Le reazioni alla Direttiva edifici green. Come andrà a finire?

Il governo italiano annuncia battaglia al Consiglio Ue per modificare il testo votato al Parlamento. Si stima che circa 1,8 milioni di edifici dovranno essere riqualificati al 2030 nel nostro Paese, ma i numeri sono ancora approssimativi.

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Come andrà avanti la nuova direttiva europea sugli edifici green?

Dopo il voto di ieri del Parlamento Ue in plenaria, che ha approvato, con 343 favorevoli, 216 contrari e 78 astenuti, il testo della Epbd (Energy efficiency of buildings directive), il governo italiano ha annunciato che farà di tutto per modificare il provvedimento nei negoziati tra gli Stati membri al Consiglio.

A favore hanno votato gli eurodeputati italiani eletti con Pd, M5S e Verdi, mentre quelli di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia sono stati contrari.

Un punto molto dibattuto in queste ore è quanti edifici saranno presumibilmente coinvolti dal primo step previsto dalla Epbd, cioè portare gli edifici residenziali più energivori almeno in classe E al 2030.

Il testo definisce “la classe di prestazione energetica G come il 15% del parco immobiliare nazionale di ciascuno Stato membro con le prestazioni peggiori” (neretti nostri).

In pratica, la Epbd propone di armonizzare le classi energetiche a livello Ue, in modo da assicurare “che gli sforzi analoghi di tutti gli Stati membri siano raffrontabili”.

Calcolando il 15% degli edifici residenziali totali in Italia (quasi 12 milioni e mezzo), si ottiene il dato che sta circolando sulla stampa: 1,8 milioni di immobili in classe G che andranno riqualificati ai sensi della direttiva.

Ma si tratta di una stima ancora un po’ grossolana. La cifra finale degli immobili coinvolti potrebbe cambiare, poiché dipenderà da diversi fattori, tra cui le varie esenzioni previste dalla direttiva e come i singoli Stati membri decideranno di applicarle.

Le reazioni

Le reazioni politiche hanno avuto toni particolarmente duri, come del resto era successo nelle settimane che hanno preceduto il voto a Strasburgo.

Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, su Twitter ha scritto che la direttiva è “una patrimoniale contro l’Italia” e una “mazzata economica”.

Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, evidenzia in una nota che la direttiva “è insoddisfacente per l’Italia”, annunciando che nei prossimi negoziati con gli Stati membri al Consiglio Ue, per concordare il testo definitivo, “continueremo a batterci a difesa dell’interesse nazionale”.

Con il testo attuale, ha aggiunto, “si potrebbe prefigurare la sostanziale inapplicabilità della direttiva”.

Mentre l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) condivide l’impostazione generale della direttiva e ritiene “indispensabile” un grande piano di riqualificazione energetica degli edifici italiani, chiedendo però di “individuare strumenti e fondi che consentano di adattare le previsioni alla realtà italiana”.

D’altronde, nei giorni scorsi, la maggioranza alla Camera ha approvato una mozione che impegna il governo a adottare “le iniziative di competenza presso le istituzioni europee al fine di scongiurare l’introduzione di una disciplina della direttiva Epbd, nell’ottica di tutelare le peculiarità dell’Italia e, dunque, garantire al nostro Paese la necessaria flessibilità per raggiungere obiettivi di risparmio energetico più confacenti alle proprie caratteristiche” (neretti nostri).

Ed è su questa mozione che conta anche Confedilizia per arrivare a cambiamenti favorevoli all’Italia, con il presidente, Giorgio Spaziani Testa, che ha ringraziato gli eurodeputati della maggioranza che hanno votato contro la Epbd.

Insomma, con queste premesse è evidente che l’Italia cercherà di bloccare il cammino della direttiva nei negoziati al Consiglio, contando sui malumori di altri Paesi sui nuovi obblighi di ristrutturazione delle case.

Il rischio è che possa ripetersi lo stallo che ha interessato il nuovo regolamento Ue sullo stop alle auto endotermiche dal 2035, con Italia e Germania che sono riuscite a fermare l’iter finale del provvedimento (il voto al Consiglio Ue), chiedendo nuove concessioni a Bruxelles.

Riepilogo delle principali novità

Riproponiamo il riepilogo dei punti principali della direttiva Epbd.

Il testo è sostanzialmente quello votato a febbraio dalla Commissione Itre (Industria, ricerca ed energia) del Parlamento europeo, con il compromesso raggiunto tra le principali forze politiche (Ppe, S&D, Renew, Verdi e sinistra) grazie al lavoro portato avanti dal relatore della Epbd, il verde irlandese Ciarán Cuffe.

Tra i punti più dibattuti e controversi, come anticipato, figurano i target di rinnovamento energetico per gli edifici residenziali: questi ultimi dovranno essere almeno in classe energetica E al 2030 e D al 2033.

Gli immobili pubblici dovranno invece raggiungere le stesse classi, rispettivamente, entro il 2027 e 2030.

L’aggiornamento delle prestazioni energetiche (tramite lavori di isolamento o miglioramento del sistema di riscaldamento), è richiesto quando un edificio viene venduto o sottoposto a un’importante ristrutturazione o, se è in affitto, quando viene firmato un nuovo contratto.

Ciascuno Stato membro dovrebbe stabilire le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi, tramite i piani nazionali di ristrutturazione. In sostanza, per tenere conto delle diversità nazionali, la classe G, come detto, deve comprendere il 15% degli edifici meno efficienti del parco edilizio di ogni Paese.

Sono previste diverse deroghe: ad esempio, gli Stati membri potranno esentare dagli obblighi gli edifici tutelati e quelli a uso temporaneo, oltre a chiese e luoghi di culto. Prevista anche la possibilità di esentare l’edilizia sociale pubblica, se i lavori di riqualificazione farebbero aumentare gli affitti in modo sproporzionato, rispetto ai risparmi conseguibili nelle bollette energetiche.

Altre deroghe dagli obblighi di ristrutturazione sono previste per le case indipendenti con superficie calpestabile inferiore a 50 mq e per le seconde case (immobili usati meno di quattro mesi all’anno o, in alternativa, per un periodo limitato dell’anno e con un consumo energetico previsto inferiore al 25% del consumo che risulterebbe dall’uso durante l’intero anno).

Gli Stati membri potranno anche rivedere gli standard minimi di prestazione degli edifici residenziali – classe E al 2030 e D al 2033 – per ragioni di fattibilità economica e tecnica dei lavori di ristrutturazione e per ragioni legate alla disponibilità di manodopera qualificata. Ma tale deroga può riguardare al massimo il 22% degli edifici totali e non potrà essere applicata dopo il 1° gennaio 2037.

Inoltre, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero dal 2028; dal 2026 quelli occupati, gestiti o di proprietà di autorità pubbliche.

Altra novità è il solare obbligatorio per le nuove costruzioni entro il 2028 (ove tecnicamente ed economicamente fattibile), mentre gli immobili residenziali in fase di ristrutturazione dovranno adeguarsi entro il 2032.

Una rilevante scappatoia è stata poi concessa ai combustibili fossili nel riscaldamento degli immobili.

In linea generale, la direttiva prevede di bandire gli impianti di riscaldamento alimentati da fonti fossili per tutti gli edifici nuovi o ristrutturati, già dalla data di recepimento della direttiva stessa.

Tuttavia, sono fatti salvi gli impianti ibridi e quelli che possono utilizzare anche energie rinnovabili. In pratica, questa formulazione lascia le porte aperte alle installazioni di caldaie a gas “hydrogen ready”, cioè certificate per bruciare sia gas fossile sia, in futuro, idrogeno.

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