Ma quale “emergenza rottami”! Gli aerogeneratori sono riciclabili per il 94%

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Come avviene il riciclo delle componenti metalliche e dei materiali compositi delle turbine eoliche? Elevato è il tasso di recupero dei materiali a differenza di quanto affermano alcuni detrattori della tecnologia

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Le turbine eoliche sono riciclabili per circa il 94% del loro peso, e non c’è alcuna “emergenza rottami” per i parchi dismessi, come alcuni detrattori delle rinnovabili vorrebbero far credere.

ANEV, associazione che riunisce oltre 120 aziende del comparto eolico nazionale, risponde a un articolo dell’Unione Sarda che tenta di sollevare dubbi e polemiche sullo smaltimento degli aerogeneratori.

“Il nostro Paese – precisa ANEV in un comunicato – è un’eccellenza a livello europeo e mondiale, avendo raggiunto nel 2023 il risultato del 72% di riciclo di materiali, rifiuti e rottami, contro il 58% medio europeo”.

Numeri che paragonati a quelli specifici dell’eolico certificano come il settore sia particolarmente all’avanguardia. Va anche considerato che il dato del 94% si riferisce all’intero parco eolico installato, che non tiene quindi conto dei nuovi modelli di aerogeneratori attualmente in vendita, il cui livello di riciclo si avvicina di molto al 100%. Sono già in produzione alcune turbine completamente riciclabili.

Per quanto riguarda il restante 6% non riciclabile, una parte viene riparata e riutilizzata nella stessa funzione che aveva prima, mentre un’altra viene triturata e utilizzata per altri scopi. “Ad oggi nessun rottame eolico va a finire in discarica”, afferma ANEV.

Come avviene il riciclo delle turbine

Una turbina eolica comune da 2 MW, dal peso di 250 tonnellate, è composta dal 66% di acciaio, 16% di ferro, 2% di alluminio, 1% di rame, 14% di materiale composito (plastica e fibre di vetro), 1% di componenti elettronici e 1% di altro materiale.

Quando l’impianto eolico arriva a fine vita, oppure deve essere sostituito con un aereogeneratore più efficiente, viene rimosso e disassemblato nelle sue componenti principali già in fase di decommissing.

“Le grosse strutture in metallo come la torre e la navicella possono essere  avviate a un primo trattamento di riduzione volumetrica che ne faciliti il trasporto, per poi essere spedite ai trattamenti termici per il recupero del metallo con ottime percentuali, di circa il 90%”, spiega a QualEnergia.it Davide Astiaso Garcia, segretario generale di ANEV.

La navicella, invece, è destinata ad impianti di trattamento specializzati in metalli e RAEE. “In questi stabilimenti – prosegue Astiaso – si procede con le dovute separazioni delle micro-componenti (acciaio, rame, alluminio, ferro, piccole quantità di componenti elettronici e lubrificanti, ndr) che consentono di avviare gli elementi selezionati a processi successivi di trattamento operativi nell’ambito dei metalli, delle terre rare e in genere delle apparecchiature elettriche ed elettroniche”.

I processi di recupero finale più usati per questa tipologia di rifiuti sono la fusione e la purificazione. Questi richiedono una certa quantità di energia, comunque di molto inferiore a quella necessaria per produrli utilizzando materie prime vergini.

Per i componenti più piccoli i processi di trattamento più utilizzati sono quelli meccanici come la messa in sicurezza dai componenti pericolosi, lo smontaggio, la selezione dei materiali, la riduzione volumetrica. “Un banale conteggio – spiega Astiaso – ci dice che il recupero di queste due macrocomponenti arriva all’80% del valore in peso dell’aereogeneratore”.

È inoltre importante ricordare il rapporto che esiste tra la quota di CO2 prodotta nell’intero ciclo di vita e l’energy pay back time (EPBT), ovvero il tempo necessario affinché l’energia spesa per le fasi di estrazione, produzione, progettazione, trasporto, installazione, futuro smantellamento e riciclaggio di un impianto e quella prodotta in fase di esercizio siano in pari.

Le turbine eoliche hanno un EPBT medio di 9 mesi, trascorsi i quali, quindi, l’impianto ha già prodotto l’energia necessaria a tutto il suo ciclo di vita, dall’estrazione delle materia prime necessarie alla costruzione, fino allo smaltimento dell’ultimo componente.

I materiali compositi

Dopo le parti in metallo (torre e navicella), l’altra componente significativa dell’impianto, in termini di peso, è rappresentata dai materiali compositi come fibre di vetro, carbonio e plastiche utilizzati per la realizzazione dalle pale e dall’involucro che copre la navicella.

Queste componenti possono essere utilizzate per 20-25 anni, ma i materiali che ne garantiscano la resistenza e la leggerezza rendono più complesso il riciclaggio.

“Gli impianti che trattano questo tipo di materiale possono essere di differenti specie”, spiega la fonte di ANEV. “Tra i più utilizzati troviamo il co-processing per la produzione di cemento, oppure il semplice riciclo meccanico che consente di ottenere una buona qualità di materia da poter riutilizzare in molti ambiti operativi dell’edilizia”.

Dalle parti in metallo (acciaio, rame, alluminio e ferro) si ricavano “delle apposite barre che possono essere utilizzate per la produzione di nuovi manufatti in metallo negli ambiti più disparati della produzione industriale”. Sempre tra i metalli, anche se “con numeri ridotti e processi di trattamento ancora da perfezionare”, precisa Astiaso, vengono recuperati i metalli preziosi e le terre rare, che occupano un ruolo decisivo nella transizione ecologica.

L’altra componente da recuperare, basata su processi più difficoltosi e meno maturi, è rappresentata dal materiale composito contenuto principalmente nelle pale.

Grazie al potenziale di riutilizzo del materiale macinato proveniente dalle attività di riduzione volumetrica è possibile ricavare materia prima seconda (materiali derivati dal riciclaggio, dalla rigenerazione o dalla trasformazione di prodotti già esistenti, ndr) per la realizzazione di sottofondi stradali, pannelli per isolamento termico o acustico, mobili, manufatti per arredo e oggetti di design.

Ma l’attenzione sul riciclo deve essere alta 

L’unico rifiuto “pericoloso” che si genera è lo stirene, un componente della resina poliestere, che comporta rischi per l’ambiente e la salute se smaltito in discarica.

Un recente studio portato avanti dai ricercatori dell’Università di Tecnologia di Kaunas, in Lituania, propone una soluzione innovativa per “neutralizzarlo”. Attraverso la pirolisi, processo termochimico che consente di separare i materiali compositi attraverso il calore in assenza di ossigeno, è stato infatti possibile estrarre questo materiale dalle pale, trasformandolo in un olio ed evitandone quindi la dispersione.

Anche le fibre contenute nelle pale sono state recuperate e purificate attraverso un processo di ossidazione.

Come si può notare, quindi, l’attenzione del settore sull’argomento è massima. In questo discorso si inserisce anche il recente annuncio della società danese Continuum di voler realizzare sei impianti in Europa per lo smaltimento delle pale, in Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Turchia e Danimarca.

Ogni stabilimento, assicura l’azienda, avrà la capacità di riciclare un minimo di 36mila tonnellate all’anno di pale a fine vita, ricavandone nuovi prodotti per l’industria delle costruzioni.

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