Caro gas e crisi energetica, ma 47 Comuni del trentino chiedono di essere metanizzati

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Un caso interessante di distacco dalla realtà: ha senso oggi costruire una nuova infrastruttura per il gas quando sono già disponibili tecnologie per rendere autonomi dai combustibili fossili queste amministrazioni e i loro cittadini?

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Vogliamo segnalare un piccolo caso, ma piuttosto emblematico del conservatorismo degli amministratori locali in tema di energia.

Ci sono 47 Comuni del Trentino occidentale, tra la Val di Non e la Val di Sole, che stanno chiedendo, in accordo con la Provincia autonoma di Trento, di essere metanizzati. La Provincia dovrebbe pubblicare il bando in autunno.

Ad oggi in questi paesi il riscaldamento è soddisfatto da gasolio o gpl.

La domanda è d’obbligo: alla luce del tragico momento storico che stiamo vivendo e, soprattutto, visti gli obiettivi di decarbonizzazione che dobbiamo realizzare entro il decennio, che senso ha oggi costruire una nuova infrastruttura per il gas, ammortizzabile in tempi lunghi, quando invece sono già disponibili tecnologie per rendere autonomi dai combustibili fossili queste amministrazioni e i loro cittadini?

Al netto di “interessi” che qui non vogliamo imputare a nessuno, se critichiamo spesso la mancanza di visione energetica futura da parte degli amministratori, qui sembra persino che non ci sia nemmeno la minima percezione della realtà: gli incrementi vertiginosi dei prezzi del metano e una guerra legata anche alle fonti energetiche.

Perché allora non ripensare un modello di fornitura energetica su nuove basi, puntando su pompe di calore, anche geotermiche, energia solare, energia da biomassa a filiera corta per impianti di riscaldamento o anche teleriscaldamento?

Questo progetto della Provincia è stato pensato con la “Strategia provinciale per lo Sviluppo Sostenibile” (SproSS) (qui il pdf), pubblicato a metà ottobre 2021, in cui si prevede di “ampliare la rete di distribuzione del gas metano alle aree non ancora servite nella parte occidentale del Trentino” e di attivare investimenti finalizzati a superare le fonti di energia maggiormente inquinanti.

La strategia provinciale non brilla certamente per decise soluzioni green, ma potrebbe essere rivista alla luce dei recenti eventi. Per fortuna c’è chi, anche se timidamente, su questo fa una interrogazione chiedendo alla Giunta provinciale:

  • se il progetto di estensione della rete di distribuzione del gas metano è stato rivalutato alla luce del nuovo scenario globale;
  • se esistono e sono state valutate per i territori interessati delle soluzioni alternative alla costruzione della rete di distribuzione del gas metano.

Eppure già a gennaio, quando molte criticità erano emerse a livello nazionale, una relazione di 35 pagine del Copasir in tema di energia e transizione ecologica riteneva urgente per l’Italia un piano di sicurezza energetica nazionale, per variare le fonti di approvvigionamento e sviluppare un mix di risorse maggiormente incentrato sulle tecnologie rinnovabili, in modo da attenuare la dipendenza dalle forniture di energia da altri Paesi.

Il documento, sebbene facesse riferimento alla solita solfa del gas come risorsa ponte indispensabile verso la decarbonizzazione (“il gas naturale sembra rappresentare una risorsa irrinunciabile nel breve-medio termine in attesa che possa completarsi la transizione energetica”), ammetteva anche i rischi di un sistema energetico estremamente interconnesso come quello europeo.

Secondo il progetto Gasdotto Alpini del Gruppo Dolimiti Energia la metanizzazione andrebbe sviluppata nell’arco di 10 anni in linea con gli obiettivi energetici della Provincia indicati nel Piano Energetico Ambientale Provinciale 2021-2030 (PEAP), anche in termini di coerenza con le tempistiche previste nel PEAP per l’avvio della concessione di distribuzione del gas naturale a seguito della gara (quindi non prima della fine dell’anno 2023).

Si parla di 169 km di condotte per quasi 84 milioni di euro di investimenti fino al 2030. Si tratterebbe di allacciare 27.500 utenze potenziali, con 11.400 PDR (Punti di Riconsegna del gas).

A metà del 2021 l’analisi costi-benefici dai promotori del progetto riteneva che per la collettività i benefici sarebbero stati molto superiori rispetto ai costi. Ma in 10 mesi il mondo è cambiato, perfino per coloro che sono stati da sempre più distratti su transizione energetica e cambiamenti climatici.

Nonostante la maturità delle tecnologie rinnovabili già elencate, su queste soluzioni ci sono ancora forti resistenze e scarse conoscenze da parte degli amministratori e a volte anche dei cittadini che però andrebbero informati anche con sportelli pubblici ad hoc.

Ci sono ad esempio enormi potenzialità nel recupero del legno nell’area. Basti pensare, sempre nel Trentino, a come il 90% dell’abitato di Cavalese sia riscaldato da biomasse provenienti dagli scarti di lavorazione grazie ad una centrale di teleriscaldamento. Ma le diverse opportunità offerte dallo sviluppo del settore dell’energia delle biomasse sono enormi.

Per non parlare delle pompe di calore geotermiche che erano state oggetto nel 2016 di una ricerca approfondita finanziata dalla stessa Provincia Autonoma di Trento, a Fondazione Bruno Kessler e Università di Padova, dove veniva valutata l’energia disponibile per ciascun sito per metro di profondità.

Il progetto GEOTERM, forse dimenticato dalla stessa Provincia, è una vera e propria mappa del potenziale geotermico della provincia, una soluzione che viene considerata nella presentazione del documento come tra le opzioni più valide per ridurre la dipendenza dall’importazione di risorse energetiche fossili, così come le emissioni climalteranti e per migliorare l’efficienza energetica nella climatizzazione degli edifici.

I risultati del Progetto GEOTERM, si legge, rappresentano anche un ottimo punto di partenza per affermare il nuovo paradigma energetico legato alla generazione diffusa e distribuita di energia da fonti rinnovabili locali. Ecco un altro studio, finanziato dal settore pubblico, che resta lettera morta.

Ci sono proprio nella provincia di Trento diversi impianti geotermici che potrebbero essere considerati come esempi, se non replicabili, certamente da conoscere, sia di privati che di utenze pubbliche. Un caso, per certi versi estremo, quindi molto più complesso di quelli standard, è quello del Rifugio La Roda in cima alla Paganella a 2.200 metri.

Nel 2006, nell’ambito di una ristrutturazione con criteri di bioedilizia, il conduttore, pensò di realizzare un sistema a pompa di calore geotermica per il riscaldamento, stanco di trasportare da Andalo le taniche di gasolio via seggiovia. Grazie ad alcune trivellazioni nella roccia attorno all’edificio e all’installazione dell’impianto oggi evita tutta quella fatica, non inquina e risparmia sui costi energetici. Se è stato fatto lì…

Forse più che fare chilometri di nuovi reti gas, bisognerebbe macinare qualche chilometro in più per scoprire che oggi funzionano benissimo sistemi con cui ci si può riscaldare senza bruciare combustibili fossili (Soluzioni per la casa senza gas).

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