La situazione del nostro paese è tragicomica, caratterizzata da decreti che dovrebbero accelerare la corsa delle rinnovabili e invece la rallentano. Un caso per tutti la delega alle Regioni nella definizione delle “aree idonee”.
La diffusione di solare ed eolico è disomogenea ed è decisamente frenata in molti casi (pensiamo alla situazione paradossale della Sardegna). Secondo una stima di QualEnergia.it, sono ben 66 i GW da realizzare entro il 2030, cioè in poco più di sei anni (Regioni e target rinnovabili 2030, ecco quanto c’è ancora da fare).
Sfide e opportunità non capite
Più in generale, è chiaro che il nostro governo non ha capito o non vuole capire, le sfide e le opportunità che si aprono. Sul fronte della generazione elettrica avremmo la possibilità di ridurre il consumo di gas, limitando quindi l’esborso economico per il paese.
Complessivamente nel 2023 la domanda di metano è calata del 29% rispetto al 2005. Eppure, si continuano ad ipotizzare nuovi gasdotti, malgrado, come ci ha ricordato Draghi, i prezzi al dettaglio e all’ingrosso del gas nella Unione europea siano da tre a cinque volte superiori a quelli degli Stati Uniti e della Cina, rappresentando quindi un forte ostacolo allo sviluppo.
Fortunatamente, ormai in Europa l’elettricità da sole e vento ha superato quella da gas e carbone e in molti paesi è oltre il 50% della produzione (Le nuove strade rinnovabili e i vecchi paradigmi fossili).
Del resto, la miopia riguarda anche altri settori. Anche nel caso della mobilità elettrica, infatti, prevalgono atteggiamenti di chiusura che arrivano fino alla richiesta di rivedere l’obbiettivo al 2035 per la fine della vendita di auto a benzina e diesel. Senza capire che, come per le rinnovabili, anche in questo ambito la rivoluzione è partita e non potrà essere fermata.
La difesa della produzione di auto a combustione interna, invece di incoraggiare investimenti sull’elettrico, rischia di accelerare l’importazione di auto cinesi a basso prezzo, mentre sarebbe opportuno pensare ad alleanze intelligenti per rafforzare la presenza produttiva europea e italiana in questo settore.
E il concetto di miopia potrebbe estendersi ad altri comparti, come nell’edilizia.
Non si è capito che siamo di fronte ad una transizione epocale in cui ci saranno inevitabilmente vincitori e vinti. Un passaggio che prevede una rivoluzione industriale e dei consumi. Dove tra le perdite, andranno incluse quelle dei territori che con sempre maggior frequenza subiscono i danni dell’emergenza climatica.
E ora rispunta la chimera nucleare
C’è poi la vicenda delle centrali atomiche che nel mondo vedono un calo percentuale del loro contributo, a fronte della crescita rapidissima delle energie rinnovabili (si veda il grafico).
Per l’Italia l’opzione dell’atomo ha dei contorni particolarmente bizzarri. Il governo, infatti, alla luce degli insuccessi dei reattori EPR in Europa e negli Usa, ha deciso di puntare sugli SMR e AMR, di piccola scala.
Parliamo di impianti che potrebbero entrare in funzione fra il 2035 e il 2040, sempre che i prototipi si dimostrino fattibili, cioè quando la quota di copertura delle rinnovabili elettriche sarà tra l’80 e il 90%. Oppure forse quando la percentuale sarà inferiore perché non è escluso che si cerchi di rallentare la produzione di energia pulita proprio per fare spazio al nucleare.
L’SMR più avanzato, lo statunitense Nu Scale, ha visto la marcia bloccata per i rischi finanziari (ma non dovevano essere poco costosi?). E, aspetto poco decoroso, la società statunitense vorrebbe adesso piazzarlo in Ghana. Un paese dove l’inadeguata fornitura di energia elettrica e le persistenti interruzioni di corrente sono costate annualmente all’economia del paese 680 milioni di dollari.
Naturalmente ci sono forti interessi e questo spiega perché diverse aziende si sono affacciate su questo scenario anche in Italia. Gli inevitabili incentivi pubblici fanno evidentemente gola.
Sarebbe invece molto più sensato per l’Italia e per l’Europa, vista l’inarrestabile crescita globale delle rinnovabili, accelerare la ricerca sugli accumuli di lunga durata, incrementare le interconnessioni elettriche tra vari paesi, avviare con serietà politiche per governare la domanda elettrica.
L’articolo è tratto dall’editoriale del n.4/2024 della rivista bimestrale QualEnergia (in uscita) (la prima parte è stata pubblicata ieri con il titolo “Le nuove strade rinnovabili e i vecchi paradigmi fossili“.)