Fotovoltaico e autoconsumo: tecniche e strategie

  • 16 Dicembre 2013

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1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

Il fotovoltaico ha percorso la sua prima fase evolutiva essenzialmente come sorgente di energia svincolata dalla rete elettrica. Fino a non molti anni or sono infatti, gli elevati costi delle celle rendevano l’energia fotovoltaica ampiamente fuori mercato, almeno se confrontata con le fonti tradizionali. Gli impianti fotovoltaici erano quindi considerati vantaggiosi solo se posti al servizio di utilizzatori lontani dalla rete pubblica oppure di utenze che risultava troppo oneroso alimentare diversamente.

Poi, verso la metà degli anni ’90, cioè all’incirca 20 anni or sono, sono cominciati i primi timidi tentativi di servizio in rete. I costi erano ancora esorbitanti ma costantemente in discesa e qualcuno ha cominciato a intravedere delle prospettive incoraggianti per questa tecnologia ancora relativamente nuova. E’ diventata poi opinione comune tra gli esperti che degli opportuni programmi di incentivazione avrebbero permesso una crescente diffusione del fotovoltaico e spinto i costi verso il basso, così da rendere questa tecnologia competitiva con le altre fonti energetiche. Il programma “tetti fotovoltaici” prima e i vari conti energia che si sono succeduti poi erano motivati da questo presupposto, solo che, anziché guidare uno sviluppo graduale della tecnologia, a un certo punto hanno provocato una rincorsa frettolosa e caotica per l’accaparramento delle tariffe incentivanti, con risultati altalenanti in termini di sviluppo industriale e occupazione.

L’obiettivo relativo alla potenza installata è però stato raggiunto, con più di 17 GWp in esercizio, e così pure la diminuzione dei costi di impianto, giunti a livelli che ormai consentono di parlare di grid parity almeno in molte zone del nostro Paese.

Tuttavia, il recente esaurimento delle tariffe incentivanti e l’attuale regolamentazione dello scambio sul posto, che impiega dei meccanismi quantomeno discutibili per la remunerazione dell’energia scambiata, spingono sempre più l’utente produttore a consumare direttamente la maggiore quantità possibile di energia prodotta. L’autoconsumo è quindi attualmente l’impiego migliore per l’energia fotovoltaica, ma perché questa operazione risulti energeticamente ed economicamente efficace è necessario che sia associata al soddisfacimento di bisogni reali e non a impieghi di discutibile utilità, se non del tutto fittizi. Ad esempio, scaldare l’acqua d’estate con delle resistenze elettriche costituisce certo un impiego dell’energia prodotta, ma se poi l’acqua calda così ottenuta viene utilizzata solo in minima parte, questa operazione non rappresenta altro che un finto autoconsumo, o, in altre parole, un escamotage finalizzato a nascondere uno spreco energetico ed economico.

E’ sempre importante invece ricordare che l’energia elettrica ha un valore importante e ogni sistema finalizzato al suo utilizzo deve essere tale da impiegarla al meglio. Negli ultimi anni molto si è fatto per ridurre i consumi e gli sprechi di energia elettrica a parità di prestazioni: si pensi ad esempio alle lampade a basso consumo o al miglioramento della classe energetica degli elettrodomestici. Nel caso dei veicoli elettrici poi, si stanno aprendo delle prospettive che ci consentiranno di vivere meglio, inquinando e spendendo meno.

L’autoconsumo non deve quindi mai diventare un pretesto per ritornare a tempi passati in cui si dava poco valore all’energia, o anche soltanto renderci meno sensibili al tema del risparmio energetico. Esso deve invece aiutare chi dispone di un impianto fotovoltaico anche piccolo (ma lo stesso discorso vale per il mini-eolico o altre energie rinnovabili) a comprendere meglio il potenziale energetico di cui dispone e a sfruttarne le possibili opportunità di impiego.

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2. VALUTAZIONE ENERGETICA ED ECONOMICA DEI SISTEMI ATTUALI

Le curve di produzione fotovoltaica

L’andamento nel corso della giornata della produzione di un impianto fotovoltaico dipende, come ovvio, dalle condizioni meteorologiche locali, le quali sono difficilmente prevedibili, pur presentando dei valori medi che, almeno in Italia, hanno una forte connotazione stagionale.

In generale, l’andamento della produzione media segue la classica curva a campana, come nel caso delle curve riportate in figura 1, ricavate per un impianto da 3 kW ubicato a Firenze, orientato a Sud, con inclinazione di 30° e privo di ombreggiamenti rilevanti.

La figura 1 mostra l’estrema variabilità della potenza prodotta nelle ore centrali della giornata che è pari, rispettivamente, a 876 W in dicembre e 2081 W in luglio, intendendo tali valori come medie mensili, mentre la rispettiva media calcolata sull’anno è pari a 1500 W. Anche la durata del periodo di produzione mostra una spiccata stagionalità, con un’ampiezza di circa 13 ore in luglio che scende a non più di 9 ore in dicembre.

Va anche ricordato che la variabilità stagionale, in termini di potenza massima e durata giornaliera, aumenta con l’aumentare della latitudine del sito. Anche l’inclinazione dei moduli fotovoltaici può giocare un ruolo importante in questo senso, infatti una disposizione tendente all’orizzontale accentua le differenze stagionali, mentre una disposizione più verticale tende a comprimerle, causando inoltre una diminuzione sensibile della durata della produzione giornaliera nei mesi più soleggiati.

Orientamenti diversi da quello a Sud, soprattutto se in presenza di inclinazioni elevate, tendono invece a deformare le curve di produzione, amplificandone i valori nelle ore del mattino in caso di rotazione verso Est, oppure nelle ore del pomeriggio se la rotazione avviene invece verso Ovest.

 

I carichi domestici e il loro andamento

Esistono alcuni studi riguardanti l’andamento dei carichi domestici che sono basati su indagini compiute su un certo numero di utenze-tipo in determinati periodi dell’anno.

Tuttavia, quasi mai i risultati ottenuti sono concordi, in quanto le varie indagini svolte in tal senso devono fare i conti almeno con i seguenti fattori di incertezza:

  • L’evoluzione dei consumi elettrici negli anni. Basti pensare al continuo incremento nell’utilizzo delle lampade a basso consumo, degli elettrodomestici in classe energetica elevata e alla sostituzione dei televisori CRT con i modelli a schermo piatto. Va ricordato, inoltre, il sempre più esteso ricorso ai condizionatori estivi e al riscaldamento a pompa di calore.
  • La variabilità delle curve di carico giornaliero. Queste possono differire significativamente nel corso della settimana, anche in considerazione dei giorni festivi. Inoltre, nel corso dell’anno vi sono notevoli differenze stagionali dovute al variare dei tipi di carico e della loro intensità di utilizzo. Queste differenze sono spesso accentuate dal passaggio dall’ora solare all’ora legale.
  • Comportamento differente degli utenti a seconda del territorio di appartenenza. Queste variazioni sono da imputare sia a consuetudini ed esigenze di carattere locale, che in considerazione delle differenze tra le aree urbane e le zone rurali o montane.

Risulta pertanto molto difficile parlare di andamento dei carichi per utenze-tipo. Vi sono tuttavia alcuni elementi comuni ai consumi per uso domestico sui quali è possibile effettuare delle considerazioni di carattere energetico allo scopo di valutare i consumi che è possibile traslare nel tempo e quelli che invece richiedono necessariamente un adeguato stoccaggio energetico.

In generale, si può considerare come non temporalmente trasferibile l’utilizzo dei seguenti apparecchi:

  • Elettronica di consumo
  • Illuminazione
  • Piccoli elettrodomestici da cucina
  • Frigorifero, congelatore, forno elettrico (con qualche eccezione)

Può essere invece considerato temporalmente trasferibile l’utilizzo dei seguenti apparecchi:

  • Lavabiancheria e lavastoviglie
  • Climatizzazione, riscaldamento e produzione ACS (solo parzialmente)
  • Asciugacapelli, ferro da stiro, aspirapolvere (con qualche limitazione dovuta alle emissioni acustiche)
  • Utensili per il “fai da te”, apparecchiature informatiche come computer, stampanti, ecc. (con alcune limitazioni)

Considerando i principali utilizzi temporalmente trasferibili, è comunque possibile fare una stima dell’energia giornaliera consumata che si presta ad essere riallocata mediante opportune strategie di gestione dei carichi, come riportato in tabella 1 (Autorità per l’energia elettrica e il gas 2009).

Occorre comunque considerare che, anche durante il normale utilizzo, molti carichi, sia temporalmente trasferibili che non, presentano degli assorbimenti discontinui. Tipicamente questo si verifica con le apparecchiature dotate di termostato (frigoriferi, congelatori, lavabiancheria, lavastoviglie), con gli utensili e con le stampanti.

E’ anche possibile tracciare una curva di carico medio giornaliero per le utenze domestiche, il cui andamento tipico è visibile in figura 2.

 

La destinazione dell’energia prodotta e la sua remunerazione

Attualmente, l’energia elettrica prodotta che fluisce verso la rete, quindi al netto degli autoconsumi, può essere valorizzata mediante lo scambio sul posto o il ritiro dedicato. La vendita a terzi invece, pur essendo un’attività libera, riguarda le imprese che posseggono alcuni requisiti minimi fissati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas.

I piccoli impianti optano generalmente per lo scambio sul posto, in quanto risulta essere generalmente più vantaggioso del ritiro dedicato, ma il meccanismo di calcolo è piuttosto complesso e per un suo approfondimento si rimanda ai riferimenti [GSE, 2013]. Nel seguito vengono riassunti alcuni concetti principali.

Come si può vedere dalla figura 3, l’energia prodotta da un impianto fotovoltaico, conteggiata dal contatore di produzione M2, è in parte utilizzata dalle utenze e in parte immessa in rete e conteggiata in uscita dal contatore di scambio M1. Le utenze, a loro volta, prelevano energia dalla rete quando la produzione fotovoltaica è inferiore ai consumi. Questa energia è conteggiata in ingresso dal contatore di scambio M1.

Per via della frequente mancanza di contemporaneità tra produzione fotovoltaica e consumi, dopo un certo periodo di tempo si verificherà che:

  • il contatore M2 avrà conteggiato tutta l’energia effettivamente prodotta dall’impianto fotovoltaico;
  • il contatore M1 avrà conteggiato in ingresso l’energia deficitaria corrispondente ai periodi di maggior consumo e minore produzione, mentre avrà conteggiato in uscita il surplus energetico dovuto ai periodi di minore consumo e maggiore produzione.

Lo scambio sul posto permette di compensare mediante rimborso il valore economico dell’energia prelevata nei limiti del valore economico di tutta l’energia immessa in rete. E’ importante sottolineare che lo scambio avviene sulla base del valore economico dell’energia immessa e non della semplice lettura del contatore M1.

Per mezzo dello scambio sul posto è possibile quindi farsi rimborsare parte della quota pagata nella bolletta elettrica al proprio fornitore per i prelievi effettuati dalla rete. Il rimborso avviene però nei limiti dell’energia immessa o, per essere più precisi, nei limiti del valore economico dell’energia immessa in rete nel corso dell’anno. Si tratta quindi di una compensazione economica tra prelievi e immissioni di elettricità.

Il contributo in conto scambio è composto da una quota energia e da una quota servizi di rete, quest’ultima per le sole componenti A e UC. Sono inoltre escluse le tasse, composte dalle accise e dall’IVA.

Nel caso in cui il valore economico dell’energia immessa superi il valore economico dell’energia prelevata si verifica un’eccedenza. Per le eccedenze sono possibili due possibili trattamenti: o la loro liquidazione monetaria, o la messa a credito del loro valore per l’anno successivo. Qualora si opti per la liquidazione monetaria delle eccedenze, queste ultime comprendono però unicamente la quota energia relativa all’utenza considerata, mentre invece le rimanenti voci della bolletta non vengono remunerate.

In definitiva, per quanto riguarda lo scambio, il cliente produttore, a fronte di una bolletta mensile o bimestrale relativa all’energia conteggiata in prelievo dal contatore M1, si vede rimborsare a conguaglio una cifra che, per ogni kWh scambiato, mediamente si aggira intorno al 60-70% del medesimo kWh acquistato.

Nel caso si vogliano recuperare le eccedenze facendosele rimborsare, il valore del kWh immesso scende ulteriormente e normalmente non supera il 50% di quello acquistato.

Queste differenze di prezzo giustificano un totale ripensamento dei sistemi di produzione e consumo, che devono sempre più tendere a interagire fra loro per incrementare quanto più possibile la quota dell’energia autoconsumata sul totale dell’energia prodotta.

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3. L’ACCUMULO ELETTRICO E LA SUA EFFICACIA

Metodi di accumulo

In assenza di qualsiasi sistema di accumulo, tutta l’energia elettrica prodotta deve essere istantaneamente consumata o ceduta, indipendentemente dal tipo o dall’ampiezza del sistema elettrico considerato. Di conseguenza, in tutti i casi nei quali occorre differire temporalmente produzione e consumo è sempre necessario introdurre una qualche forma di accumulo energetico.

Attualmente l’accumulo di energia elettrica può essere effettuato di mezzo di tecnologie che si basano su differenti principi di funzionamento. Tra queste vi sono:

  • Accumulatori elettrochimici
  • Sistemi ad aria compressa
  • Volani meccanici
  • Sistemi a idrogeno
  • Superconduttori
  • Supercapacitori
  • Bacini idrici

Ogni sistema tra quelli elencati presenta vantaggi e svantaggi. Alcuni di questi sistemi, come ad esempio i superconduttori, sono utilizzati con successo in applicazioni avanzate di grossa taglia, ma non sono ancora pronti per una diffusione su larga scala. Altri ancora, come l’accumulo con produzione di idrogeno sono stati ampiamente sperimentati ma in alcune applicazioni hanno deluso le aspettative rivelandosi meno performanti o più costosi del previsto. I bacini idrici, infine, sono già ampiamente sfruttati dalla rete elettrica nazionale ma, come si può intuire, sono di difficile realizzazione su piccola scala.

I restanti sistemi, ossia gli accumulatori elettrochimici (considerando tutte le possibili tipologie), i sistemi ad aria compressa e i volani meccanici, impiegano tecnologie mature, ma non sempre queste ultime sono anche commercialmente disponibili. Nel caso dei volani meccanici ad esempio, i fornitori sono ancora pochi, così come le taglie disponibili, il che ne rende la diffusione ancora piuttosto limitata. Una scarsa diffusione, attualmente si registra anche per i sistemi ad aria compressa, anche se i costi contenuti e la semplicità realizzativa ne suggerirebbero l’utilizzo in molte applicazioni.

Per i motivi ora esposti, nel seguito si farà riferimento unicamente ai sistemi di accumulo elettrochimico. La loro elevata diffusione e le numerose esperienze a riguardo rendono questi sistemi i principali attori nel campo dell’accumulo di energia elettrica, almeno per le taglie di impianto medio-piccole.

 

Le batterie di accumulatori

Come si è visto, quando si parla di accumulo di energia per impianti fotovoltaici di piccola e media taglia la scelta cade quasi sempre su batterie di accumulatori di tipo elettrochimico. Si tratta di fatto dei sistemi di accumulo energetico più conosciuti e diffusi e che, grazie alla loro modularità, permettono di venire incontro in pratica a qualsiasi esigenza.

Gli accumulatori di tipo elettrochimico costituiscono tuttavia una vasta famiglia, in continua evoluzione, nella quale le principali tecnologie che attualmente possono supportare le applicazioni fotovoltaiche sono:

  • Piombo-acido
  • Ioni di litio (li-ion) nelle varianti ossido di litio-cobalto, litio-fosforo, litio-manganese, litio-ossido di nichel, litio-ferro-fosfato
  • Nichel-metallo-idruro (NiMH)
  • Nichel-cadmio (NiCd)
  • Tecnologie ad alta temperatura (es. ZEBRA al nichel-cloruro di sodio)

Le batterie al piombo-acido sono le più diffuse e in generale sono economiche e robuste. Il peso elevato, rapportato all’energia immagazzinata, costituisce un grosso limite per le applicazioni mobili (auto elettriche, ecc.) ma è meno influente nelle applicazioni fotovoltaiche stazionarie.

Di fatto esistono molti tipi di batterie al piombo-acido, che approssimativamente possono essere raggruppati in tre tipologie: a vaso aperto, ermetici e con elettrolita in gel.

Gli accumulatori a ioni di litio sono anch’essi molto interessanti per le applicazioni fotovoltaiche, soprattutto nella tecnologia litio-ferro-fosfato (LiFePO4), la quale ultimamente ha beneficiato di alcuni importanti miglioramenti tecnologici, come ad esempio l’aggiunta di polimeri, che hanno reso questi dispositivi particolarmente performanti e sicuri (figura 4).

Per quanto riguarda le rimanenti tipologie di batterie, occorre considerare che le tecnologie ad alta temperatura come le ZEBRA (Zero Emission Battery Research Activities) hanno alcune limitazioni applicative dovute al mantenimento della temperatura di lavoro, intorno a 250 °C, la quale inevitabilmente tende ad abbassarsi nei periodi in cui le batterie non sono mantenute in carica.

Attualmente i sistemi di accumulo più utilizzati sono quelli con batterie al piombo-acido e quelli con batterie a ioni di litio. Questi ultimi sono più compatti e leggeri ma richiedono una gestione accurata dei processi di carica e scarica in quanto si degradano rapidamente a seguito di sovraccariche e di scariche profonde.

Il prezzo delle batterie al litio, a parità di kWh immagazzinato, è decisamente superiore rispetto al prezzo delle batterie al piombo acido, ma le migliori prestazioni e, in generale, la più lunga durata giustificano in molti casi il maggiore investimento.

 

I sistemi fotovoltaici con accumulo

I sistemi fotovoltaici con accumulo utilizzati in presenza della rete elettrica pubblica sono basati su criteri di progetto e componenti differenti rispetto ai sistemi fotovoltaici per servizio isolato, anche se permangono alcune affinità relative alla gestione dell’accumulo e al comportamento in caso di mancanza rete.

In figura 5 è visibile lo schema di principio di un impianto fotovoltaico dotato di accumulo, finalizzato alla riduzione degli scambi di energia con la rete.

La potenza prodotta dal generatore fotovoltaico passa attraverso uno stadio MPPT (Maximum Power Point Tracker) e arriva al gestore dell’accumulo, il quale si occupa di indirizzare tale potenza verso l’inverter e/o verso l’accumulo sulla base della differenza tra la potenza prodotta e quella consumata. L’obiettivo è di rendere questi valori per quanto possibile uguali e quindi se la produzione fotovoltaica è maggiore della potenza richiesta dai carichi una quota parte della potenza prodotta è trasferita all’accumulo, mentre in caso contrario dall’accumulo viene prelevata la parte di potenza mancante.

Nei limiti della capacità dell’accumulo, con lo schema di figura 5 è quindi possibile ridurre e in molti casi annullare l’energia scambiata con la rete, sia per quanto riguarda le immissioni che per quanto riguarda i prelievi. Il sistema di figura 5 è abbastanza semplice e si adatta molto bene agli impianti nuovi.

Nel caso di impianti esistenti, soprattutto se questi ultimi usufruiscono della tariffa incentivante, potrebbe non essere conveniente o possibile intervenire sull’impianto già realizzato, limitandosi invece ad aggiungere un sistema di accumulo separato lato corrente alternata come schematizzato in figura 6.

In questo caso il sistema aggiunto, costituito da accumulo, controllore e inverter bidirezionale, tiene conto della potenza in transito da e verso la rete. Esso interviene quindi assorbendo o restituendo un valore di potenza uguale a quello misurato in modo da compensare i flussi di potenza dovuti all’impianto esistente e ai carichi. L’effetto risultante nei confronti della rete elettrica è pressoché identico a quello ottenuto con il sistema di figura 5.

I sistemi rappresentati nelle figure 5 e 6 sono efficaci per quanto riguarda la riduzione degli scambi di energia con la rete ma, pur disponendo di una riserva di energia accumulata, non sono però in grado di far fronte alle interruzioni della fornitura di energia elettrica.

Se invece si desidera avere un sistema in grado di alimentare i carichi anche in caso di black-out è necessario disporre di qualche funzione in più. Con riferimento alla figura 7, le principali funzioni aggiuntive che un tale sistema deve possedere sono:

  • Sistema di interfaccia (SPI) esterno all’inverter che sia in grado, all’occorrenza, di separare l’impianto fotovoltaico e i carichi propri dalla rete.
  • Inverter in grado di modificare il proprio funzionamento sia per lavorare in parallelo alla rete che per gestire una propria rete isolata. Inoltre, la capacità di ricevere dal sistema di protezione di interfaccia o da altro dispositivo le informazioni circa lo stato della rete è fondamentale per potersi sincronizzare e riconnettere a questa in fase di richiusura della protezione.

Il funzionamento in commutazione da rete pubblica a rete isolata per un impianto come quello schematizzato in figura 7 è tutt’altro che banale, in quanto, volendo mantenere dei tempi abbastanza rapidi di commutazione sui carichi, è necessario che l’inverter sia in grado di elaborare le misure sulla rete molto velocemente per poi modificare altrettanto velocemente il proprio modo di operare.

Un limite evidente della configurazione di figura 7 è costituita dalla difficoltà a far fronte a periodi di disservizio medio lunghi, in quanto l’accumulo si trova a servire tutti i carichi allacciati senza che vi sia una distinzione tra carichi prioritari e carichi interrompibili. Come si vedrà più oltre, in questi casi una opportuna gestione dei carichi permette di incrementare notevolmente le prestazioni di questi sistemi.

Ci sono diversi esempi di inverter, disponibili sul mercati, che sono dotati di sistemi di accumulo per impianti fotovoltaici.

Occorre inoltre accennare all’esistenza di impianti fotovoltaici che, pur essendo stati concepiti per il servizio isolato, sono però in grado di interagire con la rete in vari modi, tra cui:

  • Caricare l’accumulo dalla rete nei periodi in cui l’energia prodotta dal generatore fotovoltaico è insufficiente.
  • Commutare i carichi o parte di essi dalla rete all’inverter e viceversa a seconda della disponibilità della fonte solare rispetto all’energia consumata.

Questi impianti si sono rivelati particolarmente utili nei Paesi in cui la rete è poco affidabile e presenta frequenti disservizi. Tuttavia, purché opportunamente dimensionati, possono trovare applicazione anche nei Paesi europei, tra cui l’Italia, in quanto la semplicità costruttiva degli inverter impiegati, che non devono rispondere alle complesse e mutevoli normative di connessione alla rete, rappresentano sicuramente un punto di forza per questi sistemi.

Una ulteriore categoria di impianti che può rivelarsi vantaggiosa in alcune applicazioni è rappresentata dalle piccole reti isolate. Tipicamente, in questi casi, vi è un gestore dell’accumulo con inverter bidirezionale in grado di sostenere la rete a tensione e frequenza costanti. I generatori e i carichi sono quindi collegati tra loro in parallelo a questa mini-rete elettrica, che può essere monofase o trifase. Al gestore dell’accumulo è demandato pertanto il compito di compensare il bilancio energetico complessivo, provvedendo ad accumulare energia quando questa è in eccesso per poi restituirla quando la rete lo richiede.

 

La normativa attuale

La connessione alla rete elettrica in Italia è regolata dalle norme CEI 0-21Regola tecnica di riferimento per la connessione di Utenti attivi e passivi alle reti BT delle imprese distributrici di energia elettrica e CEI 0-16Regola tecnica di riferimento per la connessione di Utenti attivi e passivi alle reti AT e MT delle imprese distributrici di energia elettrica (www.ceiweb.it e www.autorita.energia.it).

Le nuove edizioni di queste norme sono in fase di ultimazione e, a differenza delle precedenti edizioni, affrontano la tematica degli impianti di produzione dotati di accumulo e connessi alla rete soprattutto per quanto riguarda il conteggio dell’energia.

Negli schemi precedentemente descritti, per semplicità non sono stati evidenziati i contatori di energia, i quali sono però sempre presenti, analogamente a quanto avviene per gli impianti fotovoltaici tradizionali schematizzati in figura 3. In particolare si possono avere:

  • Il contatore bidirezionale di energia scambiata con la rete, installato in corrispondenza del punto di consegna, indicato come M1
  • Il contatore dell’energia prodotta, indicato come M2. Tale contatore, nella configurazione di impianto di figura 6 è di tipo monodirezionale e quindi se l’impianto fotovoltaico è già presente non subisce modifiche. Nell’impianto di figura 5 deve invece essere sostituito con uno di tipo bidirezionale al fine di evitare indebiti assorbimenti che potrebbero successivamente essere ceduti e conteggiati con la tariffa incentivante.

In corrispondenza del sistema di accumulo dell’impianto di figura 6 è inoltre necessario installare un contatore bidirezionale per la misura dell’energia in transito nel sistema (M3). In alternativa, è possibile installare un unico contatore bidirezionale sulla linea che arriva dall’insieme costituito da impianto fotovoltaico e accumulo.

In figura 8 sono rappresentate le tipologie possibili di inserimento dei contatori a seconda del tipo di impianto realizzato.

Va osservato che le normative di connessione alla rete variano da Stato a Stato, anche all’interno della stessa Unione Europea, benché possano presentare in molti casi aspetti simili tra loro. E’ quindi necessario che i prodotti utilizzati in Italia siano pienamente rispondenti alle normative prima menzionate con riferimento alla taglia di impianto considerata e al valore della tensione di fornitura, tipicamente in BT o in MT.

Altre norme di interesse specifico per gli impianti fotovoltaici con accumulo sono le seguenti (www.ceiweb.it):

CEI EN 62093 – Componenti di sistemi fotovoltaici – moduli esclusi (BOS) – Qualifica di progetto in condizioni ambientali naturali

CEI EN 62109-1 – Sicurezza degli apparati di conversione di potenza utilizzati in impianti fotovoltaici di potenza. Parte 1: Prescrizioni generali

CEI EN 62509 – Prestazioni e funzionamento di regolatori di carica per impianti fotovoltaici

CEI EN 61427 – Elementi e batterie di accumulatori per sistemi fotovoltaici (PVES) – Prescrizioni generali e metodi di prova

 

Gli aspetti riguardanti la sicurezza

In tema di sicurezza, per gli impianti fotovoltaici con accumulo possono essere fatte le medesime considerazioni applicabili agli impianti fotovoltaici tradizionali, con alcune aggiunte specifiche per il sistema di accumulo dell’energia.

Le batterie al piombo per uso stazionario presentano i ben noti problemi di formazione di idrogeno in caso di sovraccarica e pertanto è bene tenere conto di questa eventualità soprattutto nel caso di accumulatori a vaso aperto. Gli accumulatori ermetici e quelli con elettrolita in gel possono presentare anch’essi questo problema ma in misura minore. In genere il regolatore di carica tiene conto delle diverse tipologie di batterie impiegate e in questi casi interviene prima che la formazione di idrogeno e ossigeno vada oltre la capacità di ricombinazione interna dei singoli elementi. Se così non fosse, negli elementi delle batterie di tipo ermetico si potrebbe verificare la fuoriuscita dell’idrogeno prodotto dall’elettrolisi dell’acqua contenuta all’interno, che però in questo caso non può essere reintegrata, provocando così il danneggiamento irreversibile degli elementi.

Negli accumulatori a vaso aperto invece, il fenomeno della gassificazione dell’elettrolita non è di per se distruttivo, almeno se contenuto entro certi limiti, e quindi questa eventualità è in genere tollerata e in qualche caso anche cercata per limitati periodi di tempo da parte dei regolatori di carica.

I locali che ospitano le batterie al piombo, in particolare se a vaso aperto, devono quindi essere ben areati, eventualmente ricorrendo alla ventilazione meccanica. Occorre inoltre evitare la presenza di sorgenti di innesco della fiamma in prossimità delle batterie stesse. Al fine di dimensionare opportunamente le misure da adottare per la sicurezza dei locali batterie risulta particolarmente utile la norma CEI EN 50272-2 – Prescrizioni di sicurezza per batterie di accumulatori e loro installazioni. Parte 2: Batterie stazionarie.

Più di recente è stata pubblicata la norma internazionale IEC 62485-2Safety requirements for secondary batteries and battery installations – Part 2: Stationary batteries (www.iec.ch), la quale affronta tutti i principali aspetti riguardanti la sicurezza, inclusi quelli relativi agli shock elettrici. Il campo di applicazione comprende le batterie al piombo-acido, le NiCd e le NiMH.

Il comportamento delle batterie a ioni di litio differisce da quello delle batterie al piombo-acido per quanto riguarda la sicurezza e presenta degli aspetti specifici dipendenti dalla tipologia della cella, dall’elettrolita impiegato e dal costruttore. Alcuni problemi possono presentarsi in caso di sovraccarica e di scarica profonda, per cui il regolatore di carica deve evitare di portare gli accumulatori in queste condizioni. Gli effetti conseguenti a una gestione errata, soprattutto per alcune tipologie come quella all’ossido di litio e cobalto, in casi estremi possono infatti portare a fenomeni di thermal runaway, con conseguente incendio o esplosione del componente.

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4. LA GESTIONE DEI CARICHI ELETTRICI

Modelli di gestione

Come si è visto, è possibile incrementare l’autoconsumo dell’energia fotovoltaica prodotta con l’adozione di opportuni sistemi di accumulo. Tuttavia, oltre che sul lato produzione è possibile intervenire anche sul lato utenza aumentando la contemporaneità tra domanda e offerta di energia.

Una gestione dei carichi mirata a incrementare l’autoconsumo di energia può essere attuata in alternativa all’accumulo energetico oppure integrarsi con quest’ultimo, andando così a costituire un unico sistema di produzione e gestione dell’energia. In quest’ultimo caso l’accumulo avrebbe principalmente il compito di soddisfare i carichi non temporalmente trasferibili, mentre un apposito sistema di controllo delle utenze provvederebbe a regolare i carichi temporalmente trasferibili facendone coincidere l’entrata in funzione con i periodi di produzione fotovoltaica.

La figura 9 mostra lo schema di principio di un sistema di questo tipo. Si può notare che i carichi sono suddivisi in 3 categorie:

  • Carichi non interrompibili, ossia i carichi non temporalmente trasferibili e/o che per determinati motivi non possono essere soggetti a controllo o interruzione.
  • Carichi interrompibili intervenendo sull’alimentazione. In generale si tratta di carichi che non hanno particolari esigenze e possono essere disalimentati e rialimentati senza che questo ne comprometta la funzionalità, come ad esempio gli scaldacqua, i condizionatori e le pompe di calore, gli irrigatori e alcuni utensili. Per altri dispositivi più evoluti, come ad esempio gli elettrodomestici bianchi, occorre valutare caso per caso quando questa operazione è possibile senza che ne risulti compromessa la funzionalità.
  • Carichi intelligenti in grado di dialogare con un sistema di controllo, in modo da poterne trasferire il carico elettrico nei periodi più favorevoli, ma nel rispetto delle specifiche esigenze funzionali (es.: cicli di lavaggio per lavabiancheria e lavastoviglie).

La figura 9 si riferisce al caso più generale ma, ovviamente, potrebbero essere introdotte delle semplificazioni al sistema, escludendo ad esempio la possibilità di funzionare in isola, oppure eliminando la gestione dei carichi intelligenti qualora questa funzione non risulti attuabile o conveniente.

 

Gli elettrodomestici “intelligenti” e l’automazione dell’abitazione

Attualmente gli apparecchi per uso domestico in grado di dialogare con un sistema di controllo non sono molto diffusi e quelli disponibili sono spesso orientati alle funzioni tipiche degli impianti domotici (illuminazione, riscaldamento, sicurezza), oppure all’informazione e all’intrattenimento (televisori, computer). Inoltre, la comunicazione tra apparecchi di costruttori diversi non è sempre agevole e, anche se la maggior parte dei sistemi fa uso di protocolli standard, come ad esempio il Konnex (KNX), il significato delle informazioni scambiate non è sempre univoco. Per questo motivo si sta cercando di introdurre l’uso di linguaggi aperti, come nel caso dell’OpenWebNet, recentemente sviluppato da un gruppo di imprese italiane. Sarebbe poi utile che il sistema di controllo dei carichi potesse integrarsi e comunicare con un eventuale sistema domotico già presente.

E’ comunque importante sottolineare che in un sistema come quello illustrato in figura 9, la possibilità per l’utente di dialogare col sistema in modo chiaro e comprensibile è un requisito fondamentale. L’aggiunta di sistemi di accumulo e di controllo dei carichi agli impianti fotovoltaici non consente più comportamenti di tipo fit and forget, ma richiede invece una maggiore consapevolezza da parte dell’utente su ciò che il sistema sta facendo ed è in grado di fare, permettendo così di capire se le scelte effettuate si adattano ai profili di consumo esistenti e consentono quindi di raggiungere gli obiettivi sperati.

Inoltre, un sistema a cui è stato affidato il controllo di carichi, anche importanti, in un’abitazione deve poter essere utilizzato dagli occupanti in modo semplice e immediato, anche permettendo una sua facile esclusione in casi particolari e/o di emergenza. A titolo di esempio, in figura 10 sono riportate alcune schermate relative ad un sistema in commercio per impianti fotovoltaici con accumulo energetico.

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5. CONSIDERAZIONI FINALI E PROSPETTIVE FUTURE

Risulta sempre più evidente che l’autoconsumo dell’energia prodotta con il fotovoltaico consente di ottenere una maggiore remunerazione dell’investimento per via del notevole differenziale esistente, almeno in Italia, tra il prezzo dell’energia acquistata e il riconoscimento economico dell’energia ceduta alla rete, anche nelle ore di alto carico.

L’adozione di sistemi di accumulo può comportare inoltre degli ulteriori vantaggi, principalmente legati ad una maggiore autosufficienza energetica e alla possibilità di fronteggiare periodi di black-out più o meno lunghi. La scelta casomai riguarda il tipo di accumulo, se siano cioè preferibili le classiche batterie al piombo-acido o non sia invece meglio puntare sulle più compatte, leggere e performanti, anche se più costose, batterie agli ioni di litio.

Inoltre, la possibilità di incrementare la quota di energia autoconsumata ricorrendo a una gestione intelligente dei carichi rappresenta senza dubbio un’opportunità che, con un costo contenuto, permette di valorizzare significativamente l’effetto dell’accumulo. Il panorama tecnologico è tuttavia in evoluzione, in quanto è ancora scarsa la diffusione degli elettrodomestici bianchi in grado di dialogare col mondo esterno, ma è abbastanza evidente che non passerà molto tempo prima che anche questi comincino a risentire della tendenza attuale a connettere in rete tutti i vari oggetti che ci circondano.

La percentuale di energia autoconsumata, rispetto al totale prodotto, dipende ovviamente da molti fattori, alcuni dei quali non noti, primo fra tutti il profilo di carico dell’utenza. In linea di massima però, considerando un’utenza domestica media, per mezzo dell’accumulo è possibile portare l’energia autoconsumata anche a livelli del 60-70%, mentre se si aggiunge la gestione dei carichi tale valore tende a salire ulteriormente fino a tendere al completo autoconsumo nei casi più favorevoli.

Va però osservato che il principale fattore che contribuisce ad abbassare la media è spesso rappresentato dall’energia prodotta in estate nei periodi di ferie e festivi. In questi casi si è spesso in presenza di un surplus di energia che non trova utilizzo nei normali carichi domestici. Può quindi risultare illusorio cercare di raggiungere a tutti i costi il 100% di autoconsumo quando gli effettivi consumi energetici non lo consentono.

Nei casi in cui la produzione dovesse risultare comunque eccedente, conviene cedere alla rete il surplus energetico piuttosto che ricorrere ad impieghi fittizi che sfruttano poco e male (quando lo fanno) l’energia elettrica. Si consideri infatti che uno dei benefici effetti indotti dalla diffusione degli impianti fotovoltaici è stato quello di rendere gli utenti più consapevoli dei propri consumi elettrici. Questi utenti, proprio perché portati a dare maggiore valore all’energia elettrica, hanno spesso adottato comportamenti più virtuosi razionalizzando i propri consumi e utilizzando apparecchi di classe energetica elevata.

Questa tendenza deve essere incoraggiata anche in presenza di impianti che permettono di incrementare l’autoconsumo e quindi si può sicuramente affermare che a un maggiore autoconsumo non devono corrispondere maggiori consumi. E’ invece importante sfruttare tutte le opportunità che la tecnologia ci offre per impiegare al meglio le preziose risorse energetiche di cui disponiamo, prima fra tutte quella solare fotovoltaica.

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Riferimenti

  • Autorità per l’energia elettrica e il gas, Commissione Europea – LE NOVITÀ NEL MERCATO DELL’ENERGIA ELETTRICA E DEL GAS – www.autorita.energia.it
  • GSE (2013) – DISCIPLINA DELLO SCAMBIO SUL POSTO. Regole Tecniche. Edizione n. 1. Maggio 2013 – www.gse.it
  • Autorità per l’energia elettrica e il gas (2009) – DCO 37/09. IPOTESI DI INCREMENTO DELLA POTENZA PRELEVABILE NELLE ORE A BASSO CARICO PER UTENZE DOMESTICHE CON RILEVAZIONE DEI PRELIEVI PER FASCE ORARIE – www.autorita.energia.it
  • ENEA, Università di Pisa (2011) – RICERCA DI SISTEMA ELETTRICO. Dimostratore di casa attiva – www.enea.it
  • F. Groppi, C. Zuccaro – Impianti solari fotovoltaici a norme CEI – Editoriale Delfino
  • SunSim 7.1 – www.sunsim.it

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