Il Portogallo vuole chiudere in anticipo i conti col carbone

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Il governo punta a dismettere le ultime unità a carbone nel 2023, sette anni prima di quanto previsto inizialmente. E in Europa quattro impianti su cinque sono in perdita.

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Il Portogallo vuole affrettare i tempi per uscire definitivamente dal carbone.

L’annuncio è del premier socialista Antonio Costa, che tra le priorità del nuovo governo ha indicato la chiusura anticipata al 2021-2023 delle due centrali a carbone attive nel paese, quella di Pego da 628 MW di potenza installata e quella di Sines da 1.256 MW di capacità complessiva con quattro unità da 314 MW.

In pratica il governo punta a eliminare questa fonte fossile dal mix energetico sette anni prima rispetto alla data stabilita in precedenza (2030).

Al contempo, il premier Costa intende incrementare i progetti nelle fonti rinnovabili e accelerare così la trasformazione del sistema elettrico.

Nei primi nove mesi del 2019, secondo i dati diffusi dalla società che gestisce le reti energetiche portoghesi (REN: Redes Energéticas Nacionais), le rinnovabili hanno coperto il 45% dei consumi elettrici nazionali, con il contributo più rilevante dell’eolico (24%) davanti all’idroelettrico (14%), mentre la produzione da biomasse e fotovoltaico, rispettivamente, ha soddisfatto il 5% e 2% della domanda elettrica complessiva.

Il carbone si è fermato al 12% del mix totale da gennaio a settembre 2019.

Che il carbone sia in difficoltà in molti paesi europei emerge anche dall’ultimo rapporto di Carbon Tracker, Apocalypse Now (scaricabile qui con registrazione gratuita), dove “apocalisse” è da intendere quella finanziaria, poiché quattro impianti a carbone su cinque, secondo le stime fatte nel documento, non sono più redditizi a causa della concorrenza delle altre fonti di energia.

Più in dettaglio, spiega Carbon Tracker, le utility che gestiscono gli impianti rischiano di perdere 6,6 miliardi di euro solo nel 2019; quest’anno la generazione di energia con questo combustibile fossile, si legge nel rapporto, è crollata del 39% rispetto al 2018 (invece la lignite ha registrato un -20% finora).

Così tra carbone e lignite, la Germania è il paese che potrebbe bruciare più denaro in impianti non più remunerativi: si parla di circa 9 miliardi di euro a rischio di cui quasi un miliardo a carico di una singola utility, RWE.

Ricordiamo che il governo tedesco punta a stoppare tutte le centrali “sporche” non prima del 2038, anche se Carbon Tracker raccomanda il 2030 a livello Ue e ci sono paesi, come l’Italia, con piani di coal-exit ancora più ravvicinati (2025 per il nostro paese).

Secondo i calcoli di Carbon Tracker, Spagna e Repubblica Ceca, che non hanno ancora definito delle date per chiudere le loro unità a carbone, potrebbero perdere rispettivamente 992-899 milioni di euro se continueranno a mantenere in funzione queste centrali obsolete e inquinanti.

Mentre gli impianti a carbone inglesi, la cui dismissione definitiva è prevista per il 2025, rischiano di perdere 732 milioni di euro nei prossimi anni, essendo ormai schiacciati dalla concorrenza del gas e delle rinnovabili.

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