Inverter e connessione alla rete elettrica

  • 13 Marzo 2012

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ABSTRACT

Elementi indispensabili al funzionamento degli impianti fotovoltaici, gli inverter hanno oggi raggiunto livelli tecnologici e prestazionali che consentono di sfruttare al meglio l’energia prodotta dai dispositivi fotovoltaici.

I recenti sviluppi normativi sulla connessione alla rete dei produttori di energia elettrica hanno fissato nuovi traguardi per questi apparati che vengono sempre più attivamente coinvolti nella gestione delle reti elettriche.

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1. CONSIDERAZIONI GENERALI E TIPOLOGIE

Conversione della potenza

L’evoluzione tecnologica nel campo degli inverter per applicazioni fotovoltaiche ha portato allo sviluppo di apparati sempre più sofisticati e performanti, tanto che oggi si potrebbe definire l’inverter come il “cuore” di tutto l’impianto, al quale è richiesto di gestire la sezione in corrente continua la connessione con la rete elettrica e la comunicazione con il sistema di raccolta dati.

In generale gli inverter utilizzati nel fotovoltaico possono essere suddivisi in due grandi famiglie: inverter per applicazioni isolate o stand-alone e inverter per il funzionamento in parallelo alla rete elettrica o grid-connected. Le differenze tra queste due categorie di apparecchiature sono sia di tipo tecnico che applicativo, per cui le case costruttrici generalmente tengono le corrispondenti linee di prodotti ben separate.

Tuttavia, nonostante l’importanza che ancora oggi, in alcuni settori, rivestono le applicazioni fotovoltaiche per servizio isolato, quando si parla di inverter fotovoltaici ci si riferisce unicamente agli inverter per servizio in rete. Tale atteggiamento deriva non tanto dal fatto che attualmente la quasi totalità degli impianti realizzati appartiene a quest’ultima categoria, quanto invece dalle specificità tecniche che contraddistinguono questi apparati. Infatti, gli inverter utilizzati nelle applicazioni per servizio isolato, a differenza di quelli in rete, sono in genere idonei per una vasta gamma di impieghi e quindi spesso funzionano a prescindere dalla sorgente di energia utilizzata.

La necessità di utilizzare l’inverter negli impianti fotovoltaici è evidente: i moduli fotovoltaici, comunque siano tra loro collegati, producono energia sotto forma di corrente continua, mentre gli apparecchi e gli impianti utilizzatori funzionano in corrente alternata. La rete elettrica di distribuzione dell’energia è anch’essa in corrente alternata e pertanto risulta necessario rendere compatibile l’energia prodotta con quella consumata. Tuttavia, rimanendo nel campo della produzione energetica, gli inverter sono attualmente utilizzati anche in settori che in passato non ne facevano uso. Si pensi ad esempio alle macchine eoliche, le quali si basavano su generatori in corrente alternata, per lo più di tipo asincrono collegati direttamente alla rete. Oggigiorno invece la maggior parte degli aerogeneratori in commercio, pur producendo in corrente alternata, si avvale della conversione della potenza resa possibile da inverter appositamente dedicati allo scopo. In questo modo, la velocità di rotazione del rotore risulta svincolata dalla consegna dell’energia alla rete elettrica, col risultato di ottenere quindi una maggiore efficienza del sistema pur a diversi regimi di funzionamento.

Anche nelle mini reti isolate, dove è fondamentale tenere costantemente monitorati i parametri di rete e intervenire velocemente quando occorre, la presenza degli inverter diventa spesso insostituibile, sia per la generazione che per l’accumulo dell’energia.

Inverter per servizio isolato e per servizio in rete

Benché più del 99% delle applicazioni fotovoltaiche sia a tutt’oggi costituito da impianti per servizio in rete, gli impianti per servizio isolato mantengono comunque una propria fetta di mercato e, in molti casi, sono pressoché insostituibili. Si pensi ad esempio a tutti i casi in cui la rete elettrica non è disponibile ma vi è comunque necessità di energia elettrica (ponti radio, boe e fanali, illuminazione, rifugi, abitazioni, ecc.). Va anche detto che, quando è possibile, si fa ricorso ad altre fonti disponibili in loco oltre a quella solare (eolico, idroelettrico ecc.).

Fondamentalmente, gli inverter per servizio isolato presentano le seguenti caratteristiche:

  • prelevano energia da una fonte a tensione costante (tipicamente una batteria di accumulatori);
  • devono mantenere la tensione di uscita su un valore costante, prossimo alla tensione nominale della rete elettrica ed essere, per quanto possibile, insensibili alle variazioni di carico;
  • devono presentare un ridotto autoconsumo interno, eventualmente con il ricorso alla modalità “stand-by” per evitare di scaricare l’accumulo quando la fonte energetica non è disponibile.

Viceversa, gli inverter per servizio in rete devono avere altre caratteristiche che possono essere riassunte come:

  • capacità di stare quanto più possibile “incollati” al punto di massima potenza sulla curva tensione-corrente del generatore fotovoltaico, anche in caso di ombreggiamenti parziali e di rapide variazioni dovute a variazioni dell’irraggiamento solare sui moduli;
  • elevata efficienza di conversione, anche a bassi livelli di potenza;
  • capacità di sincronizzarsi con la rete elettrica e di trasferire a questa tutta la potenza disponibile nel rispetto delle regole di connessione esistenti;
  • rilevamento delle eventuali perdite di isolamento del generatore fotovoltaico;
  • distacco dalla rete nel caso di guasto o anomalie rilevate su quest’ultima;
  • protezione contro l’immissione di corrente continua in caso di guasto, attuata mediante un trasformatore all’uscita o un’idonea protezione in grado, all’occorrenza, di separare la sezione in corrente continua da quella in corrente alternata.

Sia gli inverter per servizio isolato che quelli per servizio in rete sono molto simili nei circuiti di conversione della potenza e inoltre devono fornire una potenza di uscita per quanto possibile priva di armoniche per evitare di disturbare le altre apparecchiature elettriche collegate. Un’elevata efficienza di conversione è preferibile in entrambi i casi, non soltanto ai fini di uno sfruttamento migliore della risorsa solare, ma anche per evitare eccessive dissipazioni del calore prodotto dagli inverter durante il funzionamento.

Inverter per il fotovoltaico e per altre fonti rinnovabili

Come si è visto, attualmente gli inverter dedicati alla produzione energetica non trovano applicazione unicamente nel fotovoltaico ma sono utilizzati anche per altre fonti. Tipicamente, quando si ha a che fare con piccoli generatori risulta vantaggioso ricorrere agli inverter perché questi ultimi sono meglio gestibili rispetto alle macchine rotanti e permettono l’utilizzo di automatismi più complessi.

Il settore in cui la presenza degli inverter si è dimostrata particolarmente utile è però rappresentato dall’eolico. Come già accennato, questa esigenza è nata dalla difficoltà di trasformare il moto del vento, per sua natura incostante, in energia elettrica mediante una macchina rotante e trasferire poi questa energia in modo efficiente alla rete elettrica. Questa necessità è particolarmente sentita per i piccoli generatori, ma anche quelli più grandi possono trarre un notevole vantaggio dal poter funzionare a velocità variabile anziché essere vincolati al sincronismo con la rete.

Tuttavia, i generatori eolici sono comunque macchine rotanti, prevalentemente asincrone, con l’uscita in corrente alternata. E’ quindi necessario intraprendere una prima trasformazione in corrente continua per poi procedere alla conversione finale della potenza in corrente alternata verso la rete. Per passare dalla corrente alternata alla corrente continua potrebbe essere sufficiente un semplice ponte di diodi, tuttavia questa tecnica presenta non pochi problemi, legati alla natura impulsiva della corrente assorbita dai circuiti. Una tale soluzione non sfrutta quindi adeguatamente la potenza disponibile e, soprattutto, genera sul rotore una coppia resistente impulsiva che introduce dei fastidiosi stress meccanici, tali da ridurre la vita utile della macchina. Anche la rumorosità in questo caso tende ad aumentare.

Al fine di ridurre o eliminare del tutto questi problemi, si ricorre allora alla tecnica “back-to-back”, la quale fa uso di 2 inverter, il primo dei quali funziona come raddrizzatore, quindi in senso inverso, mentre il secondo compie l’effettiva conversione da corrente continua in alternata. Le macchine di grossa taglia utilizzano anch’esse questa tecnica facendo spesso ricorso a una variante che consiste nell’uso di generatori con rotore avvolto. Questo metodo, detto DFIG (Doubly Fed Induction Generator) prevede che l’avvolgimento principale dello statore sia direttamente collegato alla rete, mentre un secondo avvolgimento sul rotore sia controllato mediante un inverter back-to-back.

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2. COMPONENTI E FUNZIONI DEGLI INVERTER FOTOVOLTAICI

Circuiti e ponti di conversione

Il ponte di conversione è il cuore del convertitore e permette di passare dalla corrente continua alla corrente alternata facendo uso di dispositivi a semiconduttore pilotati con opportune sequenze di impulsi di comando. In figura 3 è mostrato il principio di funzionamento di un convertitore full-bridge dotato di filtro di uscita in cui i dispositivi di potenza possono assumere unicamente lo stato di aperto o chiuso e sono quindi assimilabili a degli interruttori. Chiudendo e aprendo alternativamente le coppie  I1-I4 e I2-I3 si ottiene la conversione da corrente continua in corrente alternata.

La commutazione del ponte può avvenire a frequenza di rete o a frequenza più elevata. Nel primo caso si ottiene in uscita un’onda quadra, mentre nel secondo si può cercare di approssimare la forma d’onda con dei treni di impulsi a larghezza variabile (tecnica PWM).

Le caratteristiche del filtro presente all’uscita del ponte di conversione (in figura 3 è riportato un filtro L-C) dipendono necessariamente dal tipo di circuito utilizzato, dalla modalità di funzionamento e dall’ampiezza massima delle armoniche che si è disposti a tollerare. Gli inverter commutati a 50 Hz sono ormai pressoché scomparsi e quindi l’importanza del filtro di uscita si è notevolmente ridotta, perché se la commutazione avviene a frequenza elevata è più facile abbattere il contenuto di armoniche all’uscita.

Occorre inoltre aggiungere che in commercio è possibile trovare inverter a singolo stadio o a doppio stadio di conversione. Gli inverter a singolo stadio sono molto efficienti ma hanno vincoli maggiori per quanto riguarda la tensione di ingresso. Gli inverter a doppio stadio, per contro, sono molto flessibili, tant’è che sono spesso utilizzati quando sono necessarie più sezioni indipendenti di ingresso, a scapito però di una maggiore complessità circuitale.

Trasformatore

Le funzioni svolte dal trasformatore, quando questo è presente, sono essenzialmente due:

  • adeguamento del livello di tensione del circuito primario (ponte di conversione) con il valore richiesto dal carico;
  • separazione galvanica tra generazione fotovoltaica e utenza.

Nel caso in cui non sia indispensabile la separazione galvanica tra i circuiti a monte e a valle, ossia tra la sezione in corrente continua e la sezione in corrente alternata, la presenza del trasformatore non è strettamente necessaria, in quanto l’innalzamento o l’abbassamento della tensione ai valori richiesti dal carico può essere realizzata ricorrendo ad opportuni circuiti elettronici.

Una situazione particolare si presenta quando vi sono due ponti di conversione in sequenza. Un trasformatore è allora talvolta interposto tra il primo e il secondo stadio di conversione e l’assieme può essere realizzato in modo che la frequenza di lavoro sia quanto più alta possibile (in genere si arriva a 10÷20 kHz). In tal modo le dimensioni del trasformatore interstadio risultano essere drasticamente ridotte rispetto a quelle riscontrabili su un trasformatore di uscita a 50 Hz della stessa potenza.

Circuiti di ingresso e parallelo stringhe

Le caratteristiche del circuito di ingresso dell’inverter ne influenzano notevolmente le possibilità applicative. Infatti, l’intervallo di tensione di ingresso in cui l’inverter è in grado di effettuare la conversione della potenza con rendimenti accettabili è sicuramente un parametro importante ai fini della scelta di tale apparato e, più in generale, della configurazione del generatore fotovoltaico.

Inoltre, gli inverter di taglia medio-piccola fino a qualche decina di kW, detti anche inverter di stringa, sono quasi sempre concepiti per ricevere direttamente in ingresso le stringhe di moduli fotovoltaici senza l’interposizione di quadri di parallelo o altro. Nel seguito sono elencate le funzioni che, nel caso più generale, possono svolgere i circuiti di ingresso di questa categoria di inverter.

  • Parallelo stringhe: normalmente è possibile arrivare direttamente con i poli di ciascuna stringa all’ingresso dell’inverter collegandosi sa connettori in dotazione.
  • Circuiti di ingresso separati: è abbastanza frequente che gli inverter trifase diano la possibilità di collegare gruppi di stringhe con caratteristiche differenti a circuiti di ingresso tra loro indipendenti.
  • IMS all’ingresso: riguarda la possibilità di intervenire direttamente su tutte le stringhe o su gruppi di stringhe sezionandole dall’inverter al fine di mettere in sicurezza determinate parti dell’impianto durante le operazioni di manutenzione.
  • Protezione contro le sovratensioni: è realizzata con l’impiego di SPD collegati tra i terminali di ingresso e la terra locale.
  • Fusibili di stringa: dovrebbero proteggere le stringhe dalle sovracorrenti ma in generale sono di scarsa utilità perché le stringhe in parallelo sono troppo poche per poterne provocare il sicuro intervento.

Gli inverter centralizzati, a differenza di quelli di stringa, devono essere opportunamente interfacciati col campo fotovoltaico mediante i quadri di parallelo stringa e, talvolta, richiedono anche dei quadri di sezionamento al proprio ingresso. Per contro, nei grossi impianti quando si hanno più inverter centralizzati nella stessa cabina, è spesso apprezzabile la possibilità di scegliere tra la configurazione multi-master o master-slave. Con riferimento alla figura 4, gli IMS SC1, SC2, SC3 sono da considerare sempre chiusi durante il normale esercizio, mentre per i rimanenti possono darsi 2 casi:

  • gli interruttori SA1, SA2, SA3 sono chiusi e gli interruttori SB1, SB2, SB3 sono aperti, per cui a ciascun inverter compete il proprio generatore fotovoltaico (configurazione multi-master);
  • gli interruttori SB1, SB2, SB3 sono chiusi, per cui tutti gli ingressi sono tra loro in parallelo, e gli interruttori SA1, SA2, SA3 vengono chiusi in sequenza a seconda della potenza prodotta al momento (configurazione master-slave); in questo modo si risente molto meno della diminuzione di efficienza degli inverter per potenze ridotte, in quanto si utilizza soltanto il numero di inverter strettamente necessario a convertire la potenza generata.

MPPT (Maximum Power Point Tracker)

La funzione ricerca del punto di massima potenza, realizzata mediante la funzione MPPT (Maximum Power Point Tracker) si può trovare solo negli inverter per servizio in rete, in quanto gli inverter per applicazioni isolate normalmente prelevano energia dalla batteria di accumulatori e quindi non si interfacciano direttamente col generatore fotovoltaico.

Il dispositivo MPPT ha lo scopo di individuare istante per istante quel particolare punto sulla caratteristica del generatore fotovoltaico per cui risulta massimo il trasferimento di potenza verso il carico posto a valle, ossia verso l’inverter. Con riferimento alla figura 5, si può vedere che la potenza prodotta da un generatore fotovoltaico varia notevolmente a seconda del punto di lavoro sulla curva caratteristica tensione-corrente. Tale curva tuttavia non è stabile nel tempo ma varia istantaneamente col modificarsi delle condizioni di irraggiamento solare e, più lentamente, col variare della temperatura. Queste variazioni causano lo spostamento del punto di massima potenza, il che si traduce nella impossibilità pratica di prevederne la collocazione controllando l’inverter con strumenti di calcolo tradizionali.

 

Una delle tecniche utilizzate dai moderni MPPT consiste nell’individuazione del punto di massima potenza sulla curva del generatore fotovoltaico mediante piccole variazioni di carico effettuare a intervalli regolari. Queste variazioni si traducono in scostamenti dei valori di tensione e corrente attraverso i quali è possibile stabilire se la nuova condizione è migliore della precedente. Questo metodo di ricerca è denominato P&O (Perturb and Observe) ed è molto diffuso, pur con diverse varianti nell’algoritmo di ricerca, ma non è l’unico.

In pratica, si è osservato che l’applicazione pura e semplice di un algoritmo P&O poteva dar luogo a notevoli problemi di accuratezza al manifestarsi di ampie variazioni di irraggiamento. Se, ad esempio, durante il funzionamento, una nube va a coprire il sole anche solo parzialmente, in molti casi l’algoritmo P&O riduce istantaneamente la potenza a zero. Si è osservato che, perché questo fenomeno si verifichi, è sufficiente che il nuovo valore di corrente di cortocircuito stabilitasi dopo la variazione sia inferiore al valore di corrente che precedentemente si aveva nel punto di massima potenza.

Per ovviare a questo inconveniente, in molti casi si è ricorsi al metodo CV (Constant Voltage), il quale, imponendo una tensione di lavoro fissa, impedisce alla corrente di portarsi a zero. Tuttavia, l’utilizzo del solo metodo CV non consente una gestione ottimale dell’array, per cui si preferisce utilizzare il metodo CV non da solo ma preferibilmente per “irrobustire” il P&O. Così facendo, l’algoritmo di ricerca valuta periodicamente se si sono verificate variazioni di una certa ampiezza nella curva caratteristica dell’array e, in tal caso, commuta il funzionamento da P&O a CV per poi riportarlo nuovamente a P&O ma a partire dal punto individuato sulla nuova curva. Questi metodi “ibridi”, che fanno uso di più algoritmi di ricerca coordinati tra loro, prendono l nome di MP&O, EPP, ecc.

Un ulteriore metodo di ricerca del punto di massima potenza è denominato IC (Incremental Conductance). Esso si basa sulla costatazione che nel punto di massima potenza la derivata della potenza rispetto alla tensione deve essere uguale a zero, ossia:

Il metodo IC individua con precisione il punto di massima potenza ma può facilmente diventare instabile in caso di perturbazioni della curva caratteristica, per cui spesso necessita di essere “irrobustito” con altri metodi, al pari di quanto avviene per il P&O.

Infine, vale la pena di citare alcuni metodi di ricerca utilizzati in passato ma che oggi si incontrano con minore frequenza, quali il metodo OV (Open Voltage), basato sulla misura periodica della tensione a circuito aperto, e il metodo SC (Short Circuit), analogo al precedente ma che invece tiene conto della corrente di corto circuito.

Circuiti di uscita e PWM

Come si è visto, i circuiti di uscita degli inverter non commutano quasi mai a frequenza di rete per evitare di introdurre nella rete stessa una quantità di armoniche eccessiva. Nella maggior parte dei casi si preferisce invece utilizzare una commutazione a frequenza più elevata che, agendo sulla durata degli impulsi, permetta di approssimare la sinusoide a 50 Hz. In figura 6 è visibile, da un punto di vista qualitativo, come questo fenomeno avviene: si può infatti notare che gli impulsi più ampi si trovano in corrispondenza dei valori massimi della sinusoide, mentre gli stessi impulsi si assottigliano all’avvicinarsi dell’onda ai punti di passaggio per lo zero. Questo metodo è detto PWM (Pulse Width Modulation) e può essere applicato sia ai generatori di tensione (inverter per servizio isolato) che ai generatori di corrente (inverter per servizio in rete).

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3. PRESTAZIONI

Curve di rendimento e indici

I costruttori di inverter forniscono sempre il valore del rendimento di conversione massimo raggiungibile con le proprie macchine. Tuttavia, il rendimento di conversione di un inverter non è costante ma, tipicamente, varia con alcuni parametri caratteristici. Il più importante fra questi è la potenza di uscita. Infatti, come si può vedere nell’esempio di figura 7, mentre per potenze comprese tra il 10% e il 100% della potenza massima il rendimento si mantiene generalmente abbastanza costante, per potenze inferiori tende invece a decrescere molto velocemente.

Al fine di tenere conto attraverso un unico parametro del comportamento dell’inverter lungo l’intera gamma di potenza di uscita, sono stati introdotti dei parametri in grado mediare i valori misurati in punti diversi dando loro un peso differente.

Il primo di questi, chiamato rendimento europeo , si utilizza prevalentemente in situazioni di radiazione solare media, mentre il secondo, chiamato rendimento californiano (introdotto dalla Californian Energy Commission) è impiegato preferibilmente in presenza di valori di radiazione solare elevati.

Nel seguito sono riportate le formulazioni per entrambi gli indici.

La potenza prodotta non è però l’unico parametro che influisce sul rendimento, perché anche le tensioni, in particolare quella di ingresso, possono giocare un ruolo non secondario. In genere infatti, quanto più ci si discosta dalla tensione di ingresso nominale, tanto minore è il rendimento a parità di potenza prodotta.

Efficienza MPPT statica e dinamica

Come si è visto, il rendimento di conversione costituisce per un inverter un parametro di merito molto importante, tuttavia nelle applicazioni fotovoltaiche deve essere considerata un’ulteriore potenziale fonte di inefficienza dovuta alla ricerca del punto di massima potenza.

L’efficienza MPPT è definita come il rapporto tra l’energia misurata in ingresso all’inverter in un determinato periodo di tempo e la stessa energia che il dispositivo utilizzato per la prova (generatore fotovoltaico o simulatore fotovoltaico) sarebbe in grado di fornire nel punto di massima potenza.

La norma EN 50530 – Overall efficiency of grid connected photovoltaic inverters stabilisce le modalità di prova sia per la misura del rendimento di conversione globale che per la misura dell’efficienza MPPT.

Supponendo di effettuare la prova per un periodo di tempo complessivo TM, indicando con PDC la potenza misurata in ingresso all’inverter e con PMPP la potenza disponibile nel punto di massima potenza del simulatore fotovoltaico, l’efficienza MPPT, chiamata , assume la seguente espressione:

Occorre precisare che l’efficienza MPPT deve essere misurata in corrispondenza di differenti valori della potenza e della tensione di ingresso, analogamente a quanto avviene per il rendimento di conversione. Inoltre, l’efficienza MPPT può dipendere dalla curva caratteristica del generatore fotovoltaico di riferimento, a seconda che si faccia uso di moduli in silicio cristallino o in film sottile. Inoltre, l’efficienza MPPT può essere a sua volta suddiviso efficienza MPPT statica e dinamica.

L’efficienza MPPT statica si misura mantenendo invariate le condizioni di ingresso per tutto il periodo della prova e di conseguenza l’inverter è tanto più efficiente quanto più riesce ad avvicinarsi al punto di massima potenza e quanto meno ampie sono le eventuali pendolazioni attorno ad esso.

L’efficienza MPPT dinamica si misura variando nel tempo l’ampiezza della curva caratteristica del simulatore fotovoltaico e di conseguenza, in questo caso, l’inverter è tanto più efficiente quanto più riesce ad adattarsi al mutare delle condizioni di ingresso. Le prove prevedono la variazione della potenza di ingresso secondo opportune rampe con valori prefissati di ampiezza e durata.

Un ultimo aspetto che riguarda l’efficienza MPPT consiste nella valutazione del comportamento dell’inverter in presenza di più massimi relativi nella curva di potenza. Questo fenomeno si verifica tipicamente quando uno o più moduli di una stringa risultano ombreggiati e sarebbe quindi possibile il passaggio della corrente prodotta dai rimanenti moduli attraverso i diodi di by-pass. Quando questo accade, l’inverter può far lavorare il generatore fotovoltaico alla tensione di stringa ma con una corrente più bassa, oppure a una tensione più bassa ma sfruttando appieno la corrente impressa dai moduli non ombreggianti. Molti algoritmi di ricerca del punto di massima potenza non sono in grado di riconoscere il punto sulla curva più vantaggioso (massimo assoluto), ma si limitano a trovare il primo massimo relativo che incontrano. In altri casi l’inverter effettua uno screening periodico su tutta la curva in modo da ricercare i punti di funzionamento più vantaggiosi.

Compatibilità elettromagnetica

La Direttiva Europea 89/336 contiene le prescrizioni di carattere generale riguardanti la compatibilità elettromagnetica, da considerarsi, come indica l’Art. 4 della direttiva stessa, sotto i due principali aspetti seguenti:

  • le perturbazioni elettromagnetiche generate siano limitate ad un livello che permetta agli apparecchi radio e di telecomunicazione ed agli altri apparecchi di funzionare in modo conforme alla loro destinazione;
  • gli apparecchi abbiano un adeguato livello di immunità intrinseca contro le perturbazioni elettromagnetiche che consenta loro di funzionare in modo conforme alla loro destinazione.

Nel caso di inverter per applicazioni isolate, le armoniche presenti all’uscita sono riscontrabili essenzialmente come variazioni della tensione di alimentazione ai carichi. La norma CEI EN 61000-2-2 fissa dei valori limite per ciascuna componente, espressi come valori percentuali della componente fondamentale a 50 Hz. La tabella 1 riporta tali valori.

Nel caso invece di inverter per servizio in rete, essendo questi ultimi assimilabili a dei generatori di corrente alternata, occorre fare ricorso alla norma CEI EN 61000-3-2, la quale fissa i limiti relativi presenza di armoniche nella corrente scambiata con la rete fino a 16 A per fase (nell’ipotesi che la tensione di rete sia pressoché perfettamente sinusoidale). I valori riportati nella tabella 2 si applicano alle correnti di linea e di neutro sia per apparecchi monofase che per apparecchi trifase equilibrati e non. Se le prove sono eseguite a tensioni nominali che differiscono dai valori nominali di riferimento (230/400 V) , i limiti riportati devono essere moltiplicati per la tensione di prova effettivamente divisa per i valori indicati.

Per correnti maggiori di 16 A per fase e fino a 75 A (corrispondenti a circa 50 kW se le fasi sono equilibrate e a = 1) si applica l norma CEI EN 61000-3-12, la quale prevede un approccio differente e più complesso rispetto alla CEI EN 61000-3-2.

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4. CONNESSIONE ALLA RETE DEGLI IMPIANTI FOTOVOLTAICI

Panorama normativo

Attualmente, lo stato della normativa si differenzia notevolmente a seconda che la connessione avvenga in bassa tensione (BT) a 230/400 V, in media tensione (MT), tipicamente a 15 kV o 20 kV, o in alta tensione (AT), tipicamente a 132 kV.

Le connessioni alle reti di media e alta tensione fanno riferimento alle Regole Tecniche di Connessione (RTC). Queste sono nate con lo scopo principale di uniformare l’accesso alla rete per gli utenti attivi (produttori) e passivi (normali utilizzatori), indipendentemente dal distributore locale di riferimento. Le RTC sono contenute nella delibera ARG/elt 33/08, poi modificata dalla delibera ARG/elt 119/08. Quest’ultima contiene in allegato la norma CEI 0-16 seconda edizione “Regola tecnica di riferimento per la connessione di Utenti attivi e passivi alle reti AT e MT delle imprese distributrici di energia elettrica”. A integrazione di quanto contenuto nella suddetta norma, più di recente è stato emessa la Variante 2, chiamata anche “Foglio di interpretazione F1”.

E’ comunque possibile, da parte delle società elettriche, emettere delle guide tecniche, purché queste non siano in contrasto con i documenti emanati dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas e il CEI. Di grande interesse è la “Guida per le connessioni alla rete elettrica di Enel Distribuzione” con l’ultimo aggiornamento del dicembre 2011.

La situazione normativa per le connessioni alla rete di bassa tensione è al momento più complessa, in quanto, dopo una lunga coesistenza della norma CEI 11-20 (con le varianti V1 e V2) e delle regole tecniche dei gestori di rete (in particolare il già menzionato documento Enel), nel dicembre 2011 è uscita la norma CEI 0-21 “Regola tecnica di riferimento per la connessione di Utenti attivi e passivi alle reti BT delle imprese distributrici di energia elettrica”.

Tuttavia, l’entrata in vigore della norma CEI 0-21 per gli utenti attivi (produttori) non è immediata perché la validità delle parti dedicate a questi ultimi è stata rimandata di 6 mesi. Inoltre, è previsto che taluni aspetti debbano entrare in vigore solo a seguito di un’opportuna variante alla norma stessa. Questi aspetti fanno riferimento in particolare a: immissione di potenza reattiva, Low Voltage Fault Ride Through (LVFRT), partecipazione al controllo di tensione, limitazione della potenza attiva generata, sistema di protezione di interfaccia.

Schema generale di connessione alla rete

La tensione di rete a cui è possibile connettere un impianto fotovoltaico dipende principalmente dalla sua potenza, come si può vedere dalla tabella 3, ricavata dalla norma CEI 0-16.

La tabella 3 si riferisce ad impianti trifasi. Il collegamento di impianti monofasi è limitato a 10 kW sulle reti MT e a 6 kW sulle reti BT (limite eventualmente estendibile fino a 10 kW a discrezione del distributore).

Si consideri inoltre che la delibera ARG/elt 99/08 (TICA) fornisce una classificazione leggermente diversa dei livelli indicativi di tensione a cui è erogato il servizio di connessione, ponendo a 6 MW il limite tra MT e AT.

A seguito della delibera ARG/elt 125/10 TERNA è tenuta a elaborare i criteri per l’individuazione delle aree critiche della rete AT, ossia le linee prossime alla capacità limite di trasporto e le aree critiche interessate da queste. Per le reti MT e BT il distributore deve indicare con colorazioni diverse le aree di sua competenza a seconda delle potenze in immissione complessivamente richieste (sulla base dei preventivi inviati ai richiedenti), delle potenze di carico minime e delle potenze dei trasformatori AT/MT che servono le aree considerate. In dipendenza di questi fattori il colore delle aree può essere: bianco, giallo, arancione o rosso. Le aree di colore rosso sono individuate come aree critiche, il che si traduce in pratica in un numero maggiore di vincoli e adempimenti per l’utente attivo che intende connettersi.

Indipendentemente dal livello di tensione considerato, sia la norma CEI 0-16 che la norma CEI 0-21 (e in via transitoria la norma CEI 11-20) prevedono 3 livelli di protezione per gli impianti allacciati alla rete pubblica (figura 8), che in sintesi possono essere così elencati:

  • dispositivo di generatore (DDG) per intervento su guasto del generatore stesso;
  • dispositivo di interfaccia (DDI) per intervento su guasto della rete pubblica;
  • dispositivo generale (DG) per intervento su guasto del sistema elettrico del produttore.

La rete utente può essere in parte abilitata al funzionamento in isola, ossia scollegata dalla rete pubblica, anche se questa eventualità nella pratica non si verifica con gli impianti fotovoltaici.

Il dispositivo generale non differisce da quello utilizzato per gli utenti passivi, mentre il dispositivo di interfaccia è quello che maggiormente contraddistingue gli utenti attivi da quelli passivi. La mancata apertura del DDI a seguito di un guasto della rete pubblica potrebbe infatti, almeno in teoria, far sì che l’impianto fotovoltaico continui ad alimentare il guasto, causando situazioni di pericolo per le persone e le apparecchiature.

Impianti collegati alle reti di media tensione

In corrispondenza del punto di consegna la cabina di ricezione del produttore presenta la configurazione di figura 9. Si può notare che, differentemente da quanto avviene per gli utenti passivi, i dispositivi per la misura dell’energia (TA e TV) sono collocati immediatamente a valle del dispositivo generale, così da essere protetti da quest’ultimo.

I rimanenti componenti e apparati principali facenti parte dell’impianto, ossia Dispositivo di Interfaccia, trasformatore, quadri e inverter possono trovare posto anch’essi nel locale utente della cabina di consegna, oppure possono essere allocati in un’altra cabina.

Dispositivo Generale (DG) e Sistema di Protezione Generale (SPG)

il Dispositivo Generale (DG) può essere costituito da un interruttore tripolare in esecuzione estraibile con sganciatore di apertura o un interruttore tripolare con sganciatore di apertura e sezionatore a monte. Oltre alla configurazione a singolo montante è ammessa la configurazione a doppio montante, con due DG da dedicare a specifici circuiti di utenza o produzione.

L’esercizio della rete di media tensione in Italia avviene, prevalentemente, con neutro a terra tramite impedenza (neutro compensato). Una certa quota di reti di distribuzione, tuttavia, risulta ancora esercita a neutro isolato e quindi è necessario che le protezioni per i guasti a terra di cui è dotato l’impianto dell’Utente siano sempre in grado di funzionare correttamente, a prescindere dallo stato del neutro.

Il Sistema di Protezione Generale (SPG) è costituito dai sensori (TA di fase, TO ed eventualmente TV) e da un relè (protezione generale, PG) che comprende:

  • protezione di massima corrente di fase almeno bipolare a tre soglie, una a tempo dipendente, le altre due a tempo indipendente, indicate nel modo seguente:

I> (sovraccarico) a tempo dipendente, eventualmente escludibile

I>> (soglia 51, con ritardo intenzionale)

I>>> (soglia 50, istantanea)

  • protezione di massima corrente omopolare a due soglie oppure, sotto certe condizioni, protezione direzionale di terra a due soglie e massima corrente omopolare a una soglia.

Dispositivo di interfaccia (DDI) e Sistema di Protezione di Interfaccia (SPI)

Il DDI installato sul livello MT può essere costituito da un interruttore tripolare in esecuzione estraibile con sganciatore di apertura a mancanza di tensione o un interruttore tripolare con sganciatore di apertura a mancanza di tensione e uno o due sezionatori installati a monte e/o a valle.

Per impianti con più generatori, il dispositivo di interfaccia deve essere di norma tale da escludere contemporaneamente tutti i generatori.

Qualora le necessità impiantistiche lo imponessero, è ammesso l’utilizzo di più protezioni di interfaccia (al limite una per ogni singolo generatore). Tuttavia, per non degradare l’affidabilità del sistema, il comando di scatto di ciascuna protezione deve agire su tutti i DDI presenti in impianto, in modo che una condizione anomala rilevata anche da un solo SPI disconnetta tutti i generatori dalla rete.

Il Sistema di Protezione di Interfaccia (SPI) associato al DDI prevede i relè di frequenza, di tensione, ed eventualmente di tensione omopolare, con le seguenti protezioni:

  1. massima tensione (soglia 59 senza ritardo intenzionale);
  2. minima tensione (soglia 27 con ritardo tipico di 300 ms);
  3. massima frequenza (soglia 81> senza ritardo intenzionale);
  4. minima frequenza (soglia 81< senza ritardo intenzionale);
  5. massima tensione omopolare V0 lato MT (soglia 59N ritardata);
  6. protezione contro la perdita di rete (da concordare tra il Distributore e l’Utente in funzione delle caratteristiche della rete di distribuzione e attualmente allo studio).

Le protezioni di massima/minima frequenza e di massima/minima tensione devono avere in ingresso grandezze proporzionali ad almeno due tensioni concatenate MT, le quali possono essere prelevate dal secondario dei TV collegati fra due fasi MT o direttamente da tensioni concatenate BT.

La protezione di massima tensione omopolare è prevista, su richiesta del Distributore, solo per gli impianti in grado di sostenere la tensione di rete (generatori sincroni, asincroni autoeccitati, inverter funzionanti come generatori di tensione) con potenza complessiva ≥ 400 kVA. Sono quindi esclusi gli inverter per servizio in rete.

L’intervento di un qualsiasi relè deve determinare l’apertura del dispositivo di interfaccia.

Le regolazioni delle protezioni avviene sotto la responsabilità dell’Utente sulla base del piano di regolazione predisposto dal Distributore, il quale, in presenza di particolari condizioni della rete, può richiedere l’installazione a cura dell’Utente di un sistema di telescatto.

Dispositivo di Generatore (DDG)

Per gruppi di generazione MT, il DDG può essere costituito da un interruttore tripolare in esecuzione estraibile con sganciatori di apertura, oppure un interruttore tripolare con sganciatore di apertura ed un sezionatore installato sul lato rete dell’interruttore.

In ogni caso il Dispositivo del Generatore deve essere installato sul montante di ciascun generatore ad una distanza minima dai morsetti del generatore medesimo.

Il DDG può svolgere le funzioni del DDI qualora ne abbia le caratteristiche, ma è comunque necessario che, fra la generazione e la rete di distribuzione, siano sempre presenti due interruttori in serie tra loro o, in alternativa, un interruttore ed un contattore.

Impianti collegati alle reti di bassa tensione

La norma CEI 0-21 regola la connessione degli utenti attivi e passivi alla rete di bassa tensione, anche se per gli utenti attivi le relative disposizioni entreranno in vigore dalla seconda metà del 2012. Per alcune di esse, in particolare, l’applicazione è subordinata all’emanazione di opportune varianti alla norma stessa. Nel seguito si riportano le principali disposizioni contenute nella norma.

Indicando con Un la tensione nominale, in fase di avviamento l’erogazione di potenza alla rete è subordinata alla verifica che, per un periodo di almeno 300 s risulti:

  • 85% Un  Tensione 110% Un
  • 49,95 Hz  Frequenza 50,05 Hz (regolabile)

Inoltre, l’erogazione deve avvenire in modo graduale con un gradiente positivo non superiore al 20% della potenza massima al minuto. Per i generatori rotanti invece, il tempo di attesa e verifica dei parametri elettrici è di 180 s.

Per gli impianti dotati di inverter è necessario limitare la corrente continua eventualmente presente sui morsetti di uscita ad un valore non superiore allo 0,5% della corrente nominale mediante un trasformatore a 50 Hz o una protezione che agisce sul DDG.

Nel caso di protezione che agisce sul DDG, i tempi di intervento sono:

 200 ms se la corrente continua è superiore a 1 A

 1 s se la corrente continua è compresa tra lo 0,5% del valore nominale e 1 A

Ai fini dell’immissione di potenza reattiva in rete, gli inverter devono possedere i seguenti requisiti:

  • se la potenza è minore o uguale a 3 kW deve essere  ≥ 0,98
  • se la potenza è compresa tra 3 kW e 6 kW gli inverter devono avere regolabile tra 0,95 in assorbimento e 0,95 in erogazione con controllo locale basato sulla potenza erogata
  • se la potenza è superiore a 6 kW gli inverter devono avere cosjregolabile tra 0,90 in assorbimento e 0,90 in erogazione con:
    • Controllo locale basato sulla potenza erogata
    • Controllo locale basato sulla tensione
    • Controllo remoto mediante scambio di segnali con protocollo CEI EN 61850 (curva di capability rettangolare)

Gli impianti di potenza superiore a 6 kW devono avere la funzione LVFRT (Low Voltage Fault Ride Through), la quale impedisce che si verifichi la separazione dalla rete nel caso di buchi di tensione.

Gli impianti equipaggiati con inverter devono inoltre, all’occorrenza, essere in grado di limitare la propria potenza massima qualora la frequenza di rete sia eccessiva. Questa funzione è realizzata, a livello locale mediante una limitazione lineare della potenza dal 100% a zero nell’intervallo compreso tra 50,3 Hz e 51,5 Hz. Se la potenza supera i 6 kW deve essere possibile inviare agli inverter un valore limite per la potenza erogata mediante un segnale esterno.

Dispositivo Generale (DG)

Il Dispositivo Generale (DG) è costituito da un interruttore automatico onnipolare conforme alla norma CEI EN 60898 o CEI EN 60947-2 (se adatto al sezionamento) con potere di cortocircuito non inferiore a 6 kA per le forniture monofase, 10 kA per le forniture trifase fino a 33 kW e 15 kA per le forniture trifase oltre 33 kW. In alternativa, è possibile utilizzare un IMS con fusibili conforme alla norma CEI EN 60947-3.

Al posto di un unico DG, è possibile installare fino a 3 Dispositivi Generali di Linea (DGL) da dedicare a specifici circuiti di utenza o produzione.

Dispositivo di interfaccia (DDI) e Sistema di Protezione di Interfaccia (SPI)

Il Dispositivo di Interfaccia (DDI) deve esser costituito da un IMS o interruttore automatico idoneo al sezionamento oppure un contattore onnipolare di categoria AC3 (per inverter fino a 6 kW con DDI interno è ammesso un contattore di categoria AC1).

Per impianti fino a 20 kW è ammesso che siano presenti fino a 3 SPI distinti. Se i DDI sono più di 3 si deve prevedere il loro funzionamento in OR (l’anomalia rilevata da un SPI provoca lo sgancio di tutti i DDI). Per impianti superiori a 20 kW è comunque consentito l’impiego di 2 o più SPI purché agiscano in logica OR.

Per gli impianti di potenza superiore a 20 kW deve essere previsto un dispositivo di rincalzo al DDI, che eventualmente può essere il DG/DGL oppure il DDG. Questa funzione prevede, in caso di mancata apertura del DDI, l’invio temporizzato (0,5 s massimi) del comando di apertura della protezione di interfaccia al dispositivo di rincalzo. Gli SPI interni agli inverter possono essere utilizzati come dispositivi di rincalzo, purché siano in grado di ricevere il segnale di apertura ritardata dallo SPI esterno.

Per impianti di potenza superiore a 6 kW il Sistema di Protezione di Interfaccia deve essere realizzato mediante un dispositivo dedicato, ma per potenze inferiori può essere integrato nell’apparato di conversione (inverter).

Con riferimento alla tabella 4, il Sistema di Protezione di Interfaccia deve prevedere le seguenti funzioni:

  • protezione di massima/minima frequenza;
  • protezione di massima/minima tensione;
  • capacità di ricevere segnali su protocollo CEI EN 61850 per l’abilitazione delle soglie di frequenza e comando di telescatto.

Per i sistemi trifase le protezioni di massima e minima tensione devono avere in ingresso grandezze proporzionali alle tre tensioni BT concatenate, mentre per le protezioni di massima e minima frequenza è sufficiente una tensione concatenata.

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