Chiude in negativo, tra poche luci e troppe ombre, il bilancio delle principali associazioni ambientaliste sul concreto avvio della Transizione Ecologica del governo Draghi, a un anno dalla partecipazione alle consultazioni prima del giuramento dell’esecutivo.
Greenpeace Italia, Legambiente e WWF ritengono che sulle scelte relative allo sviluppo sostenibile e alle due principali emergenze globali in campo ambientale, il contrasto al cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, “non si siano messe in campo politiche e linee di intervento coerenti con i principi recentemente inseriti nella Carta Costituzionale e con gli obiettivi dell’European Green Deal, né aperto la strada a una trasformazione sistemica per coniugare ambiente e opportunità economiche”.
Il nuovo ministero della Transizione ecologica, che doveva rappresentare la più importante innovazione istituzionale di questa nuova stagione – si legge in un comunicato congiunto – non ha risposto alle attese su temi critici quali contrasto della crisi climatica, tutela della biodiversità, agricoltura sostenibile, economia circolare e inquinamento da plastica.
Sul cambiamento climatico e le scelte energetiche, per le tre associazioni, “si è perso tempo prezioso nell’alimentare un dibattito volto più ad enfatizzare le possibili difficoltà della transizione che i vantaggi, senza proporre soluzioni che comunque rappresentassero un’accelerazione delle politiche per la decarbonizzazione, anzi al contrario, andando spesso in controtendenza svuotando di significato e demonizzando la transizione energetica e ostacolando strumenti come quello del Superbonus, che invece dovrebbe essere corretto e stabilizzato.
Preoccupa anche “la mancanza di visione” sui veicoli elettrici “che non riconosce la trasformazione in atto e la necessità di elaborare e accelerare politiche industriali sistemiche”.
Le proposte del MiTe, si argomenta, hanno indebolito l’impulso sul rilancio delle fonti rinnovabili, tuttora al palo, senza rimuovere le barriere che ne rallentano la diffusione e in assenza di nuovi strumenti di partecipazione per ridurre le contestazioni territoriali e favorirne la realizzazione degli impianti, ma al contrario creando nuove problematiche e dando segnali scoraggianti per gli investitori, come sulla tassonomia e sul decreto contro il caro-energia.
Si è continuato, inoltre – accusano Greenpeace, Legambiente e WWF – a esaltare e cercare di allargare il ruolo del gas fossile (anche nella tassonomia europea) nonostante proprio il gas rappresenti la fonte energetica e di gas climalteranti predominante nel Paese e a rilanciare l’opzione nucleare, ripiegando sul tema della ricerca, già ampiamente finanziata, per rispondere a chi chiedeva conto dei risultati plebiscitari di ben due referendum. E ad oggi – si denuncia – sono state fatte solo insignificanti riduzioni dei 21,6 miliardi di euro di Sussidi ambientalmente dannosi stimati dal Mite per il 2020.
Le tre associazioni chiedono, quindi, di adeguare gli strumenti operativi tenendo conto dell’innalzamento dei target di riduzione delle emissioni climalteranti a livello europeo, avviando la conseguente revisione del Pniec (Piano Nazionale Integrato Energia Clima), “con un adeguato processo partecipativo e di consultazione, del resto previsto dalle normative comunitarie”. Ricordano, anche, come si attenda ancora la versione aggiornata e definitiva del Piano Nazionale per l’Adattamento al Cambiamento Climatico, nonostante il moltiplicarsi degli eventi estremi, dalle alluvioni alle ondate di calore, e la siccità, un atto importante per dare il via anche ad analoghe azioni a livello regionale e comunale, particolarmente in ambito urbano, evitando di promuovere progetti ormai superati.