Altro che freno alla crescita del Paese. La completa decarbonizzazione del sistema elettrico italiano entro il 2035 può rappresentare, se sapremo coglierla, un’enorme opportunità per l’economia.
La transizione energetica può creare diversi posti di lavoro, stimolando l’innovazione e favorendo una ripresa economica “duratura e sostenibile”.
Lo evidenzia il “Rapporto sugli impatti economici e occupazionali delle politiche per un sistema elettrico italiano decarbonizzato nel 2035” (link in basso), presentato il 12 novembre e curato da Fondazione Ecosistemi per conto di WWF Italia.
Nel report vengono considerate otto filiere produttive: reti con linee aeree, reti con linee sottomarine, fotovoltaico a terra, fotovoltaico su tetto, eolico onshore, eolico offshore, biomasse, idroelettrico. Di ognuna, vengono indagate le principali fasi del ciclo di vita: costruzione, installazione, manutenzione. Il decommissioning viene trattato a parte perché non esistono dati per tutte le filiere considerate.
Secondo gli analisti, gli investimenti necessari al 2035 per la “sola” realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili ammontano a 161,2 miliardi di euro, con un costo di gestione attualizzato nei dieci anni di circa 27,5 miliardi.
I vantaggi economici (diretti, indiretti e indotti) che resteranno in Italia ammontano a 350,6 miliardi di euro, distribuiti tra vari settori: 140,6 miliardi per la manifattura, 116,6 per l’edilizia, 35,4 per i servizi e le professioni e 93,4 per altre attività economiche.
Per quel che riguarda la stima degli occupati al 2035, collegati al solo settore delle Fer ed espressi in ULA (unità di misura che rappresenta il numero medio mensile di dipendenti occupati a tempo pieno nell’impresa), complessivamente ammontano a 104.212 unità, così suddivise:
- fase di produzione: 5.375 unità, 1.701 in Italia e 3.674 all’estero;
- fase di installazione: 48.802 unità, tutte in Italia;
- fase di gestione fino al 2035: 50.036 unità, di cui 42.770 in Italia e 7.266 all’estero.
In totale, quasi il 90% di queste opportunità occupazionali resterà in Italia, con 93.273 ULA locali contro 10.939 ULA all’estero.
Il settore delle Fer, considerando il ciclo di vita di 25 anni degli impianti, creerà complessivamente 1,3 milioni di unità di lavoro, con circa 1,1 milioni di unità nelle attività di gestione (di cui 1,06 milioni localizzate in Italia). La maggior parte di queste, come mostra il grafico in basso, sarà assorbita dal fotovoltaico a terra utility scale.
Lo studio, che si basa su due precedenti documenti elaborati da ECCO e Artelys (“Politiche per un sistema elettrico italiano decarbonizzato nel 2035” e “Development of a transition pathway towards a close to net-zero electricity sector in Italy by 2035”), pone alcune presupposti che dovranno verificarsi affinché le previsioni si avverino.
Per quel che riguarda le reti:
- gli investimenti più importanti e di maggiore utilità per il sistema elettrico con il Piano di Sviluppo della rete di trasmissione di Terna (sia del 2021, per un ammontare pari a 18,1 mld €, che del 2023, per un ammontare pari a 21 mld €), devono essere realizzati entro il 2035;
- deve entrare pienamente in vigore la Delibera 345/2023/R/eel del 25 luglio 2023, con cui l’Arera ha approvato il Testo Integrato del Dispacciamento Elettrico (TIDE), che propone un modello di dispacciamento in cui tutte le risorse della rete possano assumere il ruolo di produttore o consumatore di energia e quello complementare di modificare la produzione e i consumi, su richiesta del gestore della rete;
- l’Ue deve rafforzare la continuità del mercato dell’energia, attraverso strumenti per la contrattualizzazione e aiuto alla finanziabilità delle Fer, sviluppo di sistemi e tecnologie complementari alle rinnovabili per la sicurezza del sistema elettrico, responsabilizzazione e partecipazione della domanda all’efficientamento dei sistemi elettrici.
Per le previsioni sugli impianti Fer, queste muovono da altri presupposti, tra i quali:
- che si arrivi ad avere potenze installate di produzione elettrica da fonti rinnovabili 8 volte superiori a quelle attuali, fino a circa 250 GW di capacità installata nel 2035 (per quasi 450 TWh di produzione nazionale);
- che non entri in funzione nessun nuovo impianto di CCS (Carbon Capture Usage and Storage);
- che sia previsto un tetto massimo alla capacità di generazione elettrica da biomasse;
- che sia posto un limite all’affidamento alle importazioni pari a 40 TWh, per evitare che il sistema si basi in modo eccessivo sulla decarbonizzazione generata fuori dall’Italia.
Per quanto riguarda le reti, si stimano investimenti pari a circa 31 miliardi di euro e costi di gestione di circa 3,7 miliardi.
Gli impatti economici diretti, indiretti e indotti che resteranno in Italia ammontano a 48,6 miliardi, la cui distribuzione ricadrà per 19 miliardi su redditi e investimenti delle attività manifatturiere, 18,5 sull’edilizia, 5,8 miliardi su servizi e professioni, 11,2 miliardi sul resto delle attività.
In termini occupazionali, il report stima “in modo molto prudenziale” al 2035 circa 12.094 ULA localizzate in Italia e 1.422 all’estero.
La stragrande maggioranza di queste (10.602 ULA) sarà concentrata tutta in Italia, nella fase di installazione. È stata poi anche fornita una previsione degli impatti occupazionali durante l’intero ciclo di vita delle reti (considerato di 50 anni) che ammonterebbe a 57.079 unità, con circa 44.452 unità nelle attività fase di gestione (esercizio e manutenzione), di cui l’82% circa in Italia.
- Il report (pdf)