A che punto siamo con il Piano per la ricerca ed estrazione degli idrocarburi in Italia

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Per sapere come procede il PiTESAI, cioè il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee, c'è una risposta del MiSE ad un'interrogazione parlamentare. I dubbi e i rischi secondo i NoTriv e gli ambientalisti.

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A che punto siamo con il PiTESAI? L’acronimo sta per Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee, cioè quello strumento che deve individuare le aree nazionali dove sono consentite le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi.

La richiesta è stata fatta al Ministro dello Sviluppo Economico da una interrogazione in X Commissione (Attività Produttive), formalmente proposta dall’on. Andrea Vallascas e da altri deputati. La risposta del MiSE è arrivata ieri (allegata in basso).

Ma andiamo con ordine.

La realizzazione del Piano (decreto-legge n. 135 del 2018, convertito con modificazioni dalla Legge 11 febbraio 2019 n.12), di fatto, ha sospeso per 18 mesi (tempi previsti per la sua approvazione) tutte le ricerche di idrocarburi, anche se non ha bloccato le attività di estrazione.

Infatti fino all’agosto del 2020 sono stati sospesi i permessi vigenti di prospezione o di ricerca di idrocarburi, liquidi e gassosi, su terraferma e in mare, come anche i procedimenti amministrativi (anche quelli di VIA) relativi a nuovi permessi. In tutto forse una dozzina di permessi. Ne avevamo parlato a febbraio su queste pagine.

L’obiettivo del Piano, secondo i relatori della legge, è di “valorizzare la sostenibilità ambientale e socio-economica delle diverse aree, annullare gli impatti derivanti dalle attività upstream e accompagnare il processo di decarbonizzazione”.

Strano e contraddittorio intanto il nome del Piano, che prevede una “transizione energetica sostenibile”, quando poi alla fine di questi 18 mesi di sospensione le ricerche potranno comunque riprendere in tutte le aree che risulteranno compatibili secondo il PiTESAI.

Con il Piano si punta a semplificare l’individuazione delle aree idonee per lo svolgimento delle attività da parte degli operatori del settore, tenendo conto di tutte le caratteristiche territoriali, sociali, industriali, urbanistiche, morfologiche, dell’impatto sull’ecosistema delle rotte marittime e indicando tempi e modi di dismissione e ripristino degli impianti che avranno cessato la loro attività.

Ma, resta dura la critica dei NoTriv e delle associazioni ambientaliste, che parlano di “mistificazione”, perché nella realtà, caratterizzata da scarse riserve di idrocarburi presenti sul nostro territorio, si cerca soprattutto di tutelare l’ENI e le sue associate.

Queste controllano l’85% delle piattaforme petrolifere offshore e la quasi totale maggioranza delle trivellazioni a terra.

Una vera transizione energetica dovrebbe prevedere – dice chi si oppone all’estrazione – una uscita completa dalle trivellazioni di petrolio e gas in linea con un rapido processo di decarbonizzazione, assicurando la conversione dei lavoratori coinvolti del settore. Insomma servirebbe un passo in avanti più deciso rispetto a questo timido tentativo di rallentamento delle estrazioni che però rischiano di perpetuarsi nei prossimi decenni.

Va anche ricordato che una volta redatto il documento, le aree in concessione per le attività di coltivazione che risulteranno incompatibili, anche in regime di proroga, vigenti al 13 febbraio 2019, manterranno la loro efficacia fino alla scadenza, senza possibilità di ammissione di nuove istanze di proroga.

Riguardo alla richiesta di chiarimento fatta tramite l’interrogazione il MiSE, per quanto di sua competenza, ha spiegato che “le attività inerenti alla redazione e adozione del PITESAI sono state tempestivamente avviate e proseguono” secondo un cronoprogramma che qui riportiamo.

In fatto di governance generale, i lavori iniziati con la riunione del 28 febbraio 2019, comprendono:

  • un tavolo politico MiSE-MATTM, coordinato dai Sottosegretari con delega nella specifica materia oggetto della norma;
  • un tavolo tecnico tra MiSE, MATTM, ISPRA, CONFERENZA delle REGIONI ed enti collegati al MISE, in grado di fornire specifici contributi tecnici;
  • gruppi di lavoro tecnici, ad ognuno dei quali è stata affidata l’elaborazione di specifici contenuti (dati; quadro conoscitivo; impatti ambientali a mare e a terra; impatti socioeconomici; piano di dismissione; VAS).

Dopo le prime riunioni istituzionali di marzo e aprile, spiega il Ministero, il Tavolo Tecnico è stato poi convocato in aprile. “I relativi incontri sono iniziati il 5 maggio 2019 e hanno avuto una cadenza settimanale. Si è però ancora in attesa della designazione dei rappresentati delle Regioni”.

I gruppi di lavoro ristretti hanno iniziato ad elaborare i contenuti di propria competenza.

In vista del Piano, ricorda il MiSE, c’è da stipulare una convenzione MiSE-MATTM-ISPRA, che il MiSE ha già inviato in bozza. Al momento si attendono i contributi del Ministero dell’Ambiente.

Nella risposta all’interrogazione si legge poi che sono state effettuate preliminari valutazioni sugli impatti ambientali e sono in corso i lavori sugli aspetti normativi, ambientali e socio-economici che porteranno al Rapporto Preliminare Ambientale, funzionale al processo di Valutazione Ambientale Strategica (VAS).

Parallelamente, è stata svolta una ricognizione dei dati cartografici necessari ed è stato effettuato un approfondimento preliminare sul quadro dei vari vincoli esistenti. I dati raccolti sono organizzati in un sistema “WebGIS PITESAI”, organizzato dal Servizio per il sistema informativo nazionale ambientale (SINA) dell’ISPRA.

Il ministero dello Sviluppo Economico ha fatto anche sapere che è in corso lo studio delle aree con interesse geominerario in Italia, che permetterà di individuare le zone di scarso interesse in materia di idrocarburi.

La risposta si conclude affermando che piano avrà un orizzonte temporale che andrà dal 2020 al 2050.

Un data limite, questa, che pone dei dubbi sulla rapidità di uscita dalla coltivazione di idrocarburi nel nostro paese.

Ricordiamo che in Italia il settore degli idrocarburi è stato favorito da rilevanti incentivi fiscali.

Le aziende che estraggono fossili dal mare non pagano royalty entro 80.000.000 Smc (metri cubi standard di gas), e entro 50.000 tonnellate di petrolio, mentre a terra non si pagano le royalty entro 25.000.000 Smc ed entro 20.000 tonnellate petrolio.

Nella pratica, poiché poche concessioni superano la franchigia, il pagamento delle royalty è stata applicato, ad esempio nel 2017-2018, a circa un quarto della produzione italiana di gas e petrolio offshore.

Il decreto che ha istituito il Piano ha previsto un aumento di 25 volte dei canoni annuali per le concessioni di attività petrolifere a partire dal 1° giugno 2019, ma va ricordato che prima di questo aumento il canone era di circa 100-200 volte inferiore a quello applicato in Olanda per le attività di prospezione e ricerca e di circa 12 volte per le concessioni produttive.

Inoltre il prelievo fiscale su queste attività si aggira tra il 50 e il 68%, mentre in Norvegia è attorno al 78% e nel Regno Unito tra il 68 e l’82%.

Interrogazione e risposta MiSE (PDF)

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