L’industria globale delle energie rinnovabili deve rispettare di più i diritti umani

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I risultati di una ricerca condotta dal Business & Human Rights Resource Centre.

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Il settore delle rinnovabili è per sua natura un comparto che dovrebbe puntare al massimo senso etico, in netta contrapposizione con la storia dell’industria fossile e nucleare.

Ma l’industria delle rinnovabili è attenta a rispettare le norme internazionali sui diritti umani?

Non sempre e con mancanze anche piuttosto evidenti, emerge da un documento appena pubblicato dall’organizzazione no-profit Business & Human Rights Resource Centre dal titolo “Renewable Energy & Human Rights Benchmark(allegato in basso).

Il documento analizza le politiche sui diritti umani di 16 tra le maggiori società mondiali che investono nell’energia eolica e solare e che rappresentano più di 130 GW di potenza totale installata in queste due fonti rinnovabili.

La classifica comprende sia compagnie che realizzano e gestiscono direttamente gli impianti eolici-solari, sia società che questi impianti li possiedono grazie a investimenti nel settore (acquisizioni, partecipazioni e così via).

Dalla graduatoria seguente, tratta dalla sintesi online dei dati, si vede che solo quattro compagnie, tra cui la nostra Enel, hanno raggiunto punteggi superiori a 40 (i punteggi sono espressi come percentuali ponderate).

Per stilare questa classifica, si legge nel documento, gli analisti hanno considerato molteplici indicatori, di cui 13 definiti dal Corporate Human Rights Benchmark (CHRB) utilizzati a misurare se le società siano allineate con le linee-guida delle Nazioni Unite su diversi temi che riguardano i diritti umani come diritti dei lavoratori, corruzione, sicurezza sul lavoro, diritti delle popolazioni locali sui terreni e così via.

Altri 19 indicatori sono invece più strettamente correlati ai rischi di violazione dei diritti umani nel settore delle rinnovabili.

Un esempio è dato dalle politiche rivolte a tutelare la sicurezza e la dignità dei lavoratori nelle miniere da cui si ricavano le materie prime (e terre rare) utilizzate nell’industria eolica e solare.

In sostanza, afferma il Business & Human Rights Resource Centre, con un punteggio medio di 22, l’industria delle rinnovabili nel suo complesso deve fare ancora molta strada, per dimostrare il suo impegno verso la tutela delle comunità locali e dei lavoratori.

Tra le violazioni più diffuse, segnala lo studio, c’è la pratica del land grabbing, cioè l’accaparramento dei terreni per costruire gli impianti senza considerare i diritti vantati su quei terreni dalle popolazioni native.

Anche una recente ricerca della società di consulenza globale Verisk Maplecroft, Human Rights Outlook 2019, ha esaminato i principali rischi sociali collegati allo sviluppo delle tecnologie pulite, come l’eolico e il fotovoltaico, in diverse aree geografiche.

Tra i problemi più noti per le rinnovabili, sotto il profilo etico, c’è lo sfruttamento del lavoro minorile nelle miniere di cobalto in Congo, il paese africano che fornisce la quantità maggiore del prezioso metallo utilizzato per fabbricare le batterie al litio per le auto elettriche e gli impianti di accumulo energetico.

Ma questa è solo la punta di un iceberg più vasto, che tende a rimanere fuori dai radar delle valutazioni sulla reale sostenibilità sociale (oltre che ambientale) dell’industria “verde”.

Spesso, infatti, c’è una notevole discrepanza tra le politiche sui diritti umani delle aziende e la realtà sul campo; inoltre, molte società che investono in rinnovabili non hanno ancora implementato una strategia con cui affrontare la responsabilità etico-sociale delle loro attività su scala globale.

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