Cosa significa la richiesta della Russia di farsi pagare il gas in rubli?

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È un nuovo passo nella militarizzazione del sistema finanziario internazionale che ruota intorno all'energia. Sullo sfondo il tentativo russo-cinese di indebolire gli Usa e il dollaro?

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Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

È leggibile in questo contesto l’annuncio del presidente russo Vladimir Putin, che ieri ha comunicato la decisione della Russia di voler essere pagata in rubli per le esportazioni di gas verso i paesi considerati “ostili”, cioè Stati Uniti, Regno Unito e tutti i membri dell’Unione Europea.

All’indomani dell’aggressione russa dell’Ucraina, l’Europa e gli Stati Uniti hanno imposto una serie di sanzioni economiche e finanziarie contro la Russia, innescando un forte calo del rublo e strozzando almeno in parte le capacità commerciali della Russia.

Poiché, però, la Russia rifornisce circa il 45% del gas consumato in Europa e come tutti i paesi emette titoli di Stato acquistati anche all’estero, le transazioni riguardanti, per esempio, la vendita di energia o il pagamento del debito, sono esenti dalle sanzioni. La Russia ha quindi potuto continuare a esportare gas e a onorare i pagamenti per il rimborso del proprio debito, anche dopo l’imposizione delle sanzioni.

Non è stata tanto l’esclusione della Russia dal sistema di comunicazione Swift dei pagamenti fra banche, che comunque possono continuare a transare per le voci più importanti dell’economia russa, quanto piuttosto il congelamento delle riserve valutarie che la Russia detiene all’estero, soprattutto negli Usa e in Europa, a innescare questo ultimo esempio di azione e reazione, cioè la pretesa della Russia di essere pagata in rubli per le esportazioni di gas.

Riserve sovrane congelate

Il congelamento delle riserve valutarie detenute all’estero da un paese sovrano è di per sé uno strumento di pressione usato finora molto raramente. I casi si contano su meno della dita di una mano, come per esempio nei confronti dell’Afganistan, e mai prima d’ora era stato applicato contro un paese dal ruolo strategico come la Russia.

L’escalation militare della Russia contro l’Ucraina ha innescato anche una escalation nella militarizzazione del sistema finanziario internazionale, cioè nel demandare ad azioni finanziarie ciò che una volta si sarebbe cercato di ottenere usando direttamente l’apparato militare.

Tale militarizzazione, finora, aveva preso la forma di sanzioni finanziarie applicate al commercio e all’economia. Adesso, e per la prima volta nei confronti di una potenza nucleare con un ruolo centrale nello scacchiere internazionale, è stata militarizzata la possibilità di accesso alla cassaforte di un paese, cioè alle sue riserve sovrane, al suo aggregato di surplus commerciali accumulati nei decenni.

Da un punto di vista squisitamente monetario, impedire alla Russia di accedere alle sue riserve di valuta detenute all’estero vuol dire impedirle di vendere dollari o euro sulle piazze internazionali per puntellare il rublo in caduta libera a seguito delle sanzioni.

Vuol dire, cioè, che la Russia non può usare le sue riserve valutarie estere per aumentare la domanda di rubli e accrescerne le quotazioni.

Risulta abbastanza intuitivo che se la Russia è impossibilitata a vendere dollari o euro per acquistare rubli, cercherà di costringere altri paesi a vendere dollari o euro al suo posto per acquistare rubli e far riprendere un po’ di capacità di acquisto ai propri cittadini, che vengono pagati e comprano in rubli.

Poiché il gas, e l’energia in generale, è la voce principale nella bilancia commerciale russa, la pretesa di Putin di essere pagato in rubli per le esportazioni russe di gas risponde meccanicamente al suo obiettivo di tutelare il rublo, in assenza di possibilità di farlo direttamente.

Dopo l’annuncio, il rublo ha guadagnato il 7% rispetto al dollaro, riducendo le sue perdite di quest’anno al 23%. Il prezzo di riferimento europeo del gas è salito fino del 34% dopo la richiesta di Putin, rincarando fino a 132,74 euro per MWh (adesso è sui 124 €).

Reazioni

Secondo il gigante russo del gas Gazprom, il 58% delle sue vendite di gas naturale in Europa e in altri paesi erano regolate in euro al 27 gennaio. Circa il 39% delle vendite è invece regolato in dollari, mentre il restante 3% in sterline.

Riuscirà Putin a far pagare il gas russo in rubli e non in euro?

“La mia opinione è che paghiamo in euro perché pagare in rubli sarebbe un modo per evitare le sanzioni, quindi penso che continueremo a pagare in euro“, ha detto ieri il consigliere economico del primo ministro Mario Draghi, Francesco Giavazzi, al Bloomberg Capital Market Forum a Milano.

Il ministro dell’economia tedesco, Robert Habeck, ha definito la richiesta di Putin una violazione dei contratti, che prevedono pagamenti in euro.

“Questo costituirebbe una violazione delle regole di pagamento incluse negli attuali contratti”, ha detto una fonte governativa polacca di alto livello, aggiungendo che la Polonia non ha intenzione di firmare nuovi contratti con Gazprom dopo che il loro attuale accordo scadrà alla fine di quest’anno.

Un portavoce del fornitore di gas olandese Eneco, che compra il 15% del suo gas dalla filiale tedesca di Gazprom, Wingas GmbH, ha detto a Reuters che la sua azienda ha un contratto a lungo termine denominato in euro e che “non posso immaginare che accetteremo di cambiarne i termini“.

Diverse aziende, tra cui Eni, Shell, BP, RWE e Uniper – il più grande importatore tedesco di gas russo – non hanno voluto fare commenti. Putin, da parte sua, ha detto che il governo e la banca centrale russi hanno una settimana di tempo per trovare una soluzione sul trasferimento delle operazioni in rubli e che Gazprom avrebbe ricevuto l’ordine di apportare le corrispondenti modifiche ai contratti.

Chi la spunterà?

Difficile dire chi la spunterà sulla questione del pagamento in rubli, anche se, in questo periodo di eventi senza precedenti, non ci sarebbe da sorprendersi se dovessimo vederne altri, finora inimmaginabili.

Quel che appare via via più evidente è che, a prescindere dall’esito della guerra in Ucraina, azioni come questa riguardante il pagamento del gas in rubli, rientrano nell’ambito dei tentativi da parte di potenze come la Russia e la Cina di indebolire gli Stati Uniti e l’architettura monetaria internazionale basata sul dollaro, quella sorta dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale, e di creare un’alternativa multi-polare o comunque diversa – tentativi che in un modo o nell’altro ruotano sempre attorno all’energia.

Può essere letta sotto questa luce anche l’indiscrezione della settimana scorsa del Wall Street Journal, secondo cui l’Arabia Saudita è in trattative con la Cina per compravendite di greggio prezzate in yuan, cioè nella valuta cinese in sostituzione del dollaro.

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