Superbonus, si sta gettando via il bambino con l’acqua sporca?

L'emendamento approvato con il Dl Energia arriva in una situazione di stallo, con il meccanismo della cessione del credito inceppato a causa degli interventi precedenti, e rischia di essere insufficiente per sbloccarla.

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“La situazione è drammatica”. “Stiamo valutando il blocco dei cantieri e di mandare tutti in cassa integrazione”.

Sono due testimonianze di associazioni e imprenditori dell’efficientamento energetico che QualEnergia.it ha raccolto in merito alla sostanziale paralisi che ha colpito il complesso meccanismo della cessione del credito nell’ambito del Superbonus.

Dopo le banche piccole e medie, che da settimane ormai dicono di avere esaurito la propria capacità di assorbire nuovi crediti d’imposta relativi ai vari bonus edilizi, in questi ultimi giorni, anche i due maggiori istituti di credito italiani — Intesa Sanpaolo e Unicredit – hanno annunciato che stanno raggiungendo livelli di saturazione simile della propria capienza fiscale.

“Da aprile non è più possibile procedere con la cessione di ulteriori crediti collegati a interventi realizzati nell’anno passato”, cioè nel 2021, ha comunicato Intesa Sanpaolo. “Unicredit sta riscontrando un elevato volume di richieste che potrebbero comportare il raggiungimento della massima capacità fiscale possibile per la cessione dei crediti”, le ha fatto eco la seconda maggiore banca italiana.

Si stanno accumulando “centinaia di milioni di euro in attesa di destinatario e che al momento non trovano nessunocome acquirente di crediti fiscali, ci ha detto Virginio Trivella, Coordinatore del comitato scientifico di Rete IRENE, un network di imprese specializzate in interventi di riqualificazione energetica, citando l’osservatorio della rete, che è formato da una ventina di aziende.

Ma come si è arrivati a questa situazione?

Motivazioni e conseguenze

Tutto sembra nascere dalla volontà del Governo di frenare il treno in corsa delle detrazioni, sulla base di due possibili motivazioni: operare un giro di vite contro una serie di frodi perpetrate tramite operazioni fasulle di efficientamento energetico e alleggerire il peso delle detrazioni fiscali sui conti pubblici.

La logica con cui si è intervenuti per raggiungere il primo obiettivo anti-frodi è stata quella di limitare il numero di cessioni del credito che è possibile fare e la platea di soggetti a cui farle. Tutto ciò è avvenuto tramite provvedimenti controversi e successivamente eliminati, come quello della responsabilità in solido del cedente per il recupero dell’importo ceduto, in caso di eventuali frodi e abusi.

Questo tipo di emendamenti prima proposti e poi ritirati non ha fatto altro che aumentare l’incertezza sulla norma, rimandando sempre più avanti nel tempo l’individuazione di soluzioni certe e paralizzando ancora di più la possibilità delle banche e delle imprese di sbloccare la situazione.

Sono trascorsi cioè alcuni mesi in cui assieme all’acqua sporca delle frodi si è gettato via e in parte perso anche il bambino della sostenibilità economica per le imprese dell’intero meccanismo fiscale legato al Superbonus e alla cessione dei crediti.

Oltre ai problemi creati dalla restrizione delle cessioni del credito, c’è poi una seconda problematica, legata alla svalutazione dei crediti fiscali accumulati, ha detto a QualEnergia.it Cecilia Hugony, amministratore delegato di Teicos Group, società milanese specializzata in interventi di riqualificazione energetica.

“Questi crediti fiscali sono stati accettati come pagamento nei termini previsti dalla legge, per cui 10 euro di crediti fiscali sono stati per noi equivalenti a 10 euro di sconto che abbiamo fatto ai clienti. Questi 10 euro, se fino a ieri li cedevo alla banca, la banca me ne dava 9. Adesso, però, non so se me ne darà 7 o 7,5. Ci sono già in giro realtà che si offrono di comprarli subito, ma tenendosi un 30%. È una giungla dove si rischia fortemente una perdita di valore della moneta fiscale per chi ha fatto questi interventi pagando invece fatture, contratti e buste-paga con moneta sonante”, ha detto Hugony.

L’ultima versione della norma, approvata nei giorni scorsi con gli emendamenti al Dl Energia 17/2022, prevede che (neretti nostri) “alle banche, in relazione ai crediti per i quali è esaurito il numero delle possibili cessioni […] è consentita una ulteriore cessione [la quarta, ndr.] esclusivamente a favore dei soggetti con i quali abbiano concluso un contratto di conto corrente, senza facoltà di ulteriore cessione“.

Questo potrebbe dare un po’ di respiro alla cessione dei crediti e cominciare a decongestionare parzialmente la montagna di crediti di fatto incagliati che si è accumulata nell’imbuto delle detrazioni fiscali che le banche non riescono più ad assorbire, ha commentato Trivella.

Meno ottimista si è detta Hugony.

Non è una misura risolutiva perché si obbliga comunque gli istituti di credito a fare tre cessioni inutili prima di poter cedere il credito a un soggetto che non sia una banca. Magari la banca ha acquisito il credito in prima cessione da chi ha fatto lo sconto in fattura e una grossa utility a cui interessa acquistarlo potrebbe riceverlo direttamente in seconda cessione, e invece la banca si trova a dover fare altri due giri prima di cederlo perché solo la quarta cessione è aperta a un soggetto che non sia un istituto di credito. Questo è abbastanza ridicolo”, ha detto il capo di Teicos Group.

Anche dal mondo delle banche, i primi riscontri alle nuove misure continuano a essere critici.

“Serve a poco la quarta cessione dei crediti inserita nel decreto Bollette: le condizioni che attualmente vengono poste, infatti, ne rendono molto limitate le possibilità di utilizzo e quindi nullo l’impatto sul mercato”, ha detto a QualEnergia.it Laura Gasparini, membro del CdA e responsabile mercati e investimenti di Cherry Bank.

“Non c’è bisogno di una quarta cessione, ma piuttosto di un’ulteriore cessione, dopo i dovuti controlli, che consenta di trasferire i crediti a soggetti diversi da quelli già previsti e con modalità compatibili con le esigenze del mercato, che altrimenti rischia di ingolfarsi e, nella peggiore delle ipotesi, anche di lasciare molte famiglie e imprese con il cerino in mano”, ha aggiunto.

Non si sa ancora se il giro di vite attuto dal Governo contro le frodi stia contribuendo almeno a ridurre le truffe. Quel che è certo è che è in corso un braccio di ferro fra Governo e banche, in cui rischiano di rimanere stritolate nel mezzo le aziende, migliaia di addetti e professionisti, e con loro gli ingranaggi delle detrazioni fiscali per l’efficienza energetica degli edifici residenziali, uno degli strumenti principali di ripresa economica e decarbonizzazione del settore che lo stesso governo ha voluto.

“Credo che questa serie di comunicati delle banche nelle ultime 48 ore sia un modo per forzare la mano, per evitare che ci siano ulteriori colpi di coda da parte del ministero”, ha detto Trivella.

Anche sul fronte del presunto peso eccessivo delle detrazioni fiscali sui conti pubblici, l’azione di “alleggerimento” del governo lascia molte perplessità. Due diversi studi da parte della Luiss Business School e Openeconomics e dell’istituto di ricerca Cresme con la stessa Camera dei deputati indicano infatti un saldo fiscale netto positivo per centinaia di milioni di euro dei vari bonus edilizi, grazie alle ricadute aggiuntive che hanno sul gettito di Iva e Ires e allo stimolo di nuove attività produttive.

Se il Governo non crede in tali stime o ha evidenze diverse, dovrebbe allora dirlo chiaramente. Oppure, se l’obiettivo era quello di salvare la capra dei conti pubblici con i cavoli dell’efficientamento energetico, avrebbe potuto intervenire solo su alcuni bonus, come quello per le facciate, per esempio, che non serve a niente dal punto di vista energetico, senza invece toccare i bonus lato energia, soprattutto in un momento come questo in cui l’efficienza energetica risponde anche a cruciali motivazioni geo-politiche, ha fatto notare Hugony.

Sul fronte delle truffe, invece di mettere ogni volta mano ad un meccanismo della cessione del credito di per sé già complicato e generare così sempre nuova incertezza, forse sarebbe stato meglio lasciare la norma come era e semplicemente rafforzare molto di più le azioni di controllo e prevenzione.

Anche la proroga di sei mesi al 31 dicembre 2022 per effettuare almeno il 30% dei lavori nelle villette unifamiliari che vogliano accedere al Superbonus, per quanto utile, servirà a poco se nel frattempo non si sblocca la questione della cessione del credito, ha detto il Coordinatore del comitato scientifico di Rete IRENE.

Quelli ancora in corso di approvazione da parte del Parlamento non sembrano insomma provvedimenti risolutivi, ma forniranno solo un sollievo parziale agli operatori. In più, rischiano di passare altre settimane prima che il Decreto Energia venga convertito in legge. E non è detto che tante aziende ce la facciano ad arrivare a fine primavera-inizio estate senza subire pesanti ripercussioni.

Si veda anche: Tutto sul Superbonus 110%, la raccolta di QualEnergia.it

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