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Cop26, risultati e limiti della conferenza sul clima

Luci e ombre della conferenza Onu di Glasgow. Quali risultati possiamo valutare positivi?

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È inevitabile la difficoltà di mettere d’accordo tutti paesi presenti alle Conferenze sul clima.

Ma in un processo partecipativo, se da un lato si cerca di spostare sempre più in alto l’asticella degli obiettivi, dall’altro è necessario raggiungere una mediazione accettabile da tutte le quasi 200 nazioni coinvolte.

Ed è indubbia l’evoluzione che si è avuta dalla firma del Protocollo di Kyoto del 1997, che vedeva impegnate solo le nazioni industrializzate (ma con la defezione del Canada e la non ratifica da parte degli Usa), all’Accordo di Parigi del 2015.

In quella occasione venne adottato l’importante target dei 2 °C da non superare rispetto all’era preindustriale (ma senza impegni vincolanti). Per finire con la Cop26 appena conclusa a Glasgow.  Insomma, una slavina che si è trasformata in una piccola valanga e che potrebbe diventare in futuro così potente da spezzare i vecchi assetti e aprire la strada ad un mondo ambientalmente e socialmente più sostenibile.

Quest’ultima conferenza è stata fortemente influenzata dalla decisiva pressione di milioni di giovani mobilitati nelle strade di mezzo mondo. Ricordiamo che la Commissaria UE, Ursula von Der Leyen, ha esplicitamente sottolineato di essersi decisa ad alzare il target europeo di riduzione delle emissioni al 2030 dal 40 al 55% rispetto al 1990 proprio dalla sollecitazione venuta dalle marce di giovani che hanno invaso le città.

Quale giudizio dare sulle conclusioni della COP?

Ci sono certamente dei risultati positivi. Ne citerei tre principali, ma anche molti aspetti ancora da affrontare.

È stato mantenuto l’obiettivo di 1,5 °C. Ricordiamo che oggi già viviamo, drammaticamente, un incremento di 1,1 °C.

All’inizio del 2015 è uscito per Edizioni Ambiente un mio libro dal titolo ”2 °C, Innovazioni radicali per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia”, seguito da una nuova edizione nel 2016 dopo la Cop21. Il titolo è rimasto lo stesso malgrado nell’Accordo di Parigi la pressione delle piccole isole del Pacifico avesse fatto aggiungere nel testo finale “di evitare possibilmente di superare 1,5 °C” che avrebbe potuto farle sparire sott’acqua.

E il successivo rapporto degli scienziati dell’IPCC uscito nell’ottobre 2018 “Special Report on Global Warming of 1.5 °C” aveva in effetti evidenziato i gravi rischi collegati ad un superamento di questa temperatura.

Dunque, che al centro dei risultati della Cop di Glasgow ci sia stato solo il riferimento al grado e mezzo di incremento va considerato sicuramente un ottimo segnale.

Naturalmente si tratta di un obiettivo tutt’altro che scontato. Ma da questo punto di vista, un secondo risultato importante riguarda la richiesta, a tutti i paesi che non l’hanno ancora fatto, di alzare i propri obiettivi di riduzione al 2030 presentandoli alla prossima conferenza che si terrà a novembre 2022 in Egitto.

Va poi sottolineata la sostituzione all’ultimo minuto dell’impegno a “intensificare gli sforzi verso la riduzione”, e non più “verso l’eliminazione”, del carbone senza sistemi di cattura dell’anidride carbonica (molto costosi e applicabili solo per una parte delle centrali) e la fine dei sussidi ai combustibili fossili inefficienti.

Il passaggio dal “phasing out” al “phasing down” imposto dall’India ha provocato molti malumori tra i delegati.

Ma anche su questo bisogna essere chiari. È la prima volta nelle conferenze sul clima delle Nazioni Unite che si cita espressamente il combustibile più dannoso. Inoltre, evidentemente, paesi come l’India, la Cina, ma anche il Sud Africa e l’Australia, e vicino a noi la Polonia e la Serbia, che dipendono dal carbone per il 60-80% della generazione elettrica, hanno bisogno di tempo per ridurne l’uso.

Si tratterà di capire quindi come accelerarne l’uscita di scena con una forte spinta sulle rinnovabili. L’India ad esempio punta a passare dagli attuali 150 GW solari ed eolici a 500 GW nel 2030. Ma potrebbe fare di più se arrivassero le famose risorse promesse nel 2009 dai paesi ricchi.

Dallo scrittore di fantascienza Isaac Asimov, viene un messaggio prezioso per i negoziatori della Cop26:

“Nessuna decisione sensata può più essere presa considerando non solo il mondo come è, ma il mondo come sarà”.

Dunque l’inserimento della riduzione dei combustibili fossili rappresenta una scelta importante.

Oltre a questi tre impegni, è da considerare significativa la decisione di bloccare la deforestazione entro il 2030 (anche se si sarebbe dovuta anticipare la data) e di ridurre del 30% le perdite di metano, dall’estrazione ai gasdotti, dannosissime per il clima.

Sui 100 miliardi annui da dare ai paesi poveri più colpiti dai danni climatici si continua purtroppo a rimandare, ma con la promessa di raddoppiare la cifra dopo il 2025.

E c’è anche da segnalare la novità del capitolo del “Loss and Damage” e cioè di come e quanto risarcire i paesi più poveri pesantemente colpiti da uragani, alluvioni, siccità, incendi…

Per finire, non si può dimenticare l’imprevisto accordo di collaborazione tra Cina e Usa. Malgrado le forti frizioni tra i due paesi, questa decisione che si concretizzerà già lunedì 15 con un primo colloquio tra Biden e Xi Jinping, consente di immaginare una sorta di prosecuzione della Cop26 ed una messa in prova del “Glasgow Climate Pact” appena approvato.

Naturalmente molti sono stati delusi dalle conclusioni della conferenza e in effetti ci si aspettava una maggiore radicalità rispetto ad un’emergenza climatica che continua ad accelerare. Ma la speranza è che si sia messo in moto un meccanismo che porterà ad uno straordinario trasferimento di risorse pubbliche e soprattutto private dal mondo dei fossili alle soluzioni in grado di ridurre le emissioni.

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