“Il pericoloso regalo di Strasburgo alla Cina dietro lo stop a diesel e benzina”, si legge sul Giornale.
Per Forza Italia “La messa al bando dei motori a combustione interna dal 2035 equivale infatti a puntare tutto sull’auto elettrica, consegnando di fatto la filiera europea dell’automotive alla dipendenza dalla Cina“.
“La norma sulle auto è una eurofollia”, secondo la sottosegretaria alla transizione ecologica. “L’ideologia verde anti-macchine porta solo guai”, dichiara su Libero un riemerso Formigoni.
Posizioni retrograde che ricordano amaramente quelle del passato, come quando l’Italia fu l’ultimo paese occidentale a proibire il piombo nella benzina.
Non tutti fortunatamente la pensano in questo modo.
Così, il segretario della Cgil Landini: “Ricordo che su questo terreno l’Italia ha accumulato una serie di ritardi. È almeno dal 2010 che il sindacato chiede di investire sulle nuove filiere della mobilità sostenibile e dell’elettrico. Ma allora Marchionne e i vari governi al suo fianco sostennero che il futuro non era nei motori elettrici. Oggi siamo costretti a rincorrere”.
Per fare chiarezza sulle dinamiche in atto riportiamo alcuni dati che aiutano a capire il nuovo contesto.
Intanto, lo stop alla vendita delle auto a benzina e diesel dal 2035 rappresenta una sfida troppo impegnativa come sostiene il governo, ancora una volta su posizioni di retroguardia?
In realtà, ci sono paesi che hanno già preso impegni più rigorosi di quelli indicati dalla UE. Così, Regno Unito, Israele e Olanda intendono vietare la loro vendita già dal 2030. E la Norvegia, dove le auto a combustione interna hanno coperto lo scorso anno solo l’8% del mercato, intende bloccarne la vendita già dal 2025.
E vediamo come si muove il colosso europeo dell’auto, la Germania. Il nuovo governo tedesco punta ad avere ben 15 milioni di auto elettriche su strada nel 2030, il che vuol dire commercializzarne 1,7 milioni l’anno. E l’industria è già pienamente lanciata nella transizione, come dimostra il fatto che la sola Volkswagen intende investire nel quinquennio 2022-26 ben 89 miliardi di euro e punta a costruire entro il 2030 sei fabbriche di batterie per complessivi 240 GWh.
Del resto, anche Stellantis punta ad avere una gamma di modelli completamente elettrificati entro il 2027.
Dunque, il quadro europeo è chiaro.
Ma facciamo anche il punto sulla Cina, che produce il 60% delle auto elettriche mondiali e lo scorso anno ne ha esportato mezzo milione. È evidente che Pechino punta ad allargare la sua quota di mercato nei prossimi anni.
Dunque, per non cadere nell’errore passato con il fotovoltaico, l’Europa ha deciso di attrezzarsi per tempo. Ed è quello che ha fatto con la nascita nel 2017 dell’European Battery Alliance. Sono 111 i progetti di batterie industriali in fase di sviluppo, con alcuni stabilimenti in fase di costruzione. La UE ha infatti obiettivi molto ambiziosi e punta a coprire l’89% della domanda interna di batterie nel 2030, una quantità in grado di equipaggiare 11 milioni di automobili all’anno.
Con l’obiettivo della fine della vendita degli autoveicoli a combustione interna dal 2035 è stato quindi lanciato un netto messaggio all’industria europea dell’auto per consentirle di rispondere alla sfida ed essere competitiva non sono nel Continente, ma anche di esportare in giro per il mondo.
Uno scenario industriale molto chiaro.
E va ricordato che questa corsa porterà ad una riduzione dei prezzi tale da renderle competitive con quelle a combustione interna entro quattro anni. Nella figura gli scenari di andamento dei costi per le auto convenzionali e quelle elettriche (Bnef, 2021).
Cosa dovrebbe fare il nostro governo? Sostenere la conversione dell’industria della componentistica, che in buona parte lavora per l’industria tedesca.
Purtroppo, non si vedono segnali in questa direzione. Altri paesi, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito stanno invece sostenendo con forza la transizione dell’industria dell’auto verso l’elettrico.
La posizione di retroguardia del governo italiano si è vista anche con le posizioni ambigue rispetto al target 2035.
Non si capisce che, analogamente a quanto successo con le rinnovabili in pieno boom, anche per la mobilità elettrica è in arrivo una crescita esplosiva. L’ipotesi di “rallentare” la transizione, come vorrebbe il governo, rappresenta dunque una strategia perdente e dannosa per il paese.