Eni ha guadagnato 500 milioni di euro giocando a Monopoli sulla pelle del Pakistan

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La denuncia ReCommon, secondo cui la mossa avrebbe aggravato la carenza energetica del Paese asiatico, esacerbando la sua crisi economica.

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Eni ha guadagnato circa 500 milioni di euro cancellando una serie di consegne di gas naturale liquefatto (Gnl) al Pakistan negli ultimi due anni, e rivendendo il Gnl ad altri clienti a prezzi maggiori durante l’impennata delle quotazioni registrata sulla scia dell’invasione russa dell’Ucraina.

È quanto sostiene ReCommon, associazione senza scopi di lucro che promuove il cambiamento energetico, secondo cui la mossa di Eni avrebbe aggravato la carenza energetica del Paese asiatico, esacerbando la sua crisi economica, già resa difficile da inondazioni senza precedenti nello stesso periodo.

Fra l’agosto del 2021 e il febbraio del 2023, il cane a sei zampe non avrebbe consegnato una serie di spedizioni programmate nell’ambito di un contratto a lungo termine col Pakistan per la fornitura di un carico di Gnl al mese.

In quel periodo le navi di Gnl noleggiate da Eni hanno smesso di fare rotta dall’Egitto verso il Pakistan, deviando i loro carichi in Turchia, si legge in una nota dell’organizzazione.

“Ogni carico corrisponde a circa 60mila tonnellate di Gnl, e il volume complessivo non consegnato a causa delle 8 cancellazioni è di poco inferiore alle 500mila tonnellate di Gnl”, ha indicato ReCommon, secondo cui dal terminal di Damietta, in Egitto, i flussi di Gnl hanno iniziato ad andare verso il terminal turco di Marmara Ereğlisi, operato dalla società turca del gas Botas.

Poiché, in caso di mancato rispetto delle consegne, la penale prevista è pari solo al 30% del valore del carico cancellato, e poiché in quei mesi il prezzo spot del Gnl sul mercato europeo di riferimento compensava più che abbondantemente il costo della penale, Eni avrebbe deciso di pagare la penale o trovare comunque altri accordi con la controparte e cedere quel gas ad un migliore offerente. E così ha realizzato un profitto extra di circa mezzo miliardo di euro, secondo l’analisi di ReCommon a cui ha collaborato l’organizzazione gemella SourceMaterial.

Botas ha ricevuto 19 carichi di Gnl provenienti da Damietta, di cui Eni è parzialmente proprietaria, nel 2022, mentre il Pakistan ne ha ricevuto solo uno.

Eni nega vantaggi

Eni, da parte sua, ha negato di aver tratto vantaggio dalla situazione, indicando che tutti i carichi non consegnati al Pakistan erano al di fuori di una sua ragionevole capacità di controllo.

La società avrebbe, cioè, applicato clausole di forza maggiore, che scattano quando, per ragioni indipendenti dalla volontà di un’azienda e su cui l’azienda non ha alcuna possibilità di influenza, non si riesce a rispettare i termini del contratto.

“Solo quando non erano disponibili soluzioni commerciali reciprocamente accettabili, sono state applicate le disposizioni contrattuali per la mancata consegna”, ha dichiarato la società in risposta al rapporto. Abbiamo “in tutti i casi valutato e concordato soluzioni commerciali alternative tra le parti interessate, tra cui la fornitura di carichi sostitutivi, la riprogrammazione e il rinvio”, ha comunicato Eni.

Il governo pakistano si è limitato a dire che “la mancata fornitura di carichi di Gnl da parte dell’Eni è una questione contrattuale coperta da disposizioni di riservatezza“.

Secondo dati governativi analizzati da Bloomberg, Eni non ha consegnato al Pakistan almeno quattro delle 12 spedizioni effettuate fino a febbraio 2023.

All’epoca, anche Eni era alle prese con una carenza di forniture a seguito di problemi di produzione presso il suo impianto di Gnl in Nigeria. Questo avrebbe portato a una riduzione delle spedizioni della società, secondo operatori a conoscenza della questione, citati da Bloomberg.

Eni non sarebbe comunque la sola ad avere dirottato parte delle forniture verso altri clienti. Anche Gunvor, una società di trading energetico cipriota, che aveva dei contratti col Pakistan, avrebbe indirizzato alcuni carichi destinati al Paese asiatico verso il più remunerativo mercato europeo, secondo Energy Intelligence.

L’impennata dei prezzi nei mesi scorsi ha generato profitti record per molte aziende del settore, da Shell a Woodside Energy, ed Eni non ha fatto eccezione, con utili legati al gas di 2,1 miliardi di euro, prima di interessi e tasse.

Il calo delle consegne al Pakistan ha esacerbato i blackout diffusi nel Paese, dove gli importatori non sono riusciti a trovare forniture alternative, anche a causa di una disponibilità carente di valuta pregiata con cui pagare importazioni più costose.

Conclusioni

Le regole dei codici e quelle sottoscritte dalle controparti di un contratto le fanno i legislatori e il mercato. In questa “partita di Monopoli”, in cui Eni sembra aver rispettato almeno formalmente tali regole, verrebbe da parafrasare Humphry Bogart nel celebre film “L’ultima minaccia”: è il mercato bellezza, e tu non ci puoi far niente, niente!

Eni, come società quotata in borsa e gruppo strategico per gli interessi dell’Italia, è responsabile in primo luogo nei confronti dei suoi azionisti, fra cui lo Stato italiano. La si può criticare per le sue scelte dal punto di vista delle strategie di decarbonizzazione e del raggiungimento degli obiettivi climatici o per una visione miope e di breve termine.

È più difficile criticarla se, applicando le regole del gioco, guadagna di più e risponde alle istanze dei propri azionisti, anche da un punto di vista geopolitico o della ragion di Stato, per quanto mal riposte e mal ragionate tali istanze possano essere.

Se la cosa non piace, bisogna cambiare le regole del gioco e le sue priorità.

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