Le rinnovabili pesano per i due terzi dei nuovi investimenti in generazione elettrica.
Ma, per la prima volta dal 2014, nell’ultimo anno sono aumentati i capitali attirati dalle fossili mentre sono calati quelli destinati alle energie pulite.
Inoltre, cosa preoccupante, la partecipazione degli Stati in petrolio e gas rimane a livelli record e una tra le fonti più sporche, lo shale oil nordamericano, sta diventando profittevole.
Insomma: non stiamo andando nella giusta direzione per affrontare la sfida del cambiamento climatico e quella della sicurezza energetica.
L’avvertimento arriva dal nuovo report World Energy Investment 2018 della Iea (allegato in basso).
Gli investimenti energetici globali, vi si legge, nel 2017 hanno totalizzato 1,8 trilioni di dollari, una diminuzione del 2% in termini reali rispetto all’anno precedente. Più di 750 miliardi sono stati destinati all’elettricità, mentre 715 miliardi sono andati all’Oil&Gas.
Il settore elettrico, dunque, ha attratto la maggior parte degli investimenti energetici del 2017 e, sostenuto anche da una robusta spesa per le reti, ha superato l’industria petrolifera e del gas per il secondo anno consecutivo.
Gli investimenti riconducibili agli Stati rappresentano una quota crescente: in crescita da 5 anni, al 40% del totale.
I governi, è il dato che dovrebbe mettere in allarme, sono rimasti più attivi nel petrolio e nel gas e nel termoelettrico rispetto agli attori privati, che invece si muovono verso altri settori.
Le politiche governative, mostra lo studio, peraltro stanno giocando un ruolo crescente nel guidare la spesa privata ovunque: di tutti gli investimenti in energia, solo il 5% si confronta con il mercato “puro” senza contare su incentivi o ricavi regolamentati.
Dopo diversi anni di crescita, la spesa complessiva in fonti pulite ed efficienza energetica è diminuita del 3% nel 2017. I soli investimenti in rinnovabili, che come detto rappresentano i due terzi delle spese per la generazione di energia elettrica, sono calati del 7%.
La frenata della Cina sul fotovoltaico, inoltre, avverte la Iea, aumenta il rischio di un rallentamento degli investimenti anche nel 2018, come peraltro certificato già dai dati BNEF sul primo semestre dell’anno.
Come detto, invece, nel 2017, per la prima volta dal 2014, è aumentata la quota degli investimenti destinata alle fossili. La fetta delle compagnie nazionali nel totale degli investimenti dell’ Oil & Gas – si rileva poi – “è rimasta a livelli record, tendenza che dovrebbe persistere nel 2018.”
Le decisioni di investimento definitive per le centrali a carbone da costruire nei prossimi anni sono diminuite per il secondo anno consecutivo, raggiungendo un terzo del livello del 2010. Ciononostante, il parco mondiale ha continuato a espandersi nel 2017, principalmente in Asia. E mentre si passa a impianti più efficienti, il 60% della capacità attualmente operativa utilizza ancora una tecnologia subcritica inefficiente.
Il nucleare ha toccato invece il minimo degli ultimi anni in quanto a investimenti.
Il rapporto rileva anche che le prospettive dell’industria shale statunitense stanno migliorando. Tra il 2010 e il 2014, le aziende hanno speso fino a 1,8 USD per ogni dollaro di entrate. Tuttavia, l’industria ha quasi dimezzato il suo prezzo di pareggio, fornendo una base più sostenibile per l’espansione futura. Questo è alla base di un aumento record della produzione leggera USA di 1,3 milioni di barili al giorno nel 2018.
La ripresa degli scisti americano contrasta invece con il resto dell’industria degli idrocarburi. Gli investimenti in progetti petroliferi convenzionali, da cui viene maggior parte dell’offerta globale, rimangono deboli.
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