Price cap su greggio e gas russi: più facile a dirsi che a farsi

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Un esame preliminare su fattibilità, pro e contro dei possibili tetti di prezzo alle importazioni energetiche dalla Russia.

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I membri del G7 esamineranno la fattibilità di tetti temporanei ai prezzi delle importazioni di energia dalla Russia – i cosiddetti “price cap”.

È questo uno dei risultati del summit fra i leader delle sette maggiori democrazie liberali ed economie avanzate del pianeta, svoltosi in Germania nei giorni scorsi.

Nelle intenzioni dei suoi principali proponenti, cioè gli Stati Uniti e l’Italia, i price cap su petrolio e gas fossile russi dovrebbero centrare un duplice obiettivo: impedire al Cremlino di trarre profitto dalla sua “guerra di aggressione” contro l’Ucraina e tamponare una delle principali fonti di inflazione, con tutti i disagi economici e sociali che sta provocando, soprattutto nelle fasce di popolazione più povere.

Il fatto che i membri del G7 abbiano deciso di esplorare l’applicazione dei price cap non era un risultato scontato, visto lo scetticismo di Paesi come la Germania su questo tipo di meccanismi. Ma eventuali tetti ai prezzi delle importazioni energetiche non sono dietro l’angolo.

Esponenti politici e funzionari ministeriali del G7 hanno infatti avvertito che si tratterebbe di un meccanismo molto complesso. “Richiederà un intenso lavoro”, ha detto il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Sarà assolutamente cruciale anche il consenso dell’industria e di un’ampia gamma di Paesi che importano gas e petrolio russi – altrimenti il meccanismo sarà facilmente eludibile e sarebbe destinato a fallire. I price cap potrebbero anche incontrare difficoltà nella stessa Unione europea, dove eventuali interventi configurabili come sanzioni richiederebbero il consenso di tutti i 27 Stati membri.

Ci sono quindi ancora molte incertezze sia sulle forme che sul grado di adesione a eventuali tetti sui prezzi.

Indicazioni preliminari del G7

Il G7 ha comunque fornito qualche indicazione preliminare sui modi per attuare eventuali price cap, quando ha citato come opzione un “possibile divieto globale di tutti i servizi” che consentono il trasporto del petrolio russo via mare, a meno che non abbia un prezzo pari o inferiore a un tetto da determinare in consultazione con i partner internazionali.

L’idea sarebbe quella di far rispettare il tetto facendo leva sulla necessità di polizze di assicurazione, servizi di spedizione e finanziamenti sia europei che statunitensi per le spedizioni dalla Russia, rendendo tali servizi disponibili solo per gli importatori che rispettano il tetto di prezzo.

In questo modo, gli esportatori russi e gli importatori europei sarebbero incentivati a vendere e comprare a un livello pari o inferiore al limite massimo, se non vogliono perdere l’accesso a spedizioni, assicurazioni, porti e servizi finanziari da parte dei paesi che aderiranno al meccanismo.

Ostacoli e mezzi passi avanti

Vale la pena ribadire che questo tipo di opzione sarebbe applicabile più che altro ai trasporti via mare, interessando soprattutto il petrolio ed escludendo invece il grosso delle importazioni di gas, che avviene direttamente via tubo.

Ma ci sono anche altri possibili ostacoli.

Gli assicuratori europei potrebbero non voler prendersi la responsabilità del monitoraggio del price cap e potrebbero decidere di evitare del tutto di coprire tali operazioni. In questo caso si rischierebbe di innescare involontariamente una stretta degli scambi, con volumi di esportazioni/importazioni minori che farebbero fatica a soddisfare la domanda europea e su cui potrebbe paradossalmente manifestarsi un ulteriore rialzo dei prezzi, che i price cap avrebbero presumibilmente ancora più difficoltà a livellare.

Un volume ancora maggiore di greggio russo potrebbero allora riversarsi in paesi come la Cina e l’India – avvantaggiandoli dal punto di vista di disponibilità e prezzi, senza invece avvantaggiare molto il G7. Vediamo perché.

Paesi come la Cina potrebbero accettare polizze assicurative russe. La Russian National Reinsurance Company (RNRC), controllata dallo Stato, è già diventata il principale riassicuratore delle navi russe. L’India, da parte sua, ha fornito la certificazione di sicurezza per decine di navi, consentendo le esportazioni di petrolio russo.

“La Russia e alcuni acquirenti stanno già trovando alternative ai mercati assicurativi europei, utilizzando una combinazione di assicuratori locali e garanzie sovrane. Quindi questo meccanismo non costringerebbe a una piena partecipazione a un price cap”, ha detto Louise Dickson di Rystad e Mallinson a Reuters.

In questo senso, pur applicato solo a macchia di leopardo, un eventuale price cap nei paesi del G7 contribuirebbe in modo parziale ad almeno uno degli obiettivi, cioè limitare le entrate energetiche della Russia, se paesi come l’India o la Cina riuscissero a spuntare prezzi di acquisto ancora più bassi per il greggio degli Urali.

Paesi come l’India, che stanno continuando ad acquistare greggio russo a prezzi scontati per compensare il rischio di sanzioni, vedrebbero infatti aumentare ulteriormente il loro potere negoziale con la Russia, a causa dell’ulteriore limitazione degli sbocchi che si verrebbe a creare per il suo petrolio.

Oppure, in riferimento al possibile price cap occidentale, “la Russia potrebbe non accettare di vendere a quei prezzi, soprattutto se il tetto è molto basso e vicino ai costi di produzione. Putin ha già dimostrato la sua volontà di ridurre le forniture di gas naturale ai Paesi dell’Ue che si sono rifiutati di soddisfare le richieste di pagamento in rubli”, ha detto Dickson.

Ma quanto in basso potrebbe spingersi teoricamente un price cap sul greggio degli Urali, senza provocare uno stop della Russia alle sue esportazioni verso l’occidente? Rispetto ai prezzi di riferimento di 110-120 dollari al barile del Brent , il petrolio russo viene già venduto con forti sconti di 30-40 dollari al barile ad acquirenti cinesi e indiani che se lo stanno accaparrando, presumibilmente a 70-80 dollari al barile.

“I Paesi del G7 vogliono ridurre le entrate petrolifere russe e questo implica un tetto massimo di prezzo ben al di sotto di quello che gli acquirenti pagano attualmente. I sostenitori di una riduzione molto aggressiva fanno riferimento ai bassi costi di produzione della Russia e sostengono che il Cremlino continuerebbe a vendere petrolio a qualsiasi prezzo superiore a questo livello“, ha dichiarato a Reuters Richard Mallinson di Energy Aspects, secondo cui i costi di produzione russi potrebbero attestarsi su un livello minimo di appena 3-4 dollari al barile e le aziende russe potrebbero probabilmente trarre profitto anche se il prezzo del petrolio, regolato o meno, dovesse scendere a 25-30 dollari al barile.

Un po’ in tutti i casi ipotizzati sopra, sia il volume degli scambi di greggio che le entrate russe potrebbero diminuire, consentendo tuttalpiù un passo avanti geo-politico di breve-medio termine per il G7, senza però riuscire veramente ad alleviare il caro-energia in Europa.

Esempi storici

Ci sono esempi storici di price cap energetici da cui trarre ispirazione?

Un meccanismo in qualche modo simile fu istituito nel 1995 dalle Nazioni Unite nell’ambito del programma “Oil for Food” per consentire all’Iraq di vendere petrolio in cambio di cibo e medicinali.

Gli acquirenti di petrolio versavano il denaro su un conto vincolato, tramite il quale si riusciva a tracciare in qualche modo i flussi di cassa, da usare per soddisfare i bisogni umanitari degli iracheni, impedendo al governo di Saddam Hussein di potenziare le sue capacità militari.

Il programma fu caratterizzato da corruzione e abusi, nonostante ci fosse dietro un consenso politico internazionale molto più diffuso contro il governo di Saddam Hussein rispetto a quello che c’è oggi contro l’invasione russa dell’Ucraina. Cina, India e Pakistan sono tra i 35 Paesi che si sono rifiutati di condannare la Russia. E come accennato, Cina e India sono diventati i maggiori acquirenti di petrolio russo a prezzi fortemente scontati.

Un altro esempio potrebbe essere quello contro l’Iran, per cui i pagamenti generati dalle vendite di petrolio confluiscono in conti vincolati al di fuori del Paese. Ma anche in questo caso, le sanzioni e la capacità di persuasione americane contro l’Iran sembrano godere di un appoggio internazionale più diffuso di quello riguardante le sanzioni contro la Russia.

In linea di principio

Ma, in linea di principio, i price cap sono strumenti utili per centrare gli obiettivi menzionati sopra? E ci sono altri modi, oltre a quelli accennati, con cui si potrebbero perseguire gli stessi scopi?

“In generale – spiega QualEnergia.it il responsabile energia del think tank ECCO, Michele Governatori –  se tu in un mercato imponi un prezzo massimo, il risultato è che la domanda e l’offerta non si incontrano più, perché al prezzo imposto la domanda è maggiore dell’offerta. Ci si ritrova quindi a dover razionare la domanda e decidere a chi ridurre il gas e a chi no, con un conseguente problema politico”, ci ha detto Governatori.

Un altro problema è quello a cui stiamo assistendo in Spagna, ha fatto notare l’esperto, secondo cui un price cap in una certa area comporta un artificiale aumento dell’esportazione da quell’area verso le aree che non hanno il price cap.

“Poiché  la Spagna ha messo un price cap sul gas, l’energia elettrica in Spagna costa meno che in Francia e i francesi stanno importando più energia elettrica della Spagna di quanto farebbero normalmente. Il risultato è che con il suo il price cap  la Spagna sta di fatto anche sussidiando una riduzione dei prezzi in Francia”, ha spiegato.

Un altro problema è che se si stabilisce un prezzo politico di cui tutti possono beneficiare si finisce per instaurare un meccanismo regressivo, secondo Governatori. Si fa cioè pagare l’intero sistema per avvantaggiare anche soggetti che non ne avrebbero bisogno, con una allocazione inefficiente delle risorse e un allontanamento degli obiettivi di mitigazione economica ed equità sociale che si vorrebbe invece raggiungere.

“Sarebbe meglio aiutare selettivamente le categorie che hanno bisogno di aiuto, non fissando un prezzo massimo, ma dando loro un voucher, o dei soldi, per mitigare gli effetti negativi degli alti prezzi dell’energia senza alterare il segnale di prezzo, che è poi come funziona il bonus energia in Italia per gli utenti domestici in povertà energetica”, ha continuato

“Questo è il modello migliore perché non toglie l’incentivo a ridurre i consumi” come invece fa un prezzo politico, ha detto il responsabile Energia di ECCO.

Un’altra opzione

Sul fronte dei possibili meccanismi per ottenere il duplice obiettivo posto dal G7, Governatori mette sul tavolo un altro possibile scenario.

Visto il ruolo della Russia nel determinare il prezzo europeo dell’energia, vista la dipendenza dell’economia russa da queste esportazioni e visto che la Russia ha ormai rotto il tabù del rispetto dei contratti, avrebbe senso un cap selettivo rispetto agli acquisti europei da Gazprom, eventualmente attraverso l’imposizione di un dazio ad hoc come teorizzato, tra gli altri, da Ricardo Hausman dell’Università di Harvard.

“Naturalmente questa opzione è subordinata alla capacità e al coraggio europei di intervenire per la prima volta unilateralmente sui contratti di fornitura dalla Russia, e potrebbe portare a ritorsioni – oppure a un auspicabile aumento dei volumi da parte di Gazprom per mantenere gli stessi livelli di entrate dall’esportazione di gas. Prevedere l’uno o l’altro esito è certo opinabile”, ha detto Governatori.

“Ma constato che fino a oggi le scelte di export di gas della Russia sembrano aver mirato alla conservazione del fatturato – con riduzioni parziali a sostegno del prezzo – e non certo alla chiusura del business”, ha concluso.

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