Le non-decisioni Ue sul tetto al prezzo del gas: come si chiuderà la partita?

  • 11 Ottobre 2022

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Finora la palla è rimbalzata di vertice in vertice e anche il Consiglio europeo informale di Praga non ha risolto la questione del price cap. Analisi e considerazioni.

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Il Consiglio europeo di venerdì scorso, 7 ottobre, ha lasciato irrisolte le questioni più importanti della crisi energetica, a partire dalle richieste di fissare un tetto al prezzo del gas avanzate in prima linea da Italia, Polonia, Grecia e Belgio.

Quello che si è svolto a Praga era un vertice informale, senza possibilità di prendere già delle decisioni, ma ci si aspettava che i capi di Stato e di governo avrebbero stretto un accordo di massima, in modo da arrivare al prossimo Consiglio europeo ufficiale (20-21 ottobre) con le idee più chiare.

Invece le divisioni tra Stati membri hanno fatto sfumare ogni tentativo di definire una posizione comune. E queste divisioni lasciano il fianco europeo sempre più vulnerabile non solo agli utilizzi impropri del gas come arma geopolitica, da parte di Mosca, ma anche ai capricci del mercato.

Le continue ricerche europee di nuovi fornitori – Algeria, Qatar, Stati Uniti, Azerbaijan e altri – e le trattative in corso per ottenere volumi aggiuntivi di gas a prezzi più vantaggiosi, rischiano di essere una coperta troppo corta sul medio-lungo periodo.

Urgono interventi più strutturali per ridurre la domanda e aumentare le energie alternative, in primis le rinnovabili.

Ci sono ancora delle possibilità di avere una Unione europea veramente tutta unita sul fronte energetico?

A Praga non si è compiuto alcun passo avanti sul price cap. La Germania, che si è sempre opposta, ha fatto qualche apertura prima del vertice, per stemperare le tensioni a livello Ue dopo il suo annuncio di un maxi scudo nazionale da 200 miliardi di euro contro il caro bollette.

Diversi Paesi, Italia compresa, hanno criticato Berlino per la sua azione solitaria a discapito del principio di solidarietà che dovrebbe animare le politiche europee, a maggior ragione in questa fase di crisi.

Così il governo tedesco, alla vigilia del Consiglio europeo informale, ha appoggiato la proposta di sviluppare una piattaforma europea per gli acquisti comuni di gas, dopo essere stato contrario per mesi a una soluzione di questo tipo.

Allo stesso tempo, la Germania sembrava più propensa a valutare un tetto al prezzo del gas. Tale ipotesi è stata confermata dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel suo discorso alla plenaria di Strasburgo (5 ottobre), quando ha spiegato che Bruxelles stava lavorando con gli Stati membri a un price cap temporaneo, da mantenere fino a quando sarà definito e applicato un nuovo indice dei prezzi del gas.

La Germania, ricordiamo, ha anche bocciato la proposta di Italia e Francia, emersa dal vertice Ecofin di martedì 4 ottobre, di istituire un nuovo fondo Ue per alleviare la crisi energetica, sostenendo che la soluzione non può essere quella di creare ulteriore debito comunitario (si veda: Consiglio europeo, aperture della Germania su acquisti comuni gas e price cap).

Nonostante alcune aperture, il Consiglio europeo si è chiuso con un nulla di fatto sul tema.

La proposta italiana, appoggiata da Polonia, Grecia e Belgio e circolata in un documento ufficioso prima della riunione a Praga, prevedeva la creazione di un corridoio dinamico di prezzi, da applicare a tutte le transazioni per il gas.

Ciò dovrebbe ridurre la volatilità del mercato e le relative speculazioni, secondo i promotori. Ma definire i dettagli tecnici di una simile opzione è molto complicato.

Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, nei giorni scorsi ha spiegato che si stava lavorando a un “tetto con forchetta”, cioè un corridoio di prezzo con valori minimi e massimi, indicizzando la quotazione del gas europeo a una media di altri indici internazionali.

I Paesi contrari al price cap temono però che, fissando un massimale alle quotazioni del gas, si potranno avere difficoltà sul lato degli approvvigionamenti, perché gli esportatori di Gnl potrebbero inviare le loro forniture via nave verso altri mercati più remunerativi, dove non ci sono vincoli di prezzo.

Ecco perché si è pensato di incanalare i prezzi in un corridoio flessibile, con la possibilità, in caso di bisogno, di effettuare transazioni anche sopra il cap; il punto è che i prezzi di riferimento dovrebbero essere tarati con molta oculatezza, ed è un compito per nulla semplice.

Difatti, il cap non deve scoraggiare gli operatori sul mercato, spingendoli a vendere il loro gas altrove; allo stesso tempo, non deve frenare le misure di risparmio energetico e gli investimenti in tecnologie pulite. In sintesi: il cap deve rimanere abbastanza alto, ma non troppo.

E qui finora tutte le discussioni si sono arenate.

Parlando al termine del vertice di Praga, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha evidenziato il “desiderio condiviso tra i leader europei di mobilitarsi con l’ambizione comune di abbassare i prezzi delle risorse energetiche e di lavorare con il Consiglio dell’Unione e con la Commissione europea”; pertanto questo Consiglio “deve essere visto come una tappa strategica che ci avvia verso il prossimo Consiglio europeo, che dovrebbe essere l’occasione per fare passi avanti in termini di presa in considerazione delle misure necessarie”.

Per ora, ricordiamo, lo scorso 30 settembre, i ministri Ue hanno approvato il regolamento che prevede una riduzione obbligatoria del 5% dei consumi elettrici nelle ore di picco dei prezzi, un price cap di 180 euro/MWh ai ricavi degli impianti infra-marginali (rinnovabili, nucleare, lignite) e un contributo di solidarietà a carico delle società del settore oil&gas.

Mentre la palla del price cap è continuamente passata di mano. Vedremo se il vertice di fine ottobre sarà quello buono per chiudere la partita.

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