In questi giorni il gas naturale ha toccato 180 euro al MWh. Un prezzo che dice poco quasi a tutti.
Per fare dei paragoni, impropri tecnicamente, ma che rendono l’idea dal punto di vista di quanto stiamo pagando realmente il contenuto energetico delle varie fonti e vettori, è come se il petrolio costasse 300 dollari al barile, o come se, in MWh corrispondenti, un barile costasse 900 dollari, visto che in moneta al MWh l’energia elettrica vale circa 3 volte il gas usato per produrre quell’elettricità.
È questa la fotografia fatta a QualEnergia.it da Stefano Cavriani, esperto del mercato energetico e fondatore della società di trading energetico EGO Energy, secondo cui, se il prezzo del greggio schizzasse a 900 dollari al barile, sarebbe nelle aperture di tutti i Tg e nelle prima pagine di tutti i quotidiani per giorni o settimane.
Purtroppo, sebbene non se ne abbia percezione precisa fra le persone o grande eco sui media generalisti, stiamo proprio pagando questi prezzi, che sono di un ordine di grandezza maggiore rispetto al passato.
Quanto stiamo pagando come paese?
Si tratta di un vero e proprio terremoto energetico che si sta scatenando come fosse al rallentatore sotto i nostri piedi e che potrebbe avere conseguenze disastrose per molte famiglie e imprese italiane.
“Il gas negli ultimi 15-20 anni ha registrato un prezzo di circa 20 euro al MWh. Adesso siamo a circa dieci, e dico 10 volte tanto! Il gas così caro renderà impossibile produrre molti beni, a meno ovviamente di riversare sui consumatori finali rincari non del 5%, ma del 50% o più.
Nel giorno in cui scriviamo, il Prezzo unico nazionale sul Mercato del giorno prima alla borsa elettrica (Pun), come sappiamo in Italia influenzato quasi direttamente dai prezzi del gas, è di 413,88 euro al MWh, nei giorni scorsi ha toccato punte massime record di 533 euro e la media per questi primi 22 giorni di dicembre è di 303 euro al MWh, da confrontarsi con i 54 euro di media di dicembre 2020 o i 43 di dicembre 2019.
Facendo un rapido calcolo, in Italia consumiamo circa 320 TWh di energia elettrica l’anno. Finora la pagavamo sui 50-60 euro al MWh, quindi come materia prima vuol dire 15-20 miliardi di euro l’anno. Se anziché pagarla così cominciamo a pagarla sulle 250, significa che anziché 20 miliardi ne sborsiamo circa 80, considerando poi la media di 300 €/MWh di questo dicembre, il conto salirebbe a 96 miliardi.
Rischiamo allora di pagare fino a 70 miliardi di euro in più all’anno di costi, solo per l’elettricità.
Passando al gas, ne consumiamo circa 70 miliardi di metri cubi l’anno. Normalmente pagavamo la materia prima 20-25 centesimi al metro cubo, per complessivi 15 miliardi circa di euro.
Negli ultimi tempi siamo arrivati a 1,50 euro e ieri, 22 dicembre, il metano ha toccato un nuovo record: 1,80 euro. Facciamo un calcolo per difetto, prendendo 1 euro come riferimento: stiamo spendendo 70 miliardi di euro invece dei circa 15 dello scorso anno.
E siamo ad altri 50-60 miliardi circa in più all’anno di costi, e solamente per il gas.
Mettendo assieme le due componenti, elettricità e gas, si parla come minimo di 100 miliardi in più all’anno per l’energia, considerando questi prezzi in Italia, ci ha spiegato Cavriani. Si tratta di una cifra simile a quella messa a disposizione per il Superbonus. In altre parole, come collettività, da una parte prendiamo, dall’altro ripaghiamo subito.
“Siccome dipendiamo ancora in gran parte dal gas, e sarà così per almeno altri 10-15 anni, se vogliamo essere ottimisti sperando che la transizione energetica avvenga rapidamente, questa situazione dovrebbe creare un comune stato d’ansia. Altro che No-Vax”, ha detto il fondatore di Ego Energy.
Quali conseguenze sull’economia?
Poiché l’energia è alla base di tutto, un costo sia per le famiglie che per le aziende, si deve immaginare che il caro-energia si riverserà direttamente o indirettamente un po’ su tutte le merci, dalle piastrelle al vetro, dall’abbigliamento al cibo.
“Personalmente non sono preoccupato se esplode il prezzo delle piastrelle o del vetro, anche se dovremmo esserlo tutti, perché se chiudono le industrie qualcuno dovrà pur mantenerle le famiglie dei lavoratori, ma sono invece molto preoccupato per il rincaro del cibo. Le fabbriche che producono fertilizzanti stanno fermando o fermeranno la produzione. Senza concimi non si produce cibo”, osserva Cavriani.
È possibile che dopo l’inverno venga l’estate, metaforicamente parlando: cioè che nei prossimi mesi la situazioni si normalizzi un po’ con costi in calo a livelli più vicini a quelli medi.
“Ma se continuasse così solo per altri tre o sei mesi è comunque una quantità di denaro enorme che va ad impoverire l’economia italiana, e che rischia anche di non essere così breve. Come molti avvertono arriveremo a fine inverno con stoccaggi di gas talmente vuoti, che ci costringeranno comunque a continuare la corsa all’acquisto di gas”, ha detto l’esperto di trading energetico.
Si rischia allora di ripetere esattamente lo stesso ciclo di quest’anno, quando il prezzo del gas è iniziato a crescere proprio perché gli stoccaggi erano molto inferiori alle medie storiche a causa di prezzi che già avevano cominciato a salire e di altre dinamiche geopolitiche e di mercato, come l’impennata della domanda in Cina e Asia, che rimarrà un importante fattore strutturale.
Si creerebbe quindi una spirale negativa, in cui la situazione delle scorte, invece di migliorare, si incancrenisce, con la possibilità che perduri non per tre mesi, ma per un anno o un anno e mezzo, ha detto il fondatore di Ego Energy, sottolineando che un centinaio di miliardi “verrebbero letteralmente buttati via”.
Una spirale negativa potrebbe riguardare anche le fonti rinnovabili. Il rincaro delle materie prime potrebbe infatti far aumentare i costi capitali anche delle energie verdi, secondo Alessandro Marangoni, amministratore delegato della società di consulenza strategica Althesys.
“L’attuale aumento dei costi di investimento potrebbe portare ad una significativa diminuzione dell’installato di fotovoltaico, impedendo di centrare l’obiettivo al 2030. Si perderebbero ben 9 GW di capacità fotovoltaica, pari al -12%, e quattro punti percentuali rispetto al target di rinnovabili al 2030. L’impatto sul costo di generazione, in termini di Lcoe, arriverebbe fino al 15%, rendendo meno profittevoli gli investimenti”, ha detto Marangoni a QualEnergia.it.
D’altra parte, prezzi delle materie prime fossili così alti spingono comunque ad investire di più nelle rinnovabili, visto il costo “stratosferico” di gas e carbone, che rende l’energia verde più remunerativa. “Si tratta di un altro fattore in questa somma algebrica ed è difficile dire quale sarà il risultato finale”, ha aggiunto Marangoni.
Cosa possiamo fare?
Cavriani propone la creazione di un mega-fondo pubblico per compensare l’esplosione dei costi a carico dei consumatori e delle imprese.
“Per favore preoccupatevi della bomba che sta per esplodere nelle tasche degli italiani”, ha scritto Cavriani in un post indirizzato al senatore Gianni Girotto, presidente della commissione Industria del Senato e interlocutore di particolare peso per tutto quello che riguarda le politiche energetiche in Italia.
“Continuare a stanziare fondi per ridurre le bollette in chiave congiunturale è giusto, dare una mano alle famiglie e alle imprese va benissimo, però non è una soluzione sostenibile a lungo termine perché sono risorse a debito o sottratte ad altri impieghi, e non si potrà andare avanti all’infinito con questo approccio”, ha commentato da parte sua l’amministratore delegato di Althesys.
E quindi, quali azioni intraprendere?
La soluzione strutturale vera è sempre la stessa, anche se siamo in ritardo di anni, e cioè “spingere più velocemente sulle energie rinnovabili” e “lo sviluppo veloce degli stoccaggi”, ha detto Marangoni, aggiungendo anche una terza alternativa, che però avrebbe un senso solo economico, ma non ambientale.
“Riuscire a utilizzare maggiormente le risorse nazionali di gas che come sappiamo costa infinitamente meno di quello che importiamo dall’estero. Ovviamente le rinnovabili sono in linea con le politiche di decarbonizzazione, mentre il gas non cambia niente dal punto di vista della decarbonizzazione, perché sia che consumi un gas comprato in Russia o quello estratto in Adriatico, le emissioni sono sempre quelle”, ha detto.
Purtroppo, “installare decine di GW rinnovabili e sistemi di accumulo non è una cosa che si fa in pochi mesi. Il fatto che oggi dobbiamo spendere tutti questi miliardi per fronteggiare questo tipo di caro-energia deriva anche dall’inazione degli ultimi 7-8 anni. Se oggi dipendessimo meno dal gas, anche il suo impatto economico sarebbe più basso”, ha concluso Marangoni.