Regolazione della rete: fare soldi con le super batterie, abbandonando i vecchi metodi

Il caso della super batteria Tesla nel South Australia che ha fatto triplicare le entrate nei primi sei mesi del 2020. Vantaggi anche per gli utenti.

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Per Napoleone era meglio avere al proprio fianco un generale fortunato, che un generale bravo.

Non sarà vero in tutti i casi, ma certo questa caratteristica sembra adattarsi bene a Louis de Sambucy, direttore della sezione australiana di Neoen, una società francese di costruzione e gestione di impianti a rinnovabili (ne hanno 3 GW nel mondo), diventata famosa perché accanto alla sua centrale eolica di Hornsdale, nel South Australia, è stata costruita nel 2017 la Tesla Big Battery, al tempo il sistema di accumulo più grande che il mondo avesse mai visto.

La “super batteria” di Tesla, allora 100 MW-129 MWh basati sugli accumulatori montati sulle omonime auto elettriche, dopo che Elon Musk l’aveva realizzata in soli 100 giorni “per scommessa”, è stata acquistata dalla Neoen, che la gestisce.

L’acquisto si è rivelato decisamente fortunato, appunto: pagata 60 milioni di euro, nel solo primo anno di attività ne ha incassati 15, grazie alla precarietà della rete elettrica del South Australia.

Come raccontammo allora, la possibilità della batteria di fornire servizi quasi istantanei di correzione della frequenza e di spostamento del carico, ha salvato gli utenti del South Australia da più di un blackout, provocati da eventi meteo estremi che vanno a impattare sulle lunghissime linee elettriche necessarie a collegare la dispersa popolazione locale, oppure da inconvenienti alle vecchie centrali termiche a carbone o dai picchi estivi di carico che avvengono quando tutti insieme attaccano i condizionatori d’aria nelle ore più calde.

Questi servizi di regolazione della rete sono molto ben pagati in South Australia. E ciò ha trasformato la Tesla Big Battery in una tale gallina dalle uova d’oro, in grado di produrre in un anno guadagni pari a un quarto del costo dell’investimento, che Neoen ha deciso di aumentarne potenza e capacità di accumulo.

Così tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, nuove centinaia di batterie Tesla sono arrivate ad Hornsdale, e aggiunte al corpo esistente, fino a portare il sistema di accumulo a una potenza di 150 MW e 194 MWh: un upgrade che è costato alla società francese altri 43 milioni di euro.

Un fardello di spesa notevole da recuperare, si potrebbe pensare, ma di nuovo la buona stella di de Sambucy si è manifestata: gli incassi dal servizio di storage della centrale di Horsdale nei primi sei mesi dell’anno, sono passati dai 5 milioni di euro del 2019 ai 15 del 2020!

A farli triplicare è stato a fine gennaio un tornado che ha distrutto un nodo fondamentale della rete del South Australia, l’interconnessione di Heywood, che la collega a quella dello stato di Vittoria.

Questo ha reso di fatto, e per ben 18 giorni, il South Australia un’isola staccata dalla rete nazionale australiana, costretta a bilanciare domanda e offerta con le sue sole “forze”, senza poter contare su import ed export di elettricità.

In altri tempi i regolatori della rete non avrebbero avuto altra scelta che chiedere a tutte le centrali elettriche locali di restare continuamente a disposizione per quelle settimane di isolamento forzato, pronte ad alzare e abbassare l’offerta per seguire la domanda momento per momento, pagando veramente molto cara questa loro disponibilità.

Ma per fortuna dei cittadini del South Australia sono ora a disposizione nello Stato tre grandi sistemi di accumulo, oltre a quello di Horsdale, Dalrymple (30 MW/8 MWh) e Lake Bonney (25 MW/52 MWh), che hanno dato un contributo essenziale a assorbire gli eccessi di produzione e soddisfare i picchi di domanda, a un costo molto inferiore di quello che sarebbe stato necessario a mantenere le centrali termiche sempre pronte a intervenire per quasi venti giorni.

Il guasto ha quindi pesato relativamente poco sulle bollette degli utenti del servizio elettrico, ma è stato comunque una pioggia di denaro inaspettata per i gestori di accumulatori, e soprattutto per quello, Neoen, che aveva appena sborsato un sacco di soldi per l’upgrade, e che si è visto “rimborsare” di colpo per quasi un terzo del totale, in appena sei mesi dal suo avvio.

Quanto accaduto a gennaio è stato però un colpo di fortuna anche per la Australian Energy Market Operator, che ha scoperto quanto siano più convenienti le batterie per regolare la rete, piuttosto che i vecchi metodi.

Ora farà di tutto per espandere il loro uso a tutta la nazione; Darren Miller, amministratore delegato della Australian Renewable Energy Agency, che aveva contribuito con un finanziamento di 5 milioni di euro all’espansione dell’impianto di Hornsdale, ha affermato che “i dati che derivano dall’evento di gennaio, mostrano come le batterie siano in grado di offrire preziosi servizi ancillari alla rete a costi competitivi. Questo creerà un incentivo a costruirne degli altri in tutta l’Australia, favorendo così enormemente la penetrazione delle rinnovabili nel nostro sistema elettrico”.

Un messaggio che de Sambucy, il “fortunato”, ha colto al volo, annunciando che Neoen proporrà l’installazione di altri 800 MW di impianti di accumulo per la rete in Australia.

All’orizzonte ci sono molti altri tornado.

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