Perché il Gnl non può garantire una maggiore sicurezza energetica

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Un rapporto di ReCommon, come già l'outlook della Iea, sottolinea i rischi degli investimenti nel gas naturale liquefatto. In Italia, Snam e Intesa Sanpaolo sono tra i principali promotori del business legato all'import di questo combustibile fossile.

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Investire in nuovi impianti per l’estrazione e il trasporto di gas è sempre più rischioso, soprattutto se gli investimenti riguardano il gas naturale liquefatto (Gnl) distribuito via nave.

Il mercato globale del Gnl, infatti, presta il fianco a molte incognite: riduzione della domanda, diffusione accelerata delle tecnologie pulite, traguardi climatici net-zero per l’azzeramento delle emissioni di CO2, volatilità dei prezzi.

Al campanello d’allarme rilanciato nei giorni scorsi dall’Agenzia internazionale dell’energia, nel suo outlook sui mercati mondiali di questo combustibile fossile, si aggiunge il rapporto pubblicato da ReCommon, “Sicurezza energetica per chi?” (26 pp.) focalizzato sul ruolo di Snam e Intesa Sanpaolo nella partita italiana del gas.

Il documento dell’organizzazione che promuove la transizione energetica verso le rinnovabili sottolinea lo stretto legame finanziario tra Snam e Intesa Sanpaolo.

La banca, negli ultimi anni, ha concesso 500 milioni di dollari di finanziamenti a Snam, tra cui la sottoscrizione di bond presentati come green, che in realtà nascondono attività legate alle fonti fossili. A ciò si aggiungono 160 milioni di dollari di investimenti.

Più in generale, prosegue il rapporto, fra il 2016 e il 2022, “il primo gruppo bancario italiano ha concesso finanziamenti per 3 miliardi di dollari alle prime 20 società coinvolte nell’espansione del settore del Gnl, nonché 890 milioni di investimenti al 1 gennaio 2023”.

Inoltre, “dal 2016 a oggi, Intesa ha erogato 2,1 miliardi di dollari a quelle società che gestiscono e continuano a espandere l’industria del gas liquefatto nel Golfo del Messico”.

In particolare, lo scorso anno, l’Italia ha incrementato le importazioni di Gnl dagli Stati Uniti, in risposta alla crisi energetica e al conflitto russo-ucraino, diventando il sesto importatore globale di Gnl americano nel 2022.

Tra l’altro, osservano gli autori del documento, si stima che circa l’80% del gas proveniente dagli States sia gas di scisto, prodotto con tecniche invasive e dannose per l’ambiente (il cosiddetto fracking o “fratturazione orizzontale”).

Intanto il Gnl continua ad arrivare anche dalla Russia. Nel 2022, scrive ReCommon, “le esportazioni di Gnl di Mosca sono cresciute del 10%, e circa il 43% del totale ha avuto l’Unione europea come destinatario finale”.

A trainare le forniture di questo gas è la società russa Novatek, perlopiù tramite l’impianto di produzione Yamal Lng. Buona parte del gas liquefatto russo non arriva direttamente nei terminali di rigassificazione dei Paesi destinatari, ma in alcuni terminali-chiave come quello di Barcellona.

“La narrativa della sicurezza energetica – evidenzia il report – giustifica l’espansione dei due terminali di Snam che dovrebbero ricevere il gas ‘spagnolo’: Panigaglia e Livorno”.

D’altronde il piano strategico di Snam prevede di investire 9 miliardi di euro (su 10 complessivi) in nuove infrastrutture per il gas. La società punta a coprire il 40% del consumo italiano di gas con il Gnl entro il 2026.

Ma come evidenziava la Iea nell’outlook sui mercati del gas, una parte consistente della capacità Gnl attuale e in corso di realizzazione potrebbe non servire, in uno scenario di transizione energetica accelerata verso le fonti rinnovabili. E molti impianti diventerebbero stranded asset, cioè degli asset non più remunerativi.

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