Da quando è stato annunciato il Recovery Plan, nel luglio del 2020, fino ad oggi, l’industria fossile è riuscita a ottenere almeno 102 incontri con i ministeri incaricati di redigere il piano: una media di oltre 2 incontri a settimana.
Il dato arriva da ReCommon, che lo ha ottenuto tramite richieste di accesso agli atti ed analizzando le agende dei ministeri e, in un nuovo report (in basso), lancia l’allarme sull’influenza delle grandi aziende del gas e del petrolio sulla stesura del Pnrr.
Eni, la principale multinazionale fossile italiana, emerge, ha dominato l’azione lobbistica con almeno 20 incontri ufficiali, che gli hanno consentito di promuovere le sue false soluzioni tra i decisori politici, come l’idrogeno (che attualmente è prodotto per il 99% da gas), il biometano e la cattura dell’anidride carbonica (CCS, poi non entrata nel Piano, ndr).
Stesso numero di incontri anche per Snam, la società che controlla la rete di gasdotti in Italia e nel resto del continente europeo.
“Se per Eni l’idrogeno è l’espediente per stimolare la produzione di gas, nel caso di Snam si tratta di uno stratagemma finalizzato a prolungare la vita delle sue infrastrutture fossili e svilupparne di nuove, come le decine di stazioni di rifornimento a idrogeno per treni e camion incluse nel Pnrr, utili solamente a rallentare un reale cambio di modello nei trasporti”, denuncia ReCommon.
Il ministero dello Sviluppo economico ha giocato un ruolo chiave nell’orientare il Recovery Plan, ma decisiva è stata poi la costituzione del ministero della Transizione ecologica, guidato da Roberto Cingolani, sempre pronto ad ascoltare le istanze dei vertici del settore dei combustibili fossili, mostra il report.
Dalla sua nascita lo scorso febbraio, il ministero ha avuto oltre tre incontri a settimana con il comparto fossile, di cui 18 con la presenza del ministro in persona.
In poco più di un mese, riporta ReCommon, Cingolani ha ricevuto l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e quello di Snam, Marco Alverà, ben quattro volte, per discutere dei progetti da inserire all’interno del Recovery Plan.
L’azione lobbistica, infatti, ha raggiunto il suo apice nei mesi successivi all’insediamento del governo Draghi. L’industria fossile ha partecipato a dozzine di audizioni parlamentari. Tra febbraio e aprile 2021, il comparto energetico ha preso letteralmente d’assalto i centri di potere istituzionali, organizzando 49 incontri con il ministero per la Transizione Ecologica e quello per lo Sviluppo Economico.
“Così – si legge in una nota di ReCommon – nell’arco di pochi mesi per l’idrogeno erano stati stanziati 4,2 miliardi di euro. Un incremento notevole rispetto al solo miliardo previsto dalla prima versione del Piano, e che infatti è stato sonoramente bocciato dalla Commissione europea, che ha infine costretto l’esecutivo italiano ha modificare in maniera sostanziale la componente del Pnrr relativa alla transizione energetica, chiudendo le scappatoie che erano state lasciate aperte al gas.
“È disarmante la facilità con la quale le lobby del fossile sono riuscite a influenzare le scelte dei governi rispetto a un Piano di investimenti che condizionerà non poco il future del Paese. Ci fa comprendere la necessità di riconquistare dal basso spazi di democraticità, senza i quali sarà impossibile vincere battaglie epocali come quella per la giustizia climatica”, ha dichiarato Alessandro Runci, di ReCommon, autore del rapporto.
- Il rapporto (scaricabile gratuitamente con registrazione)