Vivai e fotovoltaico, l’effetto serra che conviene

Una serra fotovoltaica con pannelli in grado di adattarsi ad una struttura in film plastico senza gravarla di un peso eccessivo. Lo studio per trovare l'equilibrio nella gestione della luce solare. I benefici del progetto curato da Università di Firenze, AzzeroCO2 e Bios-is.

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La tecnologia serricola può contenere i rischi degli eventi estremi che procurano ingenti danni all’agricoltura. Quando è unita all’innovazione può creare anche nuovo valore aggiunto al settore.

È il caso dell’azienda agricola Martini, situata in provincia di Pistoia, che attraverso il progetto Pif Eco Nursery 3S, ha saputo abbinare la tutela ambientale ai benefici economici, creando un impianto unico in Europa.

La società, nata nel 1990, si occupa della coltivazione di piccole e giovani piante. In pratica, l’attività consiste nel seguire la crescita della pianta dal seme fino al momento in cui verrà inserita nel luogo scelto per la piantumazione. Diverse le piante coltivate, tutte caratteristiche del territorio pistoiese: fotinia, nandina, feijoa, edera, falso gelsomino, lauro, osmanto, cipresso e ginepro, tanto per citarne alcune.

La volontà dell’azienda di investire in rinnovabili risale al primo conto energia fotovoltaico, quando fu tentata l’installazione su un tetto, ma all’epoca le regole paesaggistiche non lo consentirono. Da qui nacque l’idea di installare FV sulle serre, ma senza sostituire le strutture esistenti.

Le serre di cui disponeva l’azienda (quelle a film plastico, la tipologia più diffusa nell’area mediterranea per via dei bassi costi di primo investimento e la relativa mitezza climatica) non erano idonee a sostenere il peso dei pannelli fotovoltaici convenzionali e la soluzione di installare un impianto a terra, su suolo, non convinceva Martini, poiché avrebbe portato a una riduzione del suolo disponibile per la coltivazione che, in un vivaio, rappresenta la prima risorsa in grado di generare ricavi.

Alla base del progetto c’era la necessità di individuare pannelli fotovoltaici che, da una parte, si adattassero alla struttura senza gravarla di un peso eccessivo, e dall’altra, non occupassero spazio in modo troppo continuo, per non ridurre la quantità di luce presente nella serra, essenziale per la crescita delle piante.

Con la soluzione tecnica realizzata insieme con l’Università di Firenze, AzzeroCO2 e Bios-is i pannelli sono stati disposti in modo da creare ombre strette e lunghe, dette a strisce di zebra, che durante l’ordinario movimento del sole durante il giorno si muovono sul suolo della serra, non lasciando nessuna zona mai perennemente in ombra.

Inoltre, la presenza di una superficie inferiore bianca aumenta il riverbero della luce all’interno della serra. “Per coltivare c’è bisogno di un equilibrio per la gestione della luce solare: ai pannelli va trasferita la luce in eccesso, quella di cui le piante non hanno bisogno, non più di quella. Un intervento delicato, che va fatto da esperti, altrimenti si rischia di creare un importante danno economico alla produzione”, ha spiegato il titolare dell’azienda.

L’impianto, che ha una potenza di 5,94 kWp, è stato realizzato utilizzando 54 pannelli in film sottile da 110 Wp ciascuno e occupa una superficie di 70 m2, circa il doppio della superficie che occuperebbe un tradizionale impianto policristallino di medesima potenza.

Nei primi 3 mesi di funzionamento (da ottobre a dicembre) l’impianto ha prodotto circa 800 kWh, perfettamente in linea con la produzione di un impianto tradizionale: su base annua ci si attende uno scostamento massimo inferiore al 10% rispetto alla producibilità di un impianto policristallino. L’impianto eviterà inoltre di immettere in atmosfera circa 2.800 kg di CO2 all’anno.

Il progetto dell’azienda agricola Martini conviene dunque non solo per i benefici economici che l’intervento è capace di generare, ma anche per il minor impatto ambientale generato dalla produzione di energia elettrica rinnovabile.

La convenienza economica dipende, ovviamente, dalla tipologia di attività agricola e dalla resa che il terreno utilizzato è capace di generare.

In questo caso, parlando del settore vivaistico, dove ogni ettaro rende tanto per via delle 2100 ore di manodopera medie annue, il costo extra relativo all’investimento iniziale dell’impianto viene facilmente recuperato in 2, al massimo 3 anni.

Pertanto, anche se il costo iniziale dell’investimento è superiore a quello necessario per l’installazione di un impianto fotovoltaico di tipo tradizionale, si tratta pur sempre di un investimento conveniente nel medio e lungo periodo, che consente di produrre elettricità rinnovabile senza consumare la risorsa primaria che è il suolo.

In uno scenario di agricoltura intensiva, con poco terreno a disposizione da sfruttare, è sempre più conveniente utilizzare il suolo per la produzione agricola piuttosto che per far spazio ai pannelli. Inoltre, la soluzione del fotovoltaico su serra, oltre a contenere in parte i costi di approvvigionamento di energia elettrica, consente di eliminare gli ostacoli legati ai vincoli paesaggistici e rispetta le condizioni previste del decreto Fer 2019 per gli impianti su suolo agricolo che richiedano l’incentivo per supervalutare la corrente prodotta dall’impianto.

Non vanno dimenticati, poi, i benefici per l’ambiente: l’energia utilizzata per costruire un pannello flessibile a film sottile viene recuperata dalla sua produzione di un solo anno (rispetto ai circa due del FV convenzionale), il consumo di suolo è pari a zero, si evita di immettere in atmosfera la CO2 rispetto a forme di energia basate sul fossile, si raddoppia la vita utile (in media di 7 anni) dei film plastici utilizzati per la copertura delle serre e l’intervento è effettuabile come un ammodernamento senza sostituzioni, generando così anche molti meno rifiuti.

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