Il Gruppo Enel, tra piani di decarbonizzazione e ambiguità sul carbone

Dal 2015 l'Ad Francesco Starace ha risposto agli azionisti critici indicando ambiziosi obiettivi green. Tuttavia sul carbone in Italia, in Spagna e soprattutto in Sud America la posizione del gruppo non è chiara. L'intervento di Antonio Tricarico e Filippo Taglieri di Re:Common e Mauro Meggiolaro della Fondazione Finanza Etica.

ADV
image_pdfimage_print

L’assemblea generale di Enel, che si tiene ogni anno in maggio a Roma, è un appuntamento fisso per gli azionisti critici già dagli anni ‘90, quando debuttarono nella sala di Viale Regina Margherita gli attivisti di Legambiente.

Una tradizione rilanciata poi, a partire dal 2008, da Fondazione Finanza Etica (Banca Etica) e Re:Common, con la collaborazione iniziale di Greenpeace Italia.

Negli ultimi dodici anni abbiamo chiesto alla società di abbandonare il nucleare e il carbone, di non costruire cinque grandi dighe che avrebbero compromesso per sempre l’ecosistema della Patagonia cilena, di inserire criteri sociali e ambientali nei piani di remunerazione dei top manager, di chiudere l’inutile e dannosa centrale a biomasse del Mercure.

Con noi si sono alternati al microfono i rappresentanti dei comitati “no carbone” di Civitavecchia, Rossano Calabro, Brindisi, La Spezia, della Romania, due vescovi dall’America Latina, gli indios Mapuche, i cittadini indignati della valle del Mercure.

Per anni ci siamo scontrati con Fulvio Conti, un amministratore delegato refrattario a ogni critica dei piccoli azionisti, fermo sulle sue posizioni e a tratti strafottente.

L’era Starace

Poi, nel 2014, è iniziata l’era Starace e tutto è cambiato. Come prima cosa, il nuovo amministratore delegato ha deciso di chiudere 23 centrali termoelettriche del gruppo in Italia, segnalando subito il cambio di rotta verso un mix energetico sempre più centrato sulle rinnovabili.

Nelle assemblee che si sono succeduta dal 2015 ad oggi, Francesco Starace ha risposto agli azionisti critici lanciando obiettivi di decarbonizzazione sempre più ambiziosi.

È indubbio che l’Enel targata Starace abbia fatto dei passi importanti verso la sostenibilità rispetto all’era di Fulvio Conti, che promuoveva carbone e nucleare come la soluzione energetica per l’Italia e l’Europa. Enel è stata la prima grande utility ad adottare un obiettivo di carbon neutrality al 2050 e il suo ad, Francesco Starace, ha recentemente confermato che l’intero gruppo Enel vuole uscire dal carbone entro il 2030, come chiedono la comunità scientifica e le Nazioni Unite.

Enel afferma che la sua strategia di decarbonizzazione è in linea con l’Accordo di Parigi sul clima e basata su target scientifici, secondo lo scenario di contenere l’aumento della temperatura del globo terreste entro i due gradi.

Un’uscita dal carbone problematica

Quindi tutto in ordine nella sfida climatica in casa Enel? Non proprio, se analizziamo nel dettaglio l’uscita dalla polvere nera nei vari paesi dove è presente la multinazionale italiana.

Lo scorso maggio Starace ha annunciato che la chiusura degli impianti a carbone italiani, in primis a Brindisi, avverrà con una conversione a gas per far fronte a presunte esigenze di sicurezza della rete elettrica nazionale. Certo, meno del carbone, ma anche il metano emette CO2.

Va sottolineato che fino a poco tempo fa Enel aveva un impegno di non investire più in nuove centrali fossili, escludendo anche quelle a gas. Infatti, il suo nuovo piano triennale prevedeva quasi 8 miliardi di investimenti in rinnovabili, elettrificazione del trasporto, smart grid e digitalizzazione. Un passo indietro non da poco che preoccupa, soprattutto perché a Brindisi, Enel ha chiesto un’esenzione dalla Valutazione di Impatto Ambientale per la realizzazione di ben 1.680 MW a gas.

In Spagna la controllata Endesa ha recentemente dichiarato che i due principali impianti a carbone, Litoral e As Pontes, hanno fermato la produzione perché non più convenienti, smentendo quello che lo stesso ad di Endesa aveva dichiarato a maggio in assemblea sul continuare con il carbone fino, e anche magari, oltre il 2030.

Si esce quindi finalmente da carbone anche in Spagna? Secondo El Mundo Enel non ha voluto dichiarare ciò nella campagna elettorale spagnola in corso su richiesta del governo uscente per non aizzare sindacati e lavoratori. E se poi torna il partito popolare pro-carbone al potere, che dirà Enel? Insomma, la sostenibilità che si adatta al clima politico un po’ preoccupa.

Enel e carbone in Sud America

Anche dall’altro lato dell’oceano Enel ha qualche problema nel dare seguito agli impegni sul carbone. Fino al 2017 ha acquistato il carbone colombiano dalla controversa miniera gestita da Drummond e Prodeco/Glencore nella regione del Cesar.

Dopo forti pressioni dell’opinione pubblica, la maggiore utility energetica italiana decise di non rinnovare i contratti di fornitura. A distanza di due anni, l’Enel conferma però agli azionisti di voler convintamente comprare carbone colombiano, questa volta dalla Guajira, regione colombiana che confina con il Cesar.

La Guajira si trova a vivere diversi problemi molto rilevanti a causa della sua posizione geografica: la zona è semi-desertica, con alte percentuali di decessi in tenera età per maluntrizione; è situata al confine con il Venezuela ed è dunque soggetta a una continua instabilità, alimentata dalla storica presenza del paramilitarismo da un lato e delle guerrillas dall’altro, in un paese che da anni rincorre una pacificazione che non arriva.

Nonostante la miniera sia attiva dagli anni ‘80, la gestione della miniera Cerrejón da parte delle multinazionali BHP Billiton, Anglo American, e Glencore inizia fra il 2000 e il 2002. Il Cerrejón è una delle miniere a cielo aperto più grandi del mondo e senza paura degli ossimori si definisce “Miniera Responsabile” nonostante le sue dimensioni: circa 68mila ettari di concessione e a fronte di tre sentenze della Corte Costituzionale Colombiana (T-256 del 2015, T-704 del 2016 e SU-698 del 2017) che la condannano per differenti violazioni.

Oltre a questo spicca ulteriormente la leggerezza dell’impresa nel criminalizzare gli attivisti in un contesto che, come dicevamo è molto complesso e pericoloso.

L’Enel risponde a tutto questo ridimensionando la questione e dicendo di aver visitato le comunità senza accorgersi di niente. Non esattamente il comportamento che ci si aspetterebbe dal leader mondiale della sostenibilità – come spesso viene incensato l’ad di Enel nei consessi internazionali – e la più volte espressa volontà di uscire dal carbone.

Ma la situazione ancora più ambigua, che Starace non vuole sciogliere, è quella degli impianti a carbone in Cile, paese membro dell’Ocse. Qui il governo, che ospiterà il vertice sulla Convenzione sul clima a inizio dicembre, non ha accettato la scadenza del 2030 e lasciato spazio a vari investitori per proseguire con la combustione della polvere nera anche fino al 2040. In particolare, Enel gestisce le centrali di Tarapaca e Bocamina 1 e 2.

L’impianto di Bocamina 2 (foto in alto) si trova a ridosso della città di Coronel, dove le comunità locali chiedono da anni la chiusura degli impianti perché le ceneri sono stoccate a cielo aperto nel mezzo della città con impatti devastanti per la salute della popolazione.

Sono in corso diverse azioni legali, con la partecipazione anche delle autorità locali. Il Presidente cileno, Pineda, ha recentemente fatto un’apertura sull’anticipare la data del 2040, come richiesto dal Parlamento del paese, e lanciato la palla nel campo di Enel chiedendo quando sia pronta a chiudere Bocamina 2. La società ad oggi non prende posizione, anzi si difende in maniera agguerrita nei tribunali cileni.

Consumi di carbone ancora al top

Per tutti questi motivi, il gruppo Enel cade ancora nella lista nera dell’autorevole Global Coal Exit List per il consumo annuo di carbone superiore a 10 milioni di tonnellate.

Non proprio un bel biglietto da visita per il tanto decantato leader della sostenibilità tricolore, che si aggiunge al 14°, 17° e 27° posto nella classifica dei trenta impianti che hanno emesso più CO2 in atmosfera in Europa nel 2018, con le centrali a carbone di Civitavecchia, As Pontes e Litoral (come detto, le ultime due gestite dalla controllata spagnola Endesa).

Se è indubitabile che Enel abbia avviato un processo ambizioso di decarbonizzazione del suo mix energetico è anche vero che, ad oggi, le incognite sul futuro verde del gruppo rimangono ancora numerose.

ADV
×