Il FV nei paesi in via di sviluppo: ci sono anche i SEU alla nepalese

Il fotovoltaico è ideale per portare elettricità a costi competitivi laddove la rete non arriva o funziona male. In Nepal ad esempio per mitigare il problema dei black out una holding a partecipazione pubblica realizza impianti sui tetti dei grandi consumatori. A Solarexpo, assieme alla IEA, si parlerà anche di FV off-grid e nei paesi in via di sviluppo.

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Può essere usato per dare a chi vive lontano dalla rete  la luce e la possibilità di ricaricare il cellulare, può dare l’energia per estrarre l’acqua dai pozzi, e, con meccanismi simili a quelli dei nostri SEU, può rendere stabili a costi competitivi reti precarie, con impianti realizzati direttamente sul tetto dei grandi consumatori. Il fotovoltaico è la tecnologia energetica che meglio delle altre e con minori controindicazioni riesce a fornire energia elettrica in tempi rapidi proprio dove serve e, se associata a sistemi di accumulo, anche quando serve.

Nel mondo, dicono i dati IEA, circa 1,3 miliardi di persone, di cui l’85% in aree rurali, non hanno accesso all’elettricità e un altro miliardo è servito da reti inaffidabili. Servire questa grossa e crescente fetta di umanità con le rinnovabili, anziché con fonti inquinanti, non è solo una necessità ma anche un’opzione economicamente conveniente e il fotovoltaico e le batterie in questo hanno un ruolo da protagoniste. Nell’ambito di Solarexpo-The Innovation Cloud 2015 se ne parlerà il 10 aprile in convegno dal titolo “Fotovoltaico off-grid, impianti ibridi e minigrid ibride, elettrificazione rurale”.

In molti contesti di installazioni off-grid e  micro-reti rurali,  ricorda l’ultimo report IRENA sugli accumuli, il fotovoltaico non incentivato abbinato a batterie è più conveniente rispetto ad alternative come i generatori diesel o ad allacci ad una rete elettrica spesso troppo distante e poco efficiente.

Però la convenienza spesso non basta per vincere l’inerzia, anche perché il fotovoltaico e lo storage sono tecnologie capital intensive, cioè hanno un alto costo di investimento iniziale, mentre hanno costi operativi quasi nulli se paragonati a tecnologie concorrenti come i generatori diesel. La buona notizia è che di idee per superare lo stallo ce ne sono: alcune le racconta l’International Energy Agency (IEA) in un recente report (allegato in basso) che sarà raccontato al convegno di Solarexpo dalla esperta dell’Agenzia Silvia Cabriolu Puddu. Il volume raccoglie casi di studio, ai quali accennavamo all’inizio, che vale la pena anticipare perché molto interessanti.

Uno ad esempio esempio è quella di Gham Power e di quelli che impropriamente abbiamo ribattezzato “SEU alla nepalese”. La compagnia è stata creata in Nepal con l’obiettivo di stabilizzare con soluzioni innovative, tra cui il FV, una rete con seri problemi e fortemente dipendente da generatori diesel. Nel Paese ci sono 800 MW di potenza installata, dei quali oltre 500 da diesel, ma ne servirebbero altri 500 per garantire elettricità sempre e a tutti, tanto che dal 2010 black out e riduzioni di potenza ricorrono in media per oltre 12 ore al giorno.

Gham Power sta intervenendo direttamente sui consumatori più importanti che attualmente si affidano a costosi e inquinanti generatori diesel – ospedali, fabbriche, hotel – realizzando presso di loro impianti ibridi FV-diesel o FV con batteria. Al momento l’azienda ha una pipeline di 4 MW di questi progetti. Interessante il meccanismo di finanziamento: Gham Power ha una holding che raccoglie fondi pubblici (il 70% è finanziato dalla nepalese Clean Energy Development Bank) e privati. Questa holding – che garantisce agli investitori rendimenti del 10-15% – resta proprietaria degli impianti installati, che vengono forniti ai clienti in leasing, con la possibilità di essere riscattati, fornisce servizi di O&M e vende crediti di riduzione delle emissioni.

Altro caso di studio interessante raccontato nel report IEA è quello del “fotovoltaico a scheda prepagata” di Indigo Solar che la britannica Azuri fornisce ai suoi clienti dell’Africa Sub-sahariana, del quale su queste pagine abbiamo già parlato. In pratica senza costi di investimento si installa a casa del cliente un piccolo impianto con batteria e che si consente di pagare l’elettricità tramite ricariche simili a quelle del traffico telefonico, salvo concedergli di diventarne proprietario riscattandolo dopo un certo lasso di tempo.

Simile per certi aspetti è un’altra esperienza. Quella della danese Grundfos Lifelink, che grazie al fotovoltaico migliora l’accesso all’acqua, un notevole problema per circa 800 milioni di persone che in buona parte coincide con color che hanno difficoltà di accesso all’elettricità. Grundfos ha realizzato circa 40 progetti in Kenya di pozzi alimentati da impianti fotovoltaici e anche in questo caso l’aspetto innovativo è quello economico e di rapporto con il cliente.

I pozzi sono dotati infatti di un sistema di distributori automatici che i clienti possono attivare con una scheda ricaricabile via cellulare. I soldi raccolti in questo modo, assieme a fondi pubblici e altri finanziamenti privati, permettono di coprire i costi delle installazioni, che oltre ad essere alimentate da fotovoltaico sono dotate di un sistema di monitoraggio online per tenere sotto controllo in tempo reale performance ed eventuali problemi.

Altre ancora le best practise che la IEA racconta sui business model per il fotovoltaico: da esperienze di crowdfounding come quella di Mosaic, a innovative reti di vendita per le aree rurali come quelle di SunEdison and Chloride Exide. Argomenti che potranno essere approfonditi nel corso del convegno del 10 aprile a Solarexpo, a Milano.

Il report IEA “Innovative Business Models and Financing Mechanisms for PV Deployment in Emerging Region” (pdf)

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