Riscaldare le case, non il pianeta: perché liberarci delle caldaie a gas entro il 2030

Per decarbonizzare i consumi termici europei bisogna bandire la vendita di sistemi a fonti fossili prima del 2030. L'intervento di Davide Sabbadin dell'European Environment Bureau e Melissa Zill di ECOS.

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La decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento e raffreddamento in Europa è destinata a dominare il dibattito sul clima nel 2020.

Oggi, la climatizzazione degli edifici e la produzione di acqua calda sanitaria rappresentano metà del consumo energetico annuale dell’UE, e un terzo delle sue emissioni di CO2.

Dalle energie rinnovabili alla ristrutturazione degli edifici, c’è una pressione crescente per implementare soluzioni sostenibili. Ma nonostante l’impennata delle nuove tecnologie, l’Europa finora sulla decarbonizzazione ha fatto un passo avanti e due indietro.

Eliminazione graduale delle caldaie a combustibili fossili entro il 2030

Finché i termosifoni e gli scaldabagni alimentati a combustibili fossili continueranno a essere prodotti, venduti e installati nelle nostre case, è difficile pronosticare un futuro a zero emissioni di carbonio per l’Europa.

I combustibili fossili continuano a generare oltre l’80% dell’energia termica in Europa, con le caldaie a gas a fare la parte del leone.

Molti paesi vogliono invertire questa tendenza, promettendo il passaggio alle energie rinnovabili e a tecnologie neutre dal punto di vista delle emissioni di carbonio, come le pompe di calore, che a lungo termine ridurrebbero le bollette energetiche.

Ma i progressi sono lenti, poiché la continua produzione di tecnologie e infrastrutture a combustibili fossili rende l’adozione di nuove tecnologie sempre più difficoltosa.

Il problema principale è che le soluzioni pulite sono svantaggiate rispetto alle tecnologie a combustibili fossili. Attualmente, è più costoso sostituire una caldaia a gas con un sistema più efficiente piuttosto che sostituirla con un’altra caldaia a gas. Gli incentivi finanziari in Europa non sono sempre presenti e gli installatori non sempre conoscono le alternative.

Quando le soluzioni verdi non sono incentivate attivamente, è improbabile che i consumatori cambino prodotto e così si ritrovano a scegliere fra due non-soluzioni. I produttori, da parte loro, già da tempo promuovono le caldaie a gas a condensazione come alternativa pulita alle caldaie a gas tradizionali, anche se sono disponibili tecnologie veramente pulite, basate sull’energia rinnovabile.

Inoltre, installare una nuova caldaia a gas oggi significa che quel prodotto sarà in uso per una media di 10-20 anni, di fatto andando a consumare una parte di quel “budget di carbonio” che dovremmo lasciare ai settori dove le tecnologie per ridurle non sono ancora competitive, come le emissioni dei processi industriali.

Infine, gli scienziati hanno fatto i conti, ed è emerso che non abbiamo molto tempo per ridurre le emissioni di carbonio: se vogliamo decarbonizzare il riscaldamento, è chiaro che abbiamo bisogno di un approccio olistico che affronti tutti questi problemi assieme. I sistemi di riscaldamento meno efficienti dovrebbero essere gradualmente eliminati dal mercato UE, e l’ultima caldaia a combustibile fossile dovrebbe essere venduta non più tardi del 2030.

Mettere una scadenza alla produzione di tecnologie a combustibili fossili darebbe sia ai consumatori che ai produttori il tempo di prepararsi alla transizione. Realisticamente, questo significa che la Commissione Europea dovrebbe iniziare a discuterne e a redigere proposte prima della fine di quest’anno, come parte integrante della sua Direttiva di punta sull’Ecodesign.

Efficienza energetica, energie rinnovabili e pompe di calore

Il passaggio a sistemi di riscaldamento a emissioni zero deve andare di pari passo con la ristrutturazione degli edifici.

Un sistema di sovvenzioni a livello europeo per la coibentazione e i doppi o tripli vetri è un passo fondamentale per rendere le nostre case più confortevoli ed efficienti dal punto di vista energetico. Un recente studio ha rilevato che la ristrutturazione su vasta scala degli edifici potrebbe far risparmiare il 36% del loro consumo energetico entro il 2030.

Case ben isolate accelererebbero anche l’adozione di nuove soluzioni, come le pompe di calore elettriche e il teleriscaldamento, che nella maggior parte dei casi possono già sostituire le tradizionali caldaie a gas.

Attualmente, le pompe di calore sono presenti in meno del 10% di tutti gli edifici europei, ma il mercato è in rapida crescita. Il parco pompe di calore presente nell’UE ha consentito un risparmio energetico finale di 164 TWh e ha prodotto 128 TWh di energia rinnovabile nel 2018, con un risparmio di 32,8 Mt di emissioni di CO2 – l’equivalente cumulato delle emissioni di Cipro, Lettonia e Lussemburgo nel 2017.

Le pompe di calore non solo possono essere neutre dal punto di vista delle emissioni di CO2, ma sono anche tra le tecnologie disponibili più flessibili. Possono funzionare in modo efficiente con energia geotermica, fotovoltaica ed eolica, mantenendo il calore nei serbatoi di accumulo e generando energia per la casa quando è necessario – anche quando le fonti di energia rinnovabile non possono essere dispacciate.

Se abbastanza grandi, possono anche essere integrate in sistemi di teleriscaldamento, per riscaldare o raffreddare intere aree.

La rivoluzione dell’idrogeno?

Non è ancora il momento dell’idrogeno domestico. Si è tentati di credere che l’idrogeno e altre forme di gas rinnovabili rappresentino il futuro del riscaldamento, ma diffondere le caldaie a idrogeno -o peggio ancora quelle a metano ma “hydrogen ready”- potrebbero costituire una scommessa davvero molto costosa sia per le famiglie che per il sistema energetico in generale.

Attualmente, la disponibilità di idrogeno verde – generato per elettrolisi con energia rinnovabile – è ancora molto limitata, e il suo costo è considerevolmente più alto di quello del gas fossile e dell’elettricità rinnovabile.

Una forma più comune di idrogeno è prodotta dal gas fossile – compreso quello liquefatto in arrivo dagli USA e prodotto attraverso il fracking- ma questa opzione ovviamente non aiuta a ridurre le emissioni e quindi e’ da considerarsi incompatibile con lo scenario desiderato di neutralita’ climatica.

Costruire un’infrastruttura adatta all’idrogeno senza prima assicurarsi che esistano forniture sufficienti di energia rinnovabile è un rischio che l’Europa non può permettersi di correre – un rischio che chiaramente comprometterebbe i suoi sforzi di decarbonizzazione.

L’idrogeno è sicuramente più prezioso in un ruolo di supporto, nell’ambito degli sforzi per decarbonizzare i settori ad alta intensità energetica, come l’industria siderurgica, dove l’elettrificazione potrebbe essere più impegnativa e soprattutto nei processi industriali dove oggi si impiega il carbone come reagente, in primis la produzione dell’acciaio.

Via via che crescono gli appelli all’azione per il clima e ci avviciniamo al punto di non ritorno, i responsabili politici avranno sempre meno tempo e spazio per fare errori. L’attenzione dovrebbe concentrarsi su soluzioni realistiche e disponibili che ci aiutino ad abbandonare del tutto i combustibili fossili.

Il tempo dei dibattiti è finito – i passi verso la decarbonizzazione devono essere fatti ora.

Davide Sabbadin è un esperto di normative dell’European Environment Bureau (EEB). Melissa Zill è responsabile di programma a ECOS. Insieme, EEB ed ECOS guidano la campagna Coolproducts – una coalizione di ONG impegnate a promuovere prodotti migliori per i consumatori e il pianeta.

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