Un impianto per estrarre l’anidride carbonica dall’aria

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Una tecnologia per produrre CO2 nel luogo dove serve. Potrebbe essere usata per impieghi industriali, l’arricchimento dell’aria delle serre, per le bevande o anche per la produzione di “metano sintetico” come avverrà in un impianto dimostrativo a Foggia.

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L’ultimo rapporto Ipcc uscito pochi giorni fa e focalizzato sulla necessità di mantenere l’aumento delle temperature rispetto al XIX secolo a non oltre gli 1,5 °C, per la prima volta prende in considerazione lo scenario “overshooting”, quello in cui l’insufficiente riduzione delle emissioni porta la temperatura a superare i limiti di sicurezza, ma che, in un secondo tempo, riforestazione e nuove tecnologie di rimozione della CO2 dall’aria riportano nei confini “sicuri” nell’arco di alcuni anni o decenni.

Uno scenario molto rischioso, da seguire solo in caso di fallimento di ogni altra opzione, perché non si sa come il pianeta reagirà a questo aumento di temperature: si potrebbero anche innescare effetti di rinforzo spontaneo del riscaldamento, che impediranno ogni riduzione delle temperature.

Inoltre ci sono anche molti dubbi sulle reali possibilità tecnologiche di riassorbire abbastanza CO2 dall’atmosfera, un ambiente dove quel gas finisce enormemente disperso fra altri gas, 1 parte di CO2 ogni 2500 di azoto e ossigeno, e da dove poi estrarla richiede moltissima energia.

Per non parlare poi del problema di cosa fare delle decine di miliardi di tonnellate (ogni anno l’umanità aggiunge circa 30 mld di tonnellate CO2 fossile) così ottenute.

Nonostante tutti questi dubbi e difficoltà, c’è già chi lavora a un progetto del genere, e, anzi, è tanto avanti da aver già messo sul mercato un sistema “mangia CO2”, con il quale sono stati già realizzati tre impianti dimostrativi, uno dei quali inaugurato vicino a Foggia poche settimane fa.

L’azienda che li produce è la svizzera Climeworks e, in sintesi, il suo dispositivo è un grande ventilatore, inserito in un cilindro metallico, che spinge l’aria attraverso un filtro in cellulosa impregnato di amine, composti organici che si legano con la CO2 dell’aria.

Quando l’amina è satura di CO2, il cilindro si chiude, il filtro viene scaldato a circa 100 °C, spezzando il legame fra amine e CO2. Il gas così liberato, viene liquefatto con la pressione e pompato in serbatoi da dove può essere riutilizzato o stoccato sottoterra in modo definitivo.

Quando il filtro è ripulito, il cilindro si riapre e il ciclo inizia di nuovo

Nelle condizioni ottimali, il che vuol dire con aria non troppo secca visto che l’umidità è funzionale a legare amine e CO2, ogni cilindro rimuove dall’aria 50 tonnellate di CO2 in un anno (l’impianto di Foggia ha tre cilindri).

Ogni tonnellata rimossa, spiegano a Climeworks, richiede 2000 kWh di calore e 600 kWh di elettricità, con il calore che deve arrivare da sorgenti rinnovabili (per esempio geotermia) o come scarto di impianti industriali, e l’elettricità da rinnovabili, visto che se si usassero fonti fossili il bilancio perderebbe di senso.

Anche se rinnovabile, però, l’energia richiesta dal processo è decisamente impressionante: se, per ipotesi, si volessero rimuovere così i 30 miliardi di tonnellate di CO2 fossile emessi ogni anno dall’uomo, solo di elettricità servirebbero 18mila TWh, cioè tutta l’elettricità che il mondo produce in un anno.

Mentre l’energia termica necessaria sarebbe l’equivalente di quella ottenibile dalla combustione di 6000 miliardi di metri cubi di gas naturale, quasi il doppio della produzione mondiale annua.

Ovviamente non è questo lo scopo di Climeworks.

«Noi abbiamo dimostrato con la nostra tecnologia che si può produrre CO2 rimuovendola dall’aria, così come oggi la si ottiene da sorgenti naturali, o depurando i fumi delle centrali termiche. In questo modo si può anche produrre CO2 ovunque, proprio nel luogo dove serve, per esempio una fabbrica di bibite gassate, tagliando i costi di trasporto del gas liquefatto e non contando più su fonti, come le centrali a combustibili fossili, che, si spera, siano destinate nel tempo a scomparire».

«Per molti usi riteniamo che la nostra CO2 sia già competitiva con quella da altre fonti, una convenienza che aumenterà ancora se ci saranno incentivi alla sua rimozione dall’atmosfera», dice Louise Charles, direttrice comunicazione di Climeworks.

Gli usi della CO2 a cui puntano a Climeworks sono i suoi impieghi industriali (refrigerazione, estrazione senza solventi, ecc.), l’arricchimento dell’aria delle serre, l’aggiunta di gas alle bevande e la produzione di combustibili sintetici.

A quest’ultimo scopo verrà destinata la CO2 estratta in Puglia: facendola reagire con idrogeno, estratto dall’acqua per elettrolisi con energie rinnovabili, si otterrà del “metano sintetico”, combustibile che il progetto tedesco STORE&GO, punta a usare come sistema di accumulo di energia rinnovabile di lungo periodo.

Mentre gli altri impianti pilota di STORE&GO usano CO2 estratta dai fumi di centrali (che potrebbero essere anche le stesse che poi useranno il metano sintetico, chiudendo così il cerchio), quello di Foggia sarà l’unico a sperimentare con la CO2 estratta dall’aria, una scelta piuttosto bizzarra, visti i grandi consumi energetici richiesti a causa della sua diluizione.

Per ottenere un kg di metano, infatti, servono circa 0,25 kg di idrogeno, cioè circa 12 kWh elettrici per l’elettrolisi, contro i 15 kWh termici (cioè 7 kWh elettrici, ad essere ottimisti) che lo stesso metano produrrà poi bruciandolo.

L’ultima cosa che serve a questa forma di storage, non proprio efficientissimo, sembra quindi essere consumare tanta altra energia per estrarre la CO2 dall’aria: con il sistema Climeworks, per ottenere i 2,7 kg di CO2 necessari per produrre 1 kg di metano, serviranno invece ulteriori 5,4 kWh termici e 1,6 kWh elettrici circa.

«Noi forniamo solo i mezzi per estrarre CO2 dall’aria, non siamo coinvolti negli usi successivi», ribadisce Charles. «Il nostro obbiettivo di lungo termine, comunque, è creare non solo un nuovo metodo per fornire CO2 per gli usi consueti, ma anche prepararla per metodi di stoccaggio di lungo periodo, così da diminuirne la presenza in aria».

Ma non credete che pensare di estrarre CO2 dall’aria con delle macchine, sia come svuotare l’oceano con un cucchiaio?

«Noi non proponiamo certo queste tecnologie come esclusive; sono uno dei tanti metodi che si possono usare, affiancandole, per esempio, alla riforestazione».

Non c’è però il rischio che far credere che si possa risolvere il problema climatico con “magici” rimedi tecnologici, porti a un disimpegno nella riduzione delle emissioni?

«Non è certo la nostra intenzione, ma il punto è che purtroppo la situazione climatica è ormai così degenerata che non siamo più in condizione di poter scegliere un metodo o un altro: bisogna procedere parallelamente con tutte le diverse strategie, riducendo certo le emissioni, ma anche applicando ogni possibile metodo per ridurre la presenza di CO2 in aria».

Non sarebbe però più efficiente estrarre la CO2 dai fumi delle centrali termiche, dove è circa 1000 volte più concentrata che in aria, piuttosto che dall’atmosfera, per gli scopi climatici?

«Come detto con il nostro impianto la si può estrarre senza più essere vincolati a queste fonti fossili, che, si spera, vadano a sparire. Inoltre estrarre la CO2 dai fumi porta, al massimo, solo alla neutralità carbonica: tanta CO2 produco bruciando carbone o gas e tanta ne estraggo dai fumi, per poi stoccarla sotto terra. Cominciare a sperimentare, e intanto perfezionare, tecnologie che fanno lo stesso dall’aria, che possono essere installate ovunque, in migliaia di impianti più o meno grandi, grazie alla modularità del nostro sistema, è un primo passo per tentare di ottenere una riduzione netta della CO2 nell’atmosfera, e quindi direttamente del riscaldamento globale», conclude Charles.

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