La compagnia petrolifera norvegese Equinor, che si trova nel pieno di una lotta politica per cercare di aprire un nuovo giacimento al largo delle isole Shetland, nel nord del Regno Unito, ha tagliato miliardi di dollari dai suoi piani di investimenti green in favore di una maggiore produzione di fonti fossili.
Mercoledì 5 febbraio l’azienda ha dichiarato agli investitori che nei prossimi due anni dimezzerà la spesa per le energie rinnovabili e altre tecnologie a basse emissioni di carbonio, da 10 a 5 miliardi di dollari.
Come conseguenza di questi tagli il portafogli Fer cui punta Equinor, che possiede alcuni dei più grandi parchi eolici offshore del Regno Unito, passa da 12-16 GW a 10-12 GW.
La produzione giornaliera di barili di petrolio equivalente dovrebbe invece aumentare del 10%, passando a 2,2 milioni entro il 2030.
Il fossile con le azioni in calo?
La società spera di alimentare questa crescita con barili provenienti dal più grande giacimento petrolifero non sfruttato della Gran Bretagna, Rosebank, nel Mare del Nord, nonostante una sentenza storica della corte di Edimburgo abbia recentemente dichiarato illegittime le licenze di estrazione rilasciate a Shell e alla stessa Equinor.
L’azienda, con sede a Oslo, ha rivelato l’intenzione di ridurre i suoi investimenti verdi dopo che Shell e BP hanno segnalato agli investitori che avrebbero fatto marcia indietro sui loro piani di spesa in progetti ambientalmente sostenibili per sfruttare la volatilità nei mercati globali del petrolio e del gas.
Secondo quanto riferisce il Guardian, BP avrebbe abbandonato gli obiettivi di tagliare la produzione di petrolio nei prossimi cinque anni e di rivedere i propri target di energia rinnovabile, nel tentativo di rilanciare il prezzo delle proprie azioni in calo.
Anche la compagnia petrolifera francese TotalEnergies ha dichiarato il 5 febbraio che taglierà la spesa in rinnovabili: del 10% a 4,5 miliardi di dollari dopo che il suo utile netto è crollato del 26% nell’anno finanziario 2024.
I timori delle banche americane
Il disimpegno verso gli investimenti cleantech riguarda anche le banche. Dal 2023 a oggi diversi grandi istituti finanziari hanno abbandonato la Net zero insurance alliance (Nzia), alleanza globale che impegna i suoi membri ad allineare le proprie attività di prestiti, investimenti e mercati dei capitali a emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050.
Nel 2023 ne sono fuoriusciti Scor, Axa e Allianz. A dicembre, in seguito alla rielezione di Donald Trump, hanno fatto la stessa scelta JP Morgan, Citigroup, Bank of America , Morgan Stanley, Wells Fargo e Goldman Sachs, abbandonando un sodalizio simile, la Net Zero Banking Alliance (Nzba). A queste si è aggiunta più di recente, lo scorso 10 gennaio, BlackRock.
Tutti gli istituti hanno cercato di giustificarsi affermando di voler continuare a perseguire i propri obiettivi di sostenibilità in maniera indipendente. Ma la concomitanza con la rielezione di Trump, che ha già annunciato tagli ai fondi ambientali, fa pensare che si possa trattare di un riposizionamento per ingraziarsi la nuova amministrazione (Come Trump & C. stanno smantellando le reti pro-clima e ambiente).
Paddy McCully, analista senior del gruppo di attivisti Reclaim Finance, ha affermato in una nota: “L’improvviso esodo di queste grandi banche statunitensi dalla Nzba è un tentativo meschino di evitare le critiche di Trump e dei suoi compari negazionisti del cambiamento climatico. Qualche anno fa, quando questo era in cima all’agenda politica, le banche erano ansiose di vantare i loro impegni ad agire sul clima. Ora che il pendolo politico oscilla verso la direzione opposta, improvvisamente agire sul clima non sembra così importante per i creditori di Wall Street”.
Vento anti-green in Europa e in Canada
L’eco dello scetticismo verso le alleanze finanziarie net-zero sembra soffiare anche in Europa. Secondo il Financial Times diverse banche del Vecchio Continente hanno dichiarato che, a meno di un cambiamento nelle politiche dell’alleanza, potrebbero decidere di ritirarsi.
Gli istituti spingono per eliminare il monitoraggio formale delle politiche climatiche per evitare conflitti con le normative antitrust statunitensi.
Di fronte alla complicata situazione attuale, la Net Zero Banking Alliance ha affermato di essere pronta a discutere con i propri membri per definire nuove priorità strategiche.
Nel frattempo, in Canada le principali istituzioni bancarie hanno annunciato un possibile ritiro dalla coalizione climatica del Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ), il gruppo formatosi dopo la COP26 di Glasgow che si descrive come “una coalizione globale di importanti istituzioni finanziarie impegnate ad accelerare la decarbonizzazione dell’economia”.
L’importanza di questi sodalizi non è da sottovalutare, così come il potere delle banche di orientare i flussi di denaro verso le fonti sporche.
Secondo un’indagine di ReCommon pubblicata lo scorso maggio i principali istituti di credito globali sono stati responsabili nel 2022 di più emissioni di gas serra di Italia, Germania, Regno Unito e Francia messe insieme.