Dall’infestazione di cavallette in Sardegna agli sciami di cimici asiatiche in varie regioni del nord Italia, senza dimenticare le nubi con migliaia di api o vespe “impazzite” che si sono viste in alcune città (l’ultimo episodio ieri nel centro storico di Rimini): tra le tante domande sulle cause di questi fenomeni, una in particolare merita un approfondimento.
Il cambiamento climatico c’entra qualcosa?
In parte sì, per riassumere il pensiero del prof. Ignazio Floris, entomologo presso la facoltà di Agraria dell’Università di Sassari, sentito da QualEnergia.it per capire se e come l’aumento globale delle temperature stia avendo delle conseguenze sul comportamento degli insetti.
Partiamo dalle cavallette.
Qui il cambiamento climatico entra in gioco con i suoi eventi meteorologici estremi, così definiti perché sono più intensi e frequenti.
In particolare, spiega Floris, “periodi prolungati di siccità accentuano la desertificazione dei terreni e il suolo più arido e secco favorisce la riproduzione delle cavallette con la deposizione delle uova”.
L’abbandono delle campagne fa il resto, perché nelle aree incolte si creano le condizioni ideali per alimentare le infestazioni.
Ecco perché, evidenzia l’esperto, “bisogna puntare di più sulla prevenzione, arando i terreni abbandonati per limitare la proliferazione di cavallette il prossimo anno, poi occorre aumentare i controlli delle zone maggiormente a rischio”.
Difatti, individuando i primi focolai dell’infestazione, è possibile intervenire tempestivamente per stroncare sul nascere l’avanzata delle cavallette. Quindi, in sostanza, è un problema di corretta gestione del territorio, aggravato dalle condizioni climatiche.
Certo il quadro è meno drammatico rispetto al passato, precisa Floris, quando le cavallette colpivano “centinaia di migliaia di ettari in tutta la regione, contro qualche migliaio nella situazione attuale, dove l’infestazione è più circoscritta perché dal secondo dopoguerra sono stati introdotti degli antagonisti naturali, altri insetti che mangiano le uova delle cavallette e quindi sono un fattore biologico che le contrasta”.
Che dire, invece, delle cimici marmorate asiatiche che fanno tribolare gli agricoltori in altre regioni?
In questo secondo caso, prosegue l’esperto dell’Università di Sassari, “parliamo di specie aliene, la cui diffusione è aumentata attraverso gli scambi commerciali, alla globalizzazione che trasporta beni e prodotti da tutto il mondo”. Peraltro, osserva Floris, “in Italia è ancora più difficile eseguire i controlli perché il nostro paese ha tanti punti d’arrivo delle merci”.
Tanti porti, insomma, che facilitano l’importazione involontaria di nuove specie pronte a invadere la nostra penisola, anche grazie all’assenza di nemici naturali che invece sono presenti nei luoghi d’origine.
E il cambiamento climatico, aggiunge Floris, con le sue temperature medie in crescita e gli inverni più caldi, “espande l’area di distribuzione delle cimici”.
D’altronde, il bacino del Mediterraneo è una zona molto esposta alle conseguenze dirette e indirette del surriscaldamento globale, tanto da essere considerata un “hotspot” dai climatologi, perché l’impatto degli eventi estremi (siccità, alluvioni) sarà più devastante in confronto ad altri territori.
Proprio la desertificazione dei suoli citata da Floris, con la perdita di biodiversità e la maggiore diffusione di parassiti, è una delle conseguenze più temute dagli scienziati che studiano l’evoluzione attuale e futura del clima mediterraneo.
Poi lo scioglimento dei ghiacciai alpini, l’innalzamento del livello del mare, le ondate di calore, e così via.
Gli sbalzi climatici e le alterazioni stagionali sono anche la causa della sofferenza per le api: quest’anno il maggio più freddo ha ritardato molte fioriture, mandando così in “tilt” le consuete attività delle api, dalla ricerca del nettare alla produzione di miele.
E come evidenzia infine Coldiretti in una nota (neretti nostri), la cimice marmorata asiatica “è solo l’ultimo dei parassiti alieni che con i cambiamenti climatici hanno invaso l’Italia, provocando all’agricoltura e alle grandi coltivazioni di soia e di mais nel nord Italia danni stimabili in oltre un miliardo”.
Secondo Coldiretti, gli effetti dei cambiamenti climatici “si manifestano con una tendenza al surriscaldamento che si è accentuata negli ultimi anni ma anche con il moltiplicarsi di eventi estremi, sfasamenti stagionali e precipitazioni brevi e anche l’aumento dell’incidenza di infezioni fungine e dello sviluppo di insetti che colpiscono l’agricoltura”.