“Rilanciare il settore minerario italiano”. Con questo intento il Consiglio dei ministri ha approvato lo scorso 20 giugno un decreto legge sulle materie prime di interesse strategico.
Il DL recepisce il Critical Raw Material Act Ue emanato a marzo e introduce misure sugli approvvigionamenti interni di questi metalli, fondamentali per realizzare le tecnologie alla base della transizione energetica e digitale.
Ad esempio, si prevedono procedure autorizzative semplificate ai progetti di esplorazione, una governance istituzionale sul comparto per il coordinamento e il monitoraggio dei progetti, royalty in capo alle aziende per Stato e Regioni, l’inserimento di questa filiera nel Fondo nazionale made in Italy e un piano di recupero di materie prime dai rifiuti di estrazioni dei decenni passati.
Questo, in sintesi, lo scenario delineato ieri dal provvedimento che, secondo il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, si concretizzerà in primis con la mappatura delle effettive disponibilità dei materiali critici a livello onshore e offshore; quindi con la comprensione del bilancio economico si un mining italiano: “Bisogna capire la convenienza rispetto ai costi negli altri Paesi Ue”.
L’opportunità è evidente, visto che Italia e Ue hanno “fame” di materie critiche per rendere concrete le politiche di transizione a un costo che sia sostenibile per l’economia.
Il nostro, d’altro canto, è un Paese “di grandi trasformatori” di queste risorse e occorre “assicurare la continuità delle catene di approvvigionamento”, aggiunge la viceministra al Mase, Vannia Gava.
È utile chiarire, però, quale sia la reale capacità tecnologica, di tutela ambientale e di potenziale estrattivo dell’Italia, per dare concretezza a quanto solo immaginato, al momento, con il DL approvato ieri.
Quante materie prime critiche ospita l’Italia?
La risposta, al momento, è del tutto ipotetica visto che il settore minerario italiano è sostanzialmente fermo da quarant’anni e le informazioni a disposizione sono limitate.
Interessano, sicuramente, i giacimenti noti di litio nei fluidi geotermici laziali e campani o nelle salamoie (acque salate) degli Appennini tra Piacenze e Pescara. Ancora, il cobalto sull’Appenino tra Piemonte e Liguria, come ricordato ieri dal ministro Pichetto.
“Statisticamente l’estensione dell’Italia non ci fa pensare alle stesse risorse che possono esserci in Paesi di grandi” ma possiamo comunque pensare a un mining “strategico e a valore aggiunto” per il Paese; “Noi, come scienziati, ci abbiamo lavorato”.
È quanto spiega a QualEnergia.it Andrea Dini, ricercatore senior dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr. Importante anche il tema dell’economia circolare se si pensa che “la Sardegna è stata una regione mineraria per molti anni, creando accumuli di detriti da queste lavorazioni pari a 70 milioni di metri cubi, oggi ancora esistenti. Parliamo di rifiuti minerari che in realtà sono una risorsa”.
Completamente diversa è la situazione dell’offshore. “Se ne sta parlando a livello mondiale, sul piano normativo, ma è una questione futura. Sono state indicate delle aree di interesse industriale e c’è qualcuno che sta facendo ricerca per capire come estrarre i materiali”.
Il problema è che si tratta di “un mining molto impegnativo, bisogna prendere pezzi di roccia a 3.000 metri sotto il livello del mare e portarli in superfice. Oggi costa troppo ma certamente la tecnologia va avanti”.
In termini di potenziale estraibile “nel Mediterraneo ci sono mappature ma pare che ci sia poco, forse qualcosa nel Tirreno, studiato anche al Cnr”.
In generale, le risorse del Mare Nostrum potrebbero “non essere paragonabili con quelle degli oceani – conclude Dini – data la diversa estensione e la differente geologia”. Infatti, “non è l’area più attenzionata dalla compagnie”.
Il tema ambientale su ricerca ed estrazione
Nelle slide descrittive del DL approvato ieri (disponibili in basso) si spiega che “l’estrazione e la raffinazione di materie prime avviene in Paesi con minori tutele ambientali”; dunque “incentivare l’estrazione, la raffinazione e il riciclo in Ue tutela maggiormente i principi unionali”.
Ma il possibile mining italiano ed europeo in questo settore è potenzialmente sostenibile?
La prima cosa da considerare è che nell’offshore “le tecniche di esplorazione oil e gas sono diverse da quelle relative ai materiali critici”, sottolinea Dini.
Per gli idrocarburi, infatti, “bisogna lavorare molto in profondità mentre i metalli si trovano in rocce adagiate sui fondali”; tra l’altro, “già naturalmente a contatto con le acque marine” e quindi senza un problema intrinseco si contaminazione delle risorse idriche.
“Le tecnologie di ricerca dei materiali critici sono sviluppate, anche perché si tratta soltanto di trovare dei piccoli campioni sul fondale, ad esempio con robot, e portarli in superficie per le analisi”. Parliamo di operazioni “sicure” perché “molto puntuali”.
Anche l’estrazione, comunque, avviene su superfici “infinitesimali rispetto all’estensione di un oceano”. Inoltre, non servono prodotti chimici da iniettare per accelerare il processo ma si tratta di un lavoro meccanico”.
Da non dimenticare, però, che nella risalita delle rocce “si potrà creare un pulviscolo sul fondame marino che potrebbe avere un qualche impatto con l’ecosistema”; un aspetto che andrà valutato e risolto.
Passando al comparto onshore, “le attività di estrazione sono sicure”. Nel caso dei fluidi geotermici, ad esempio, si replica quanto avviene con la geotermia a ciclo aperto “potendo così estrarre litio, generare elettricità e alimentare i teleriscaldamenti”, prosegue il ricercatore del Cnr.
Successivamente “c’è la reiniezione del fluidi con un impatto ambientale molto limitato”.
Vantaggi ambientali, infine, si vedono nel recupero di metalli strategici da accumuli dei materiali di risulta delle vecchie attività estrattive: “Sono accumuli in superfice che possono creare scambi, percolati, in caso di piogge”.
Proprio un meccanismo di economia circolare è quello che vede con più favore il Wwf, come ci spiega Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia dell’associazione. Il tema è critico perché” si possono cercare ed estrarre questi materiali “in modo impattante oppure no, quindi dipende dalle scelte che si fanno. Per noi questa è però un’occasione di economia circolare, in modo da limitare al massimo la ricerca” delle materie prime strategiche.
I paletti di Codice minerario e Strategia marina
Di materie prime critiche si era parlato già il 14 giugno nel corso di un simposio a Roma organizzato da ministero delle Imprese e del Made in Italy e International Seabed Authority. Quest’ultima è un’organizzazione autonoma delle Nazioni Unite che sta lavorando sull’istituzione di un Codice minerario anche con il contributo del nostro Paese.
Secondo il capo di gabinetto al Mimit, Federico Eichberg, “l’Italia continuerà a supportare il lavoro dell’Isa nel negoziare il Codice”, anche perché “si dovrà autorizzare il mining dei fondali oceanici solo dopo l’approvazione di una robusta e adeguata regolamentazione internazionale che garantisca di prevenire le conseguenze dannose per l’ambiente dall’attività dell’uomo”.
Dunque, un aspetto da considerare anche nell’attuazione del decreto legge del Governo. Un Esecutivo che, tra l’altro, non pensa esclusivamente alle risorse nazionali: Eichberg, infatti, “ha espresso soddisfazione per il crescente interesse al tema da parte delle imprese italiane – si legge in una nota del dicastero – anche in previsione di un futuro inserimento di queste attività nel Piano Mattei per l’Africa”.
Presente nel corso dell’evento anche Michael W. Lodge, segretario generale Isa, che chiarisce: “Lo scopo principale del Codice minerario in fase di elaborazione da parte di questa Autorità è di garantire l’effettiva protezione dell’ambiente marino attraverso la rigorosa applicazione di un approccio precauzionale allo sviluppo delle risorse presenti nelle profondità oceaniche”.
Non solo, da tenere presente per un futuro sviluppo del mining di materie critiche nazionale c’è, infine, anche la direttiva quadro sulla Strategia per l’ambiente marino.
Per dare attuazione alle prescrizioni Ue il Mase ha avviato una consultazione sull’aggiornamento della definizione di “buono stato ambientale” e dei “traguardi ambientali” per ciascuno degli undici ambiti della Strategia (le osservazioni entro il 14 luglio).
In particolare, da segnalare in relazione alla ricerca ed estrazione di metalli strategici offshore, l’ambito n. 6, “Integrità del fondo marino”, per il quale “l’integrità” di questa superfice deve essere “a un livello tale da garantire che le strutture e le funzioni degli ecosistemi siano salvaguardate e gli ecosistemi bentonici, in particolare, non subiscano effetti negativi”.
Questo ambito n. 6 “ha lo scopo di assicurare che le pressioni generate da attività antropiche sui fondi marini non influiscano negativamente sulle componenti dell’ecosistema, in particolare sulle comunità bentoniche e gli habitat a esse associati”.