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Rischi climatici e disuguaglianze sociali, due facce della stessa crisi

Il cambiamento climatico è in cima alle preoccupazioni degli esperti sentiti dal World Economic Forum, mentre stanno aumentando sia la ricchezza che la povertà estrema a livello globale.

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Rischi climatici e disuguaglianze sociali sono due facce della stessa crisi. È quanto emerge da due rapporti pubblicati per il forum economico mondiale in corso a Davos, in Svizzera, fino a venerdì 20 gennaio.

Mentre dal rapporto Oxfam “Survival of the Richest” si evidenzia che l’1% più ricco della popolazione mondiale si è impossessato di quasi i due terzi di tutta la nuova ricchezza creata dal 2020 (42 trilioni di dollari, cioè 42mila miliardi di $), il “Global Risks Report 2023″ del World Economic Forum mette le questioni climatiche in cima alla sua lista dei rischi, mostrando quanto siano intrecciate ai temi sociali.

Sul breve termine (cioè per i prossimi 2 anni), mostra il report WEF, il rischio più temuto a livello globale è la crisi complessiva del costo della vita, spinta da diversi fattori tra cui inflazione e forti rincari energetici e delle materie prime.

Ma su un orizzonte più ampio (10 anni) sono i rischi climatici a far preoccupare maggiormente gli oltre 1.200 esperti (provenienti dal mondo accademico, aziende, governi e società civile), intervistati tra settembre e ottobre 2022 dal World Economic Forum.

I rischi più elevati, come riassume la tabella qui sotto, sono dati dal fallimento delle politiche e delle misure per mitigare il cambiamento climatico e per adattare le società al cambiamento climatico.

Al terzo posto troviamo i disastri naturali e gli eventi meteorologici estremi, seguiti dalla perdita di biodiversità e dal collasso degli ecosistemi.

La combinazione di rischi sociali, tecnologici, economici, ambientali e geopolitici che affrontiamo oggi, scrive poi il WEF, “è unica”. La maggior parte degli intervistati (80%) prevede una volatilità costante nei prossimi anni, con shock multipli che accentueranno incertezze e turbolenze.

Si parla, in particolare, di un possibile effetto a catena innescato dalla crisi attuale (energetica-economica).

Le preoccupazioni più imminenti, legate al caro bollette e alla necessità di sussidiare i consumi energetici di famiglie e imprese, rischiano di rallentare le azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici, ad esempio le iniziative per ridurre le emissioni e incrementare gli investimenti in energie pulite.

Inoltre, si legge nel rapporto, si assiste a una confluenza di danni diretti, causati dagli impatti fisici dei cambiamenti climatici (innalzamento del livello del mare, eventi meteorologici estremi, ondate di calore e incendi boschivi) con le conseguenze indirette, come i fallimenti dei raccolti, le migrazioni e un aumento dei disordini civili.

Tutto ciò minaccia i mezzi di sussistenza di milioni di persone, in particolare nelle economie in via di sviluppo.

Eppure, scrive il WEF (neretti nostri), “è anche impossibile ignorare le crisi odierne e i rischi a breve termine a favore di minacce a lungo termine come il clima”, quindi è molto difficile investire per il futuro del clima “se milioni di persone affrontano il rischio di fame, sete, sfollamento e violenza, se le famiglie devono fare scelte insopportabili tra riscaldamento e alimentazione, oppure se i governi affrontano compromessi tra evitare oggi il default e la calamità finanziaria rispetto a investire in istruzione, sanità e infrastrutture per la prossima generazione”.

In questo quadro, le disuguaglianze sociali, economiche e anche energetiche si stanno esacerbando. Siamo di fronte a una divergenza crescente “tra ciò che è scientificamente necessario e ciò che è politicamente fattibile”.

Cosa si può fare?

Innanzitutto, secondo il rapporto del World Economic Forum, i leader devono ripensare gli orizzonti temporali dei rischi e affrontare “ora e insieme” sia i rischi socioeconomici attuali che le minacce climatiche di medio-lungo periodo.

In secondo luogo, i governi e le imprese devono investire di più nella preparazione al rischio in tutti i settori (sanità, finanza sostenibile, infrastrutture, istruzione).

Inoltre, è necessario rafforzare e ricostruire la cooperazione internazionale e la governance multilaterale: molti rischi globali possono essere affrontati in modo più efficace attraverso il coordinamento internazionale, la condivisione dei dati e lo scambio di conoscenze.

Tornando alle disuguaglianze segnalate nel rapporto Oxfam, dal 2020, il 63% di tutta la nuova ricchezza (pari a circa 26 trilioni di $) è stato “catturato” dall’1% più ricco.

I miliardari, si legge nel documento, hanno guadagnato circa 1,7 milioni di $ per ogni dollaro di nuova ricchezza globale, guadagnata da una persona nel 90% più povero della popolazione. E le fortune dei miliardari sono aumentate di 2,7 miliardi di dollari al giorno.

Oxfam poi sottolinea che 95 società alimentari ed energetiche hanno più che raddoppiato i loro profitti nel 2022, realizzando ricavi straordinari per 306 miliardi di dollari e versandone 257 miliardi (84%) a ricchi azionisti.

Allo stesso tempo, almeno 1,7 miliardi di lavoratori ora vivono in paesi in cui l’inflazione sta superando i salari e oltre 820 milioni di persone, circa una persona su dieci sulla Terra, soffrono la fame. Mentre i paesi più poveri spendono quattro volte di più per ripagare i debiti ai ricchi creditori che per la loro assistenza sanitaria.

La soluzione quindi è incrementare la tassazione sui grandi patrimoni.

Secondo una nuova analisi di Fight Inequality Alliance, Institute for Policy Studies, Oxfam e Patriotic Millionaires, una tassa annuale sul patrimonio fino al 5% sui multimilionari e miliardari del mondo potrebbe raccogliere 1,7 trilioni di dollari/anno, sufficienti, ad esempio, a portare 2 miliardi di persone fuori della povertà, sostenere i paesi più poveri devastati dagli impatti climatici e fornire assistenza sanitaria e protezione sociale universali a tutti coloro che vivono nelle fasce medio-basse di reddito.

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