L’energia nucleare è davvero carbon-free?

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Le centrali nucleari non emettono CO2, ma se si guarda alla lunga e complessa filiera e al loro ciclo di vita si possono stimare significative emissioni, che potrebbero aumentare molto in futuro.

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Uno dei cavalli di battaglia di chi sostiene il nucleare è che le centrali nucleari non emettono CO2 e che, quindi, il ricorso massiccio all’atomo è una reale opportunità per contrastare il cambiamento climatico.

Se però si ragiona in una logica di filiera, analizzando il ciclo di vita complessivo della centrale, si scopre che solo le operazioni nel reattore sono “carbon free” (cioè senza emissioni di CO2).

Tutte le altre operazioni della filiera del combustibile, dall’estrazione dalle miniere, frantumazione e macinazione, fabbricazione del combustibile, arricchimento e gestione delle scorie, oltre che la stessa costruzione della centrale, il suo futuro “decomissioning” per non parlare della gestione di tutte le scorie radioattive, necessitano di parecchia energia da fonte fossile e conseguentemente provocano forti emissioni di CO2.

Queste emissioni sono state quantificate ormai da molti ricercatori indipendenti dall’industria nucleare.

Uno studio molto dettagliato è stato condotto da Jan Willem Storm Van Leeuwen, docente dell’Università di Groningen, consulente indipendente e membro del “Nuclear Consulting Group”. Questo studio del 2019, Radioactive waste management – future CO2 emissions (pdf), rivela che le emissioni di CO2 dipendono fondamentalmente dalla concentrazione di ossido di uranio (U3O8 – detto anche “yellowcake”) nel minerale estratto.

Se consideriamo il minerale “high grade” con un minimo di 0,1% di ossido di uranio, da ogni tonnellata di minerale grezzo si ricava un kg di ossido di uranio. Se prendiamo in esame il più diffuso “low grade”, ossia con concentrazioni non inferiori allo 0,01% di ossido di uranio, per ottenere un kg di yellowcake occorre trattare 10 tonnellate di minerale grezzo.

Se poi consideriamo che nello yellowcake la concentrazione di uranio fissile (235) rispetto l’uranio naturale (238) è intorno allo 0,5% e che per alimentare i comuni reattori di potenza nel mondo occorre operare un processo di arricchimento che porti l’isotopo fissile 235 tra il 3 e il 5%, Storm van Leeuwen ha calcolato che il consumo di energia fossile per questi processi di fabbricazione è così grande che le quantità di CO2 emessa è comparabile con quella emessa da un equivalente ciclo combinato alimentato a gas naturale.

Tra tutte le filiere esistenti per produrre energia elettrica, l’energia nucleare è sicuramente il sistema più complesso mai realizzato. La centrale nucleare non è un sistema stand-alone, ma è solo la parte più visibile di un sistema lungo e complesso di vari processi industriali.

La catena dei processi industriali per produrre energia elettronucleare si può suddividere in tre parti principali: front-end, mid section e back-end.

Il front-end (chiamato anche up-stream o processo a monte) comprende i processi industriali necessari per fabbricare il combustibile nucleare (uranio arricchito), partendo dal minerale di Uranio che si trova in natura.

La sezione centrale (mid-section) include la costruzione della centrale elettronucleare e il suo funzionamento, compresa la conduzione e la manutenzione (O&M).

Il back-end (chiamato anche down-stream o processo a valle) include i processi industriali necessari per smaltire in sicurezza tutti i rifiuti radioattivi generati dal reattore e da altri processi della filiera: la cosiddetta eredità nucleare.

Ogni processo della catena nucleare consuma materiali ed energia ed emette CO2, oltre che ad altri gas a effetto serra.

La fissione dell’uranio nel reattore nucleare è l’unico processo della catena che non emette CO2.

Le emissioni di altri gas serra del sistema non sono menzionate dall’industria nucleare, sebbene un certo numero di processi della catena molto probabilmente emettano anche altri gas serra.

In sintesi, dobbiamo ribadire questo concetto: la valutazione delle emissioni di CO2 di un impianto elettronucleare deve includere il sistema completo di processi necessari a generare l’energia elettrica, dall’estrazione dell’uranio fino alla gestione delle scorie radioattive, non solo la centrale di potenza.

Nella figura è illustrato il processo completo, dalla culla alla tomba, di un impianto nucleare.

Le emissioni attuali di CO2 della filiera nucleare

Storm van Leeuwen ha stimato le emissioni di CO2 (gCO2/kWh) del processo a monte (up-stream) dall’estrazione del minerale uranifero fino alla costruzione e gestione di una centrale termonucleare di tipo avanzato:

L’autore ha stimato anche le emissioni di CO2 del processo a valle, vale a dire le emissioni future per le operazioni di decommissioning delle centrali, la gestione dei rifiuti radioattivi e il confinamento definitivo dei rifiuti nucleari.

Il totale delle emissioni di CO2 per l’intero processo, dalla culla alla tomba, di un attuale reattore avanzato che utilizza uranio con un grado di purezza dello 0,10% (ovvero un grammo di U per kg di minerale grezzo), conduce a un valore intorno ai 164 grammi di CO2 per ogni kWh prodotto.

L’energy cliff o la scogliera energetica

La qualità termodinamica di una risorsa di uranio è il fattore determinante per essere considerata o meno una fonte di energia netta.

Essa è definita come la quantità netta di energia utile che può essere estratta da 1 kg di uranio naturale, ovvero la quantità di elettricità disponibile per il consumatore, meno il lavoro necessario per estrarre e lavorare 1 kg di uranio puro dalla crosta terrestre.

Se l’estrazione e la lavorazione di 1 kg di uranio richiede più lavoro della quantità che può essere generata da quell’uranio, la risorsa in questione non è una fonte di energia, ma un dissipatore di energia.

Il contenuto energetico netto dell’uranio naturale è quindi funzione della qualità del minerale, ossia del grado di concentrazione di uranio nel minerale estratto.

Al di sotto di un “grade” di 0,01% (0,1 g di uranio per kg di minerale grezzo), nessuna generazione netta di energia è possibile.

Il diagramma a barre (fonte: www.stormsmith.nl/novelnotions.html) rappresenta la distribuzione del “grade” dell’uranio attualmente recuperabile in base alle risorse conosciute. I minerali di uranio più “magri” contengono circa 2.000 volte meno uranio per kg di roccia rispetto a quelli più ricchi: 0,1 g U/kg minerale contro circa 200 g U/kg di minerale.

Il grado medio mondiale delle miniere attualmente operative si trova nella gamma tra 0,2 e 2 g U/kg di minerale.

La trappola della CO2

Con l’aumento del consumo di energia dovuta alla diminuzione della qualità del minerale di uranio estratto si verifica, evidentemente, un aumento delle emissioni di CO2 per kg uranio recuperato.

La figura successiva rappresenta la curva delle emissioni di CO2 in funzione del grado di purezza dei minerali uraniferi estratti.

Attualmente, una centrale a ciclo combinato a gas di nuova generazione emette intorno ai 320 grammi di CO2 per ogni kWh prodotto.

Un impianto nucleare odierno, che utilizza uranio proveniente da minerale con una concentrazione o “grade” dello 0,10%, emette circa il 30% della CO2 rispetto ad un ciclo combinato a gas, considerando però solo i processi up-stream.

Per cui è vero che il nucleare emette molta meno CO2 di un impianto a gas, per non parlare di un impianto a carbone che ne emette 6 volte di più. Ma la pacchia durerà finché sarà disponibile uranio con una concentrazione di almeno lo 0,10%.

Man mano che la purezza del minerale di uranio diminuisce, le emissioni di CO2 aumentano. Ad una concentrazione di 0,1 gU/kg (grade di 0,01%), le emissioni di una filiera nucleare eguaglieranno le emissioni up-stream di un impianto a gas.

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