La transizione ecologica tra ipocrisia e greenwashing

Non solo “bla bla bla”, ma si va proprio nella direzione contraria su decarbonizzazione e lotta al cambiamento climatico. Alcuni fatti ce lo dimostrano.

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Alcuni recenti fatti ci dicono che non c’è solo il “bla bla bla” di chi ci governa, ma che si va proprio nella direzione contraria in fatto di decarbonizzazione e lotta al cambiamento climatico. Vediamone alcuni.

I ministri della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e della Cultura, Dario Franceschini, approvano una nuova centrale a gas a Monfalcone, in provincia di Gorizia, a poche centinaia di metri dalle abitazioni, riconvertendo una parte di centrale chiusa di A2A. Una generazione energetica da fonte fossile che avrà un impatto diretto su circa 90mila persone, oltre alle emissioni di CO2 in atmosfera.

Ad agosto il ministero della Transizione Ecologica emette un provvedimento di autorizzazione ai lavori di perforazione del pozzo “Longanesi 3 Dir” nel comune di Lugo (RA) allo scopo di far estrarre metano alla società Padana Energia, del gruppo Gas Plus. A questo si aggiunge il decreto del marzo di quest’anno (governo Draghi appena insediato), sempre firmato dai due ministri, che dava parere favorevole all’avvio delle ricerche da parte di una multinazionale australiana per una piattaforma offshore per lo sfruttamento del gas.

È poi servita una decisa azione della Commissione Europea e parecchia controinformazione affinché il governo riducesse da 4,2 a 2,8 miliardi i fondi dedicati nel Pnrr all’idrogeno che in parte servivano al progetto di “idrogeno blu” dell’Eni per finanziare l’impianto di Carbon Capture and Storage a largo di Ravenna, precedentemente inserito nel piano governativo. Un progetto ancora nel piano dell’azienda energetica, nonostante i costi, l’inefficacia dei suoi risultati e l’impatto geologico che potrebbe provocare.

E quali sono gli sponsor della pre-Cop 26 che avrà inizio domani a Milano? In prima fila, come rivela ReCommon, c’è l’industria energetica che è ancora legata al fossile, come Enel, Edison e A2A. Poi c’è anche Unicredit, che da sempre finanzia l’industria fossile a vario titolo e che nel 2020 ha erogato 5 miliardi di euro alle principali società attive nell’espansione del petrolio e del gas, come Total ed Eni. Non male per un evento sul clima, che poi, per non farsi mancare nulla, prevede anche tre eventi sul nucleare curati dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.

Ad avallare questo approccio “anti-clima” c’è pure la grande stampa che non sembra voler capire (e soprattutto non ha l’interesse) che il processo di decarbonizzazione richiede anche una chiara individuazione dei responsabili delle emissioni di gas serra. Un compito dell’informazione che millanta di parlare di riscaldamento globale. E chi sarebbero questi responsabili se non le grandi aziende energetiche che baseranno anche per i decenni futuri il loro core business su petrolio e gas?

Un esempio interessante di questa contraddizione lo troviamo nella doppia pagina di Repubblica con un’intervista a Cingolani con le sue ricette per la transizione ecologica e a fianco quelle di Descalzi, l’amministratore delegato di Eni. Non ci siamo proprio, per contenuti e per messaggio.

E mentre, come ci rivela ancora ReCommon, si scopre l’esistenza di una cabina di regia interministeriale all’interno della Farnesina in cui governo e industria fossile si riuniscono per concordare il posizionamento italiano nell’ambito dei vertici internazionali sul clima (“Tutti gli uomini del Ministero”), il nostro ministro del MiTE chiede ai giovani europei, selezionati alla bisogna, di presentare le loro proposte per la transizione e contro il global warming da portare alla COP26 di Glasgow.

Possiamo fidarci della bontà delle idee dei giovani su questo tema, ma la fiducia che queste verranno prese in considerazione rasenta lo zero per cento.

Ipocrisia o greenwashing, scegliete voi il termine preferito.

Questo processo è complesso, lo sappiamo da anni, senza che il ministro Cingolani ce lo ricordi in ogni suo intervento. A lui si chiede semplicemente di fare il suo lavoro, anche con piccole, costanti e concrete decisioni, ma soprattutto coerenti e che non mirino a salvaguardare i privilegi delle aziende tradizionali dell’energia, ma all’obiettivo più alto di cui spesso parla senza mai portare minime soluzioni concrete.

Comunque se ne faccia una ragione: questo processo di transizione andrà avanti a conflitti e a macchia di leopardo, come ha scritto di recente Guido Viale, e dipenderà da chi sarà più attivo su questo fronte su scala locale, nazionale e internazionale, trascinandosi dietro gli altri.

Giovani e meno giovani hanno il diritto e il dovere di essere parte di questo processo, ma senza essere ingessati dentro una rigida cornice istituzionale che poi annacquerà le loro idee e la loro forza propulsiva. Il campo d’azione è nel loro ambito di attività, di studio, di lavoro, nel proprio territorio.

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