La mancanza di molti decreti attuativi è uno dei maggiori freni allo sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia.
Ed è un freno che si fa sentire parecchio, proprio nel momento in cui, invece, è richiesto un deciso balzo in avanti per abbandonare gradualmente i combustibili fossili e puntare verso gli obiettivi al 2030, fissati dal Pniec (Piano nazionale su energia e clima).
Dopo aver visto il ritardometro con i principali provvedimenti che mancano al settore elettrico (si veda Fatta la legge trovato il ritardo: così le rinnovabili sono bloccate), QualEnergia.it ha chiesto ad Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, come si potrebbe, secondo lui, sbloccare la situazione, anche alla luce degli interventi che potrebbero essere inseriti nel cantiere del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
In sintesi, ha spiegato il presidente, occorre lavorare su autorizzazioni, semplificazioni, aste e nuove soluzioni tecnologiche, come il cosiddetto agro-fotovoltaico.
Con il suo “ritardometro” abbiamo visto che le rinnovabili in Italia sono sostanzialmente bloccate da freni legislativi e burocratici. Che cosa serve per cambiare marcia?
Siamo ancora fermi al Pniec del 2019, ma bisognerebbe fare un Pniec 2021 per includere il nuovo obiettivo europeo sulle emissioni di CO2 [55% di riduzione della CO2 al 2030 rispetto al 1990, mentre il Pniec 2019 è fermo al 40% di riduzione, ndr.]. Significa che le fonti rinnovabili dovranno arrivare al 70% dei consumi lordi di energia elettrica tra meno di dieci anni, contro il 55% previsto in precedenza. Tuttavia, mantenendo il ritmo attuale delle installazioni, il traguardo del 2030 sarebbe raggiunto nel 2085.
Come mai?
Perché negli ultimi anni, in media, in Italia si è aggiunto meno di 1 GW di rinnovabili ogni anno [785 MW nel 2020, ndr.], mentre il ritmo richiesto è di 6,5 nuovi GW di fonti pulite ogni dodici mesi, in modo da aggiungere complessivamente 65 GW di capacità rinnovabile da qui al 2030, di cui 50 GW di fotovoltaico, 13 GW di eolico e 2 GW di altre fonti, tra geotermia, idroelettrico e bioenergie.
Allora su quali tecnologie e soluzioni si dovrebbe puntare maggiormente?
Una direzione su cui puntare è quella del fotovoltaico sui terreni agricoli. La stima di Elettricità Futura è che bisognerà installare 35 GW di impianti fotovoltaici a terra, su una superficie totale di 50.000 ettari. Questi 50.000 ettari sono nulla se messi in scala, perché la superficie agricola totale italiana è di 16 milioni e mezzo di ettari, di cui 3 milioni e 700.000 ettari non utilizzati. Quindi per il fotovoltaico stiamo parlando dello 0,3% della superficie agricola totale, o dell’1,4% di quella non più utilizzata. Anche gli impianti agro-fotovoltaici [con i moduli installati ad alcuni metri dal suolo, ndr.] sono una grande opportunità e non possiamo non sostenerli. Possono essere una soluzione win-win dove si produce energia e allo stesso tempo si proseguono le attività agricole. Da alcune sperimentazioni si è anche visto che determinate colture ombreggiate dai pannelli sono più produttive.
Che cosa manca, più in generale, per accelerare il mercato delle rinnovabili in Italia?
Bisogna prevedere delle aste per le rinnovabili che diano una visibilità al settore oltre la fine di quest’anno. Ora non riusciamo nemmeno ad agganciare i contingenti messi a gara perché abbiamo problemi di permitting. Il rispetto rigoroso dei procedimenti autorizzativi è un problema: direi che dobbiamo non solo ridurre i tempi attuali delle autorizzazioni ma ridurli. Ricordo che secondo la direttiva europea Red II i procedimenti per le autorizzazioni non dovrebbero superare due anni. E poi occorre definire un nuovo disegno del mercato elettrico, che sia coerente con gli obiettivi da raggiungere al 2030. Bisogna dare segnali di prezzo a 10-15 anni per consentire alle imprese di fare investimenti, anche attraverso i contratti PPA [Power purchase agreement, contratti di lungo termine per le rinnovabili, ndr.]. E bisogna approvare finalmente il dm controlli del Gse, che crea ingiustizie che sono anticostituzionali [la sottosegretaria al MiTE, Vannia Gava, nelle ore successive all’intervista, ha annunciato che il decreto controlli è in arrivo, ndr.].
Spesso però ci sono incompatibilità tra obiettivi energetici e tutela del paesaggio, con frequenti opposizioni ai progetti. Qual è la via d’uscita?
Il nuovo ministero della Cultura deve definire obiettivi di salvaguardia paesaggistica compatibili con quelli di transizione energetica ed ecologica. Deve essere introdotta una premialità nel raggiungere certi obiettivi, nel nostro caso di rilasciare 6,5 GW anno di autorizzazioni tra le varie regioni con il burden sharing e la definizione delle aree idonee. Inoltre, la Pubblica amministrazione deve dotarsi di risorse necessarie, in numero e qualità, da mettere nella filiera del permitting per accelerare le autorizzazioni di impianti nuovi e anche di impianti già realizzati da ammodernare e potenziare, il cosiddetto repowering.