Come scegliere la legna da ardere “giusta”? A quali caratteristiche bisogna prestare più attenzione e che vantaggi garantisce un prodotto certificato?
Poiché sta per partire la stagione termica invernale 2019-2020 chi utilizza una stufa o una caldaia a legna per scaldare casa, molto probabilmente, si pone domande di questo tipo.
Diamo allora qualche consiglio pratico – chi invece usa il pellet può consultare questa mini-guida – con l’aiuto di Stefano Campeotto, referente tecnico per i produttori professionali di biomasse che aderiscono all’Associazione Italiana Energie Agroforestali (AIEL).
Più calore e meno emissioni con la legna secca
Quando si sceglie la legna da ardere, spiega Campeotto, il primo consiglio è acquistare legna secca con un contenuto idrico inferiore al 20% per due ragioni: innanzi tutto, chiarisce l’esperto AIEL, “la riduzione delle polveri sottili perché il legno con un +10% di contenuto idrico, ad esempio del 30% anziché del 20% come raccomandato, fa aumentare di dieci volte le emissioni di polveri e di carbonio [espresse in kg di CO2 equivalente, ossia l’unità di misura che assegna un peso ambientale alle emissioni, ndr] durante la combustione nelle stufe domestiche”.
Il contenuto idrico (M) esprime la percentuale d’acqua rispetto al peso fresco del legno ed è il parametro che influenza maggiormente il suo potere calorifico.
Ad esempio, il potere calorifico della legna con un tenore idrico del 30% è pari mediamente a 3,39 MWh per tonnellata, per poi salire a 3,97 MWh/t con un contenuto idrico del 20% e 4,27 MWh/t con una percentuale d’acqua ancora più bassa (15%).
Per dare un altro dato utile a capire l’importanza di questi parametri, si può considerare che per scaldare un’abitazione di 60 metri quadrati, con un medio isolamento termico, servono in genere 10 MWh di energia primaria, quindi circa 2.500 kg di legno stagionato (M 20), che però diventano circa 3.200 kg se il legno è parzialmente stagionato.
In pratica, più il legno è secco più aumenta la sua capacità di produrre calore per ogni tonnellata combusta, quindi il secondo buon motivo per acquistare un prodotto con un basso contenuto idrico è la convenienza economica complessiva.
I prezzi
“Bisogna diffidare dei prezzi troppo bassi della legna”, chiarisce infatti Campeotto, “perché quella meno costosa non assicura un vero risparmio avendo un potere calorifico inferiore”.
In altre parole: impiegando legna più economica e quindi più “bagnata” ne servirà una quantità maggiore, per ottenere la stessa resa di calore di un prodotto più secco, quindi si finirà per spendere di più nell’arco di una stagione. Attenzione, quindi, alle offerte super-convenienti perché possono nascondere delle insidie.
Per quanto riguarda i prezzi, la “forchetta” indicata da Campeotto è tra 160-170 e 200 euro per tonnellata di legna della massima qualità (A1 certificata BiomassPlus, vedi più avanti); molto dipende dalla modalità di vendita – sfusa o già impilata sui bancali – e dagli eventuali costi aggiuntivi di trasporto.
Perché scegliere la legna certificata
Come fa il consumatore a orientarsi? Un aiuto, prosegue l’esperto AIEL, può arrivare dalla certificazione volontaria BiomassPlus “che prevede una serie di classi di qualità secondo la norma ISO 17225-5: la classe più elevata è A1 che identifica la legna già pronta all’uso con un contenuto idrico inferiore al 25% mentre la classe B riguarda ciocchi che hanno bisogno di un’ulteriore stagionatura prima di essere utilizzati nella stufa”.
C’è anche la classe A1plus che comprende pezzi di legno con un contenuto idrico veramente basso (inferiore al 15%) grazie all’essiccazione in forno.
In particolare, l’etichetta della certificazione BiomassPlus riporta, oltre alla classe di qualità, anche il codice identificativo del produttore/distributore della legna; ciò garantisce la piena tracciabilità di ogni singolo lotto, perché con il codice è possibile risalire lungo la catena di produzione fino al luogo di provenienza, “dal bosco alla stufa”.
La certificazione Biomass Plus, precisa Campeotto, non va confusa con altri sistemi di tracciabilità, come l’etichetta FSC (Forest Stewardship Council). Quest’ultima, infatti, “è una catena di custodia con cui certificare l’origine della legna da foreste gestite con determinati criteri di sostenibilità ambientale”, ma nulla ha a che vedere con la qualità intrinseca del prodotto in termini di contenuto idrico e potere calorifico.
Un punto che Campeotto tiene a sottolineare è che la certificazione “serve a sviluppare e promuovere le buone pratiche in ogni circostanza”. Ad esempio, chi vuole acquistare la legna (non certificata) da un piccolo produttore locale, può chiedere di eseguire una misurazione a campione con uno strumento professionale che indica il contenuto idrico del prodotto.
Come conservare le cataste
Riassumendo, la regola è: preferire sempre la legna da ardere più secca possibile, soprattutto se si vuole utilizzare subito.
Chi invece ha l’abitudine di comprare il combustibile con largo anticipo, da un anno all’altro, può orientarsi su un tipo di legno con un contenuto idrico più elevato (e quindi meno costoso); poi però è fondamentale conservare il prodotto nel modo corretto per la stagionatura.
La legna, spiega Campeotto, “va stoccata all’aperto, in un luogo esposto alla luce solare e aerato, non in cantina o in garage, né a diretto contatto con il terreno o appoggiata a un muro, perché il contatto con il suolo rischia di provocare muffe e marciumi”.
Inoltre, bisogna ricordarsi di tenere coperto il lato superiore della catasta, in modo da proteggere i ciocchi da pioggia e neve. Il problema, infatti, è che la legna assorbe molto l’umidità quindi se viene conservata senza questi accorgimenti finisce per incrementare il suo contenuto idrico.