Storage, il South Australia e la nuova “spacconata” di Elon Musk

“Aggiusto il sistema elettrico in 100 giorni con le batterie o non mi pagate il lavoro”, così il fondatore di Tesla si propone di sistemare gli squilibri della rete elettrica dello Stato australiano. Una sparata sì, ma realistica: lo storage elettrochimico ha già mostrato di poter fornire molta flessibilità e in tempi rapidissimi.

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Il South Australia è un terreno di sfida interessante per vedere dove andranno i sistemi elettrici del futuro e come sarà soddisfatta la crescente domanda di flessibilità che si presenterà con la crescita delle rinnovabili non programmabili.

Lo Stato australiano, dotato di quantità rilevanti di potenza da eolico e fotovoltaico, ha mostrato di recente l’inadeguatezza del suo sistema elettrico. Di recente, infatti, è stato colpito da diversi black out, l’ultimo a febbraio. mentre ce n’erano stati altri a settembre.

Sotto accusa – soprattutto nelle interviste rilasciate dal premier australiano, esponente liberale e fautore del carbone Malcolm Turnbull – sole e vento, cioè il fatto che il sistema elettrico del South Australia sarebbe troppo dipendente da fonti non programmabili come, appunto, il fotovoltaico e l’eolico.

In realtà, uno dei black out di settembre è stato causato dalla concomitanza di un guasto in una centrale a gas con l’interruzione di un grande elettrodotto; mentre quello di febbraio è stato provocato da impianti a turbogas che non hanno risposto adeguatamente (qualcuno dice in maniera intenzionale) all’appello arrivato sei ore prima dal gestore di rete che chiedeva di aumentare la produzione per far fronte ad un picco di domanda inatteso.

In ogni caso, è chiaro che il South Australia ha bisogno di più flessibilità e che questa potrebbe venire dai sistemi di accumulo, tanto che l’Australian Renewable Energy Agency (Arena) di recente ha creato un fondo di garanzia da 450mila dollari australiani per studiare un sistema a pompaggio idro nel Golfo di Spencer.

Molto più rapida come soluzione, rispetto ai bacini idroelettrici che sono la soluzione ad oggi con i minori costi, è la strada delle grandi batterie per la rete. Ed è qui che entra in gioco Tesla.

Ieri, giovedì 9 marzo, Lyndon Rive, vicepresidente di Tesla, per la parte dei prodotti energetici ha dichiarato alla stampa australiana che l’azienda sarebbe in grado di fornire al sistema elettrico dello Stato meridionale i 100-300 MWh di accumulo che sarebbero necessari ad adeguare il sistema elettrico.

Grazie alla capacità produttiva della nuova Gigafactory in Nevada, ha affermato, Tesla riuscirebbe a fornire e installare le batterie in soli 100 giorni.

A questo punto arriva la sfida di Elon Musk. Su Twitter, Mike Cannon-Brookes, australiano cofondatore della start-up informatica Atlassian, ha chiesto al fondatore di Tesla se fossero seri nel affermare di essere in grado di fornire quella capacità di accumulo in quei tempi.

La risposta di Musk non si è fatta attendere: “Tesla garantirà che il sistema sia installato e funzionante entro 100 giorni dalla firma del contratto. Oppure lo faremo gratis. È abbastanza serio per te?”.

Tesla di recente in California ha in effetti realizzato un sistema di storage per la rete da 80 MWh in soli 90 giorni.

Proprio l’operazione californiana ha mostrato quanto gli accumuli chimici di grande taglia siano ormai una soluzione mainstream per fornire flessibilità ai sistemi elettrici.

Nello Stato americano, infatti, una enorme fuga di gas avvenuta nel 2015 all’impianto di stoccaggio di Aliso Canyon, ha portato i regolatori della rete a chiedere soluzioni alternative alle centrali a gas per fornire flessibilità al sistema e – a tempo di record – sono entrate in funzione le 3 più grandi installazioni di storage elettrochimico per la rete al mondo.

Tesla, Greensmith Energy e AES Energy Storage hanno, infatti, inaugurato tre enormi accumuli agli ioni di litio, due da 20 MW (e 80 MWh) e uno da 30 MW (e 120 MWh), per un totale di 70 MW. Tutto questo nel giro di sei mesi dall’avvio del progetto, con Tesla che, come detto, ha completato il suo impianto addirittura in 3 mesi.

Le installazioni assorbiranno l’energia in eccesso nei picchi di offerta – come la produzione del fotovoltaico durante le ore centrali del giorno – e la restituiranno nei picchi di domanda, ad esempio in quello serale, rimpiazzando in parte il ruolo di impianti flessibili come i cicli combinati a gas.

Quanto è avvenuto è storico sia per la scala dei progetti sia perché potrebbe segnare l’inizio di un’era in cui le batterie scalzeranno il termoelettrico nella copertura dei picchi di domanda.

Dopo la California è ora il turno del South Australia?

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