Diversificare le forniture di gas e quel possibile zampino russo anche sul corridoio Sud

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Un’analisi mostra che limitarsi a diversificare le vie di approvvigionamento è una strada scivolosa: dobbiamo ridurre la dipendenza dal gas in generale, non solo dal gas “russo”.

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Nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina, la vita di milioni di persone è appesa a un negoziato in cui il gas gioca un ruolo centrale.

Se da un lato chiudere con le importazioni di gas, petrolio e carbone dalla Russia è la prima cosa da fare, la proposta dell’Ue di sostituire le importazioni di gas russo con gas che proviene da altri paesi, e soprattutto Gnl trasportato via mare verso l’Italia e altri paesi, non risolve la nostra dipendenza dal gas, e rischia di accelerare la crisi climatica, senza incidere probabilmente sui prezzi al consumo.

La considerazione arriva in un’analisi pubblicata da ReCommon e curata da Elena Gerebizza e Filippo Taglieri, focalizzata su una delle varie soluzioni che si vogliono percorrere per ridurre l’influenza russa sul mercato del gas, il raddoppio del Tap.

Dalla prima crisi tra Russia e Ucraina, si premette, la parola d’ordine dell’Ue è stata una soltanto: diversificare. Intendendo con questo non diversificare le fonti, e quindi ridurre la dipendenza dal gas in generale, ma solamente variare i fornitori di gas, per ridurre la dipendenza da Mosca.

È stata questa la litania che ha giustificato la costruzione di uno dei più grandi gasdotti verso l’Ue: il Corridoio meridionale o Corridoio sud. Un progetto costato circa 45 miliardi di dollari, per buona parte finanziati e garantiti da banche pubbliche europee, che trasporta verso l’Italia 10 miliardi di metri cubi di gas proveniente dai pozzi di Shah Deniz II, in Azerbaigian.

Il governo italiano da mesi non fa che ripeterci che, grazie alla realizzazione del nuovo gasdotto Tap – ovvero l’ultima tratta del Corridoio meridionale, costato 4,5 miliardi di euro – il nostro sistema energetico era ormai al sicuro. È servita una guerra brutale per farci vedere che in realtà non è affatto così. Il Tap ha trasportato nel 2021 circa 7,2 miliardi di metri cubi di gas, di cui circa 6 sono rimasti in Italia. Meno del 10% del gas importato nella penisola, spiegano gli autori.

Il vero game changer, a detta in particolare del sottosegretario agli Affari esteri Manlio Di Stefano, sarebbe il suo raddoppio: se venisse fatto questo investimento, il gasdotto potrebbe trasportare in Europa circa 20 miliardi di metri cubi di gas all’anno, di cui solo una parte rimarrebbe in Italia.

L’aumento della quantità trasportata, di cui si è discusso nell’ottavo incontro del Consiglio ministeriale sul Corridoio meridionale del gas, riguarda la possibile estensione del gasdotto verso i Balcani Occidentali, grazie all’Interconnessione Grecia-Bulgaria (Igb), il cui completamento sta però subendo dei continui ritardi.

Il gas trasportato verrebbe direzionato verso Stara Zagora in Bulgaria, appena qualche chilometro dopo il confine turco, a Komotini. Obiettivo dell’Igb è collegare il Tap al gasdotto Trans Balkan, che trasporta gas russo in Bulgaria.

La sezione turca del Corridoio sud, va ricordato, è già collegata al gasdotto Blue Stream – quello di cui Eni ha promesso di cedere le quote perché posseduto anche da Gazprom – che trasporta gas russo attraverso il Mar Nero, collegandosi appunto al Tanap.

Espandere quindi la portata del Tap, fa notare ReCommon, sembra essere un’agenda tutta italiana, mentre Ue e governi interessati guardano a come portare il gas azero dalla Turchia verso i Balcani.

Ma espanderlo potrebbe servire a portare maggiori quantità di gas anche in Italia? Forse sì. Ma – si chiedono gli autori dell’analisi – quale sarebbe l’origine di questo gas, l’Azerbaigian o la Russia?

A tal riguardo si cita il nuovo accordo di cooperazione siglato tra Russia e Azerbaigian il 22 febbraio 2022 secondo il quale, tra le altre cose, i due paesi “promuoveranno l’ulteriore sviluppo dei legami economici tra le imprese” anche nel petrolio e nel gas.

Lo scorso settembre, Lukoil ha acquistato da BP una quota del 25% nel progetto di esplorazione dell’Azerbaigian Shallow Water Absheron Peninsula (Swap), aumentando quindi la propria presenza nel Caspio e rafforzando la collaborazione con Socar e BP.

In questo contesto, scrivono gli autori dell’analisi, appare chiara anche la strategia di allargamento di Lukoil, che sembra andare di pari passo con quella del governo russo: la società sembrerebbe la favorita per diventare l’operatore del giacimento di petrolio e gas congiunto azero-turkmeno Dostlug, che promette di dare il via ai piani per un gasdotto transcaspico, per portare il gas turkmeno attraverso il Caspio e possibilmente in Europa.

Questo progetto è stato sempre promosso come di interesse statunitense per liberare verso ovest le ingenti risorse del Turkmenistan, tagliando fuori la Russia. Ma ora questa ci metterebbe il suo zampino con Lukoil.

Secondo alcuni analisti, la maggior presenza della compagnia russa in Azerbaigian aumenterà inevitabilmente l’influenza della Russia: avere una così grande partecipazione in Shah Deniz dà a Lukoil una voce piuttosto forte nell’accesso alle strutture azere, utilizzate per elaborare il gas per l’esportazione. Altri vanno oltre, avvertendo che la posizione di Lukoil in così tanti progetti azeri dà alla compagnia accesso a informazioni che potrebbero essere usate contro gli interessi di Baku.

“Avranno accesso a tutti i dati sui mercati a cui viene venduto il gas azero, i clienti, i prezzi, i volumi, così come i dettagli delle portate, i piani di manutenzione ed eventuali arresti, tutte informazioni molto utili per un concorrente”, ha detto a Eurasianet un ex funzionario di alto livello del settore del gas turco, a condizione di rimanere anonimo.

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