Decreto caro energia: troppo spazio al gas e sulle rinnovabili solo greenwashing

Il commento di Greenpeace al decreto approvato venerdì sera in CdM. Critico anche il senatore Girotto.

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Uno sbilanciamento verso il gas e ancora poco coraggio verso le rinnovabili.

Questi in sintesi i primi pareri che arrivano da Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia, e dal presidente della Commissione Industria del Senato, il pentastellato Gianni Girotto, dopo le bozze dei decreti usciti dal Consiglio dei Ministri di venerdì 18 febbraio su caro energia, gas e rinnovabili e cessione del credito.

A sollevare le polemiche è in particolare quanto previsto dal decreto sul caro energia, che prevede l’obiettivo di aumentare di 2 miliardi di metri cubi la produzione di gas nazionale dai pozzi esistenti, e di immetterli nel mercato con un meccanismo di contratti a lungo termine a prezzo prefissato.

“Rispetto al consumo di gas di 76 miliardi di metri cubi registrato nel 2021, si tratta di una quantità limitata che, pur gestita al di fuori del mercato spot, potrà beneficiare solo pochi (grandi?) consumatori”, spiega Onufrio, sottolineando che la situazione non cambierebbe nemmeno con il raddoppio della produzione nazionale di gas.

Sul tema si è espresso di recente anche “Ecco“, think tank italiano fondato nel 2021 e specializzato in energia e clima, spiegando che espandere la produzione nazionale di gas “non avrebbe alcun impatto rilevante nel prezzo di mercato del gas e quindi per le bollette di imprese e consumatori” e, al contrario, “minerebbe la credibilità internazionale dell’Italia sul clima”, soprattutto alla luce degli impegni presi alla Cop26 di Glasgow.

Questa resistenza del settore petrolifero e del gas resta una questione centrale della transizione energetica – continua il direttore dell’associazione ambientalista – e la natura oligopolistica di questi settori sembra la vera ragione per cui non vediamo (e forse non vedremo) ancora una vera svolta sostenibile ma solo greenwashing.

Rispetto al numero limitato di grandi aziende a livello globale in questo mercato fossile riservato a pochi, spiega Onufrio, quello delle fonti rinnovabili è invece un mercato estremamente competitivo con migliaia di aziende di dimensioni grandi, medie e piccole.

Secondo Onufrio anche l’idea di puntare sulle tecnologie di cattura e sequestro della CO2 (CCS) – che hanno segnato, anche di recente, clamorosi fallimenti – per mantenere gli asset fossili utilizzabili anche in prospettiva e persino il battage, privo di fondamento, sulla fusione nucleare, rivelano il desiderio di voler mantenere un mercato dell’energia per pochi e grandi operatori.

È diverso anche il modello di business: le aziende fossili investono in pochi impianti relativamente grandi e costosi, con tempi di rientro dei capitali lunghi, mentre investire nelle rinnovabili significa fare moltissimi impianti con costi calanti e tempi di ritorno più brevi.

Forse per questo nel testo dei decreti si legge ancora troppa poca decisione e poco metodo nello spingere verso le fonti di energia rinnovabile e il risparmio energetico, che sarebbero invece – secondo Girotto – “le uniche vere soluzioni, se vogliamo ambire a bollette più contenute”.

Nei testi dei decreti ci sono però anche degli aspetti positivi, come le semplificazioni sulle procedure autorizzative ma, commenta Girotto, “sono ancora decisamente insufficienti e poco razionali”.

Inoltre – insiste il senatore – i sussidi “a pioggia” e a fondo perduto forse non sono il metodo più efficiente per spingere il settore fer.

Nel Dl Energia manca inoltre un ripensamento sull’art. 16 del “Sostegni Ter”, che chiede un sacrificio esagerato proprio alle rinnovabili, mentre nulla chiede alle fossili, che sono la causa scatenante degli aumenti.

“Ancora una volta – conclude Girotto – sembra un provvedimento per niente coraggioso scritto da tecnici chiusi nei palazzi, che non si confrontano con il mondo reale degli operatori”.

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