La Cina vola sulle rinnovabili e studia un Ets sul modello europeo

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Il paese asiatico spinge con le nuove installazioni anche nel 2025. Entro il 2030 potrebbe varare un nuovo sistema di scambio di quote di emissioni.

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Il 2025 della Cina è iniziato con una forte spinta di nuove installazioni di fonti rinnovabili.

Tra gennaio e maggio il Paese ha realizzato 198 GW di fotovoltaico e 46 GW di eolico, secondo un’analisi condotta da Lauri Myllyvirta, ricercatore senior dell’Asia Society Policy Institute.

Numeri che confermano il ruolo di Pechino come motore principale delle cleantech mondiali, pur rappresentando soltanto una delle due facce della medaglia. Il gigante asiatico infatti resta anche uno dei Paesi più inquinanti, con la sua economia ancora strettamente legata alle fonti fossili.

Una strategia, quella cinese, che l’Ispi in una recente analisi ha riassunto nel concetto “first set up the new, then remove the old”, per cui la riduzione delle fonti fossili nel mix energetico avviene in modo graduale e proporzionale alla capacità delle rinnovabili di garantire un’adeguata sicurezza al sistema.

Il Paese resta ancora il maggiore consumatore globale di combustibili fossili, in particolare di carbone che, nel 2024, rappresentava il 58% dell’intero mix energetico.

Oggi l’80% delle centrali a carbone in costruzione nel mondo è in capo alla Cina. Nel 2024 sono stati autorizzati nuovi impianti alimentati con questa fonte per circa 66 GW.

Il gigante asiatico è anche il primo consumatore e importatore di greggio, con la Russia suo principale fornitore, dopo aver superato l’Arabia Saudita a fine 2022.

Sebbene il ruolo delle fonti fossili complichi il raggiungimento dei dual-carbon goals, annunciati dal presidente Xi Jinping nel 2021 davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (picco delle emissioni intorno al 2030 e neutralità carbonica al 2060), l’accelerazione delle rinnovabili nel Paese non ha eguali.

Il primato nelle rinnovabili

La Cina è ancora il più grande emettitore annuale di gas serra, con una quota globale del 30%, ma riesce a coprire la nuova domanda di elettricità (+6,8% nel 2024) con le nuove rinnovabili installate. Nel 2024 il Paese ha rappresentato il 34% degli investimenti globali cleantech per circa 650 miliardi di dollari.

Questi settori oggi contribuiscono al 10% del prodotto interno lordo cinese e, sempre lo scorso anno, hanno contribuito per un quarto alla crescita complessiva dell’economia.

La produzione di elettricità rinnovabile è cresciuta del 15% nel 2024 rispetto al 2023 (l’incremento era  del +6% l’anno precedente). Nel primo trimestre del 2025 sono stati generati 950 TWh da Fer, con una crescita del 19% rispetto allo stesso periodo nel 2024.

Va evidenziato che l’anno scorso la Cina ha raggiunto 1.400 GW di potenza fotovoltaica ed eolica, obiettivo che era previsto al 2030.

Gli analisti Ispi evidenziano però due criticità strutturali che ancora ostacolano una migliore integrazione delle rinnovabili nel sistema cinese.

La prima è sul piano infrastrutturale: pur essendo la Cina il più grande investitore in nuove reti elettriche (spende da sola più di tutti gli altri Paesi, con più di 88 miliardi di dollari previsti nel 2025), non è ancora in grado di reggere il passo delle nuove installazioni.

La seconda è sul piano politico e normativo: la presenza di numerosi contratti provinciali di lunga durata per approvvigionamento da fonti fossili (in particolare carbone) non crea incentivi sufficienti per accelerare la transizione energetica.

Il problema dell’overcapacity

Al tempo stesso il Paese è chiamato ad affrontare il grande problema industriale dell’overcapacity.

La Cina produce l’80% dei pannelli fotovoltaici del mondo, il doppio della domanda globale, e produce sistemi di accumulo a batteria pari all’intera domanda globale.

Fabbrica inoltre il 70% dei veicoli elettrici del mondo. Si tratta di un eccesso di capacità produttiva che ha portato a un crescente protezionismo, sotto forma di tariffe di importazione, nei principali mercati concorrenti, come Europa e Usa.

Per questo Pechino guarda anche alle economie emergenti, come valvola di sfogo per la sua sovracapacità. In un’ottica di diversificazione del rischio, si stanno intensificando i rapporti con i paesi del Golfo arabico e il Sud-est asiatico.

Nel caso degli Stati membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Kuwait, Qatar e Bahrein), l’obiettivo è duplice: da un lato, aggirare le barriere che gli Usa stanno man mano applicando; dall’altro, riequilibrare la bilancia commerciale con questi Paesi, da cui arriva la gran parte dell’import di petrolio e gas.

A proposito del conflitto commerciale con gli Stati Uniti, è interessante notare come, mentre la Cina continui a spingere sulle rinnovabili, questi abbiano recentemente ingranato la retromarcia sulla transizione energetica, con l’imminente approvazione del “Big Beautiful Bill Act”, uno dei pilastri dell’agenda economica di Trump, che di fatto affossa il sistema di crediti fiscali previsti dall’Inflation Reduction Act, colpendo in modo molto duro il settore tecnologie green.

L’Ets europeo arriva in Cina?

Presto in Cina potrebbe inoltre esserci un’importante riforma del sistema nazionale di scambio di quote di emissione.

Al momento non è previsto un limite massimo, ma secondo quanto affermano gli analisti di S&P Global il governo cinese sta pensando di introdurlo entro il 2030.

Il meccanismo attuale adotta un approccio basato sull’intensità energetica, che stabilisce la soglia limite di emissioni gratuite consentite per ogni unità di produzione, come un MWh di elettricità a carbone o una tonnellata di acciaio grezzo.

Ogni impianto riceve un tetto di CO₂ per unità generata, ma le emissioni totali possono ancora crescere se crescerà la produzione.

A maggio però il principale organo amministrativo cinese, il Consiglio di Stato, ha pubblicato alcune linee guida generali per il miglioramento dei mercati ambientali del Paese, affermando per la prima volta la necessità di “spostare gradualmente il sistema Ets nazionale da un mercato basato sull’intensità energetica a un mercato basato sul sistema di scambio di quote di emissione“.

Secondo una guida non pubblica visionata da S&P Global si prevede che entro il 2027 l’Ets cinese coprirà i principali settori industriali ad alta intensità di emissioni ed entro il 2030 dovrebbe basarsi su un limite assoluto, con quote fornite sia liberamente che messe all’asta, così come avviene nell’Unione europea.

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