia di venti “di alta quota”, rinunciando alla loro potenza e continuità.

«Beh, è la stessa altezza a cui funzionano le turbine eoliche convenzionali, ma con il nostro sistema i costi sono una frazione dell’avere una torre con rotore. Operare a quell’altezza rende inoltre molto più semplice l’utilizzo, interferendo meno con il traffico aereo. Comunque i 100 metri di altezza, sono solo il primo passo».

Però, sinceramente, Ghivarello, non si sente un po’ Davide contro Golia: da una parte lei, con i suoi progetti in cantina e poche migliaia di euro di finanziamenti, e dall’altra aziende strutturate e al lavoro da anni, come Makani, che ha dietro i milioni di dollari di Google, o Ampix Power.

«Mah, anche loro, nonostante i cospicui finanziamenti, non risulta abbiano trovato una via per la produzione in serie, anche se, secondo notizie recenti, pare che Makani stia per iniziare a vendere energia, facendo funzionare il suo sistema off-shore. In ogni caso credo che il loro approccio sia viziato dall’eccessiva complicazione delle loro ali motorizzate, da una efficienza non eccelsa nello sfruttamento del vento e dalle difficoltà di trovare una assicurazione che copra le loro operazioni, per il rischio che tonnellate di generatori finiscano in testa a qualcuno. Se la nostra semplice e leggera ala riuscisse anche solo a raggiungere la loro efficienza di conversione energetica, ma ci auguriamo di fare meglio, considerato che i nostri costi sono una frazione dei loro, avremmo già ottenuto un prodotto estremamente competitivo».

E in fondo, alla fine, Golia fu battuto da Davide.

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