Nuovi permessi di ricerca petrolifera in mare: cosa è successo finora

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Inizio anno turbolento per il governo italiano in tema di energia e ambiente con la firma dei decreti che autorizzano prospezioni geofisiche nel Mar Ionio. Rivediamo in sintesi le polemiche di questi giorni.

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Dopo il gas del Mar Caspio, il petrolio da cercare nei mari italiani: gli idrocarburi continuano a complicare la vita del governo M5S-Lega, attirando critiche soprattutto ai pentastellati, rei secondo alcuni di aver tradito la vocazione ambientalista del Movimento.

La vicenda del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline), che trasporterà 10 miliardi di metri cubi di combustibile dai giacimenti azeri alle coste pugliesi, si era risolta lo scorso ottobre con il “sì” del nostro paese a un’opera che il Movimento 5 Stelle aveva sempre considerato inutile e dannosa (vedi QualEnergia.it).

Quel via libera al progetto aveva rimarcato le difficoltà di mantenere, quando si è all’esecutivo, una linea politica del tutto coerente con le dichiarazioni diffuse in campagna elettorale (il M5S aveva “promesso” di bloccare il gasdotto in tempi molto brevi se avesse vinto le elezioni).

Il dibattito sulla responsabilità politica dell’attuale governo sulle scelte in campo energetico è tornato in auge in questi giorni: il 31 dicembre, infatti, il ministero dello Sviluppo economico nel Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (allegato in basso) ha inserito alcuni decreti che permettono alla società americana Global MED di cercare gas e petrolio nel Mar Ionio.

Si parla, in totale, di circa 2.200 km quadrati, dove la compagnia con sede in Colorado potrà svolgere attività di ricerca petrolifera; quindi, per non incorrere nelle semplificazioni terminologiche che stanno circolando, è bene precisare che non si tratta di perforare/trivellare i fondali, ma di eseguire delle prospezioni geofisiche, anche se con la tecnica controversa dell’air-gun, che prevede di “sparare” bolle d’aria compressa sott’acqua.

Le aree interessate dai tre permessi della durata di sei anni sono fra Puglia, Basilicata e Calabria.

Il decreto, in particolare, ricorda che il ministero dell’Ambiente a settembre 2017 aveva riconosciuto la compatibilità ambientale della fase iniziale del progetto, che consiste in una prima indagine geofisica 2D dei fondali marini.

Eventuali altre indagini e perforazioni di pozzi esplorativi, chiarisce il MiSE, saranno subordinate a nuove verifiche di compatibilità ambientale.

Ed è proprio su questo passaggio – il semaforo verde è stato acceso dal precedente governo ma la volontà del governo attuale è di non concedere future autorizzazioni – che si gioca tutta la difesa del M5S contro le voci critiche del mondo ambientalista ai decreti appena firmati.

Allora è utile ripercorrere alcune recenti dichiarazioni.

Davide Crippa, sottosegretario al MiSE (5 gennaio su Facebook, neretti nostri):

“Le autorizzazioni concesse dal Ministero dello Sviluppo Economico sono la conseguenza obbligata per legge dell’ennesima scelta assurda ereditata dal passato Governo”.

“Su questa ennesima eredità, così come sulle altre, daremo battaglia con una proposta che verrà presentata al decreto semplificazioni: un emendamento tale da bloccare l’iter di ben 40 titoli oggi pendenti”.

Sergio Costa, ministro dell’Ambiente, (6 gennaio su Facebook, neretti nostri):

“Da quando sono Ministro non ho mai firmato autorizzazioni a trivellare il nostro Paese e i nostri mari e mai lo farò”.

“Quello che potevamo bloccare abbiamo bloccato. E lavoreremo insieme per inserire nel dl Semplificazioni una norma per bloccare i 40 permessi pendenti come ha proposto il Mise”.

D’altro canto, il governatore pugliese Michele Emiliano, sempre il 6 gennaio, aveva dichiarato alle agenzie di stampa che le posizioni del governo sulle nuove ricerche petrolifere (neretti nostri) “esprimono una totale indifferenza per le questioni ambientali e per la tutela dei nostri mari e dei nostri territori senza alcuna reale prospettiva di sviluppo economico. Ma soprattutto un cinismo spietato e lobbista come già costatato dalla Puglia nei voltafaccia insopportabili sulle questioni Ilva e Tap”.

Intanto, il 5 gennaio, il coordinamento nazionale No Triv aveva sottolineato che nella manovra 2019 il Movimento 5 Stelle non era riuscito a far passare sotto forma di emendamento (neretti nostri) “due punti a noi molto cari e dirimenti: moratoria delle nuove attività petrolifere per la durata di 2 anni e reintroduzione del Piano delle Aree”.

Inoltre, secondo il coordinamento No Triv, nessuna delle soluzioni normative da loro proposte “si è tradotta in atti e fatti concreti perché, evidentemente, la situazione politica ed i rapporti di forza tra i due azionisti del Governo Conte non consentono di uscire dalla gabbia del fossile”.

Non resta che vedere, nei prossimi mesi, come si muoveranno i due ministeri (Ambiente e MiSE) per frenare la ricerca degli idrocarburi in Italia.

Al dibattito ancora inchiodato sui botta-risposta più “facili” e immediati da entrambe le parti (i funzionari che hanno firmato ciò che dovevano firmare, l’eredità del governo precedente, chi è all’esecutivo oggi si comporta esattamente come chi l’ha preceduto, e così via) dovrà seguire un piano politico chiaro e coerente volto a ridurre la dipendenza italiana dalle risorse fossili, nazionali o importate che siano.

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