Raccontare che “abbiamo ricavato metano dai rifiuti”, oggi non sembrerebbe una grande notizia.
In tutto il mondo ci sono migliaia di biodigestori, dove i rifiuti organici vengono lasciati fermentare in modo anerobico, perché producano biogas, CO2 + metano, da cui eventualmente ricavare metano purificato (biometano), pronto per entrare nei gasdotti o alimentare i trasporti.
Ma adesso si è trovato un modo di ricavare metano da tutti i rifiuti che contengono molecole organiche, quindi non solo da quelli biologici, ma anche dalle plastiche.
La tecnica è stata messa a punto da Alberto Giaconia, ingegnere chimico dell’Enea, e si chiama Idrogassificazione.
“In pratica si tratta di scaldare una massa di rifiuti contenenti molecole organiche fino a circa 400 °C, in presenza di idrogeno”, ci spiega Giaconia.
“In quelle condizioni – chiarisce – l’idrogeno scompone le molecole organiche, unendosi al loro carbonio e producendo metano. In pratica il rifiuto solido si trasforma quasi interamente in gas, mentre nel reattore restano poche ceneri solide, facili da smaltire anche riutilizzandole, ad esempio, per fare cemento o mattoni”.
Chiediamo all’ingegnere: nei rifiuti sono presenti altri elementi, come cloro, zolfo, azoto, oltre al carbonio e l’idrogeno del metano. E questi che fine fanno?
“In buona parte vengono gassificati anche loro, reagendo con l’idrogeno: l’ossigeno forma acqua, il cloro acido cloridrico, lo zolfo idrogeno solforato, l’azoto ammoniaca e così via. I gas tossici possono essere filtrati e utilizzati o resi innocui, l’acqua, invece, è utile per la seconda parte del processo”.
Questa seconda parte si chiama, infatti, ‘reforming con vapore acqueo’…
“In pratica il metano ottenuto viene fatto reagire con del vapore d’acqua ad alta temperatura, per scomporlo in CO2 e idrogeno. La CO2 può essere facilmente separata dal resto dei gas, per essere utilizzata nell’industria o nelle serre oppure immagazzinata sottoterra permanentemente. L’idrogeno può essere utilizzato come tale, oppure impiegato per compiere la gassificazione del primo stadio, così da chiudere il cerchio. In genere il metano che otteniamo contiene circa il doppio dell’idrogeno usato per innescare la gassificazione”.
In realtà, per chiuderlo, e capire quanto sia sostenibile il processo, bisogna anche capire da dove arrivi l’energia per riscaldare i reattori: se la ottenete bruciando parte del metano o dell’idrogeno, l’efficienza cala drasticamente.
“E infatti il calore non arriva dalla combustione dei gas, ma da energia solare o eolica in eccesso. Questo vuol dire che il processo, oltre a servire come smaltimento dei rifiuti, può anche essere usato per stoccare energia rinnovabile in eccesso per lunghi periodi: entra elettricità ed escono gas combustibili, che possono essere immagazzinati per quanto tempo si vuole”.
Ma quali rifiuti pensate di usare? Usare quelli organici, non sembra una grande idea: producendo metano con i biodigestori, alla fine nel reattore resta un “digestato”, che può fertilizzare i campi, chiudendo il cerchio. La stessa cosa accade usando quei rifiuti per produrre compost: si restituisce alla terra quello che si era preso. Con il vostro metodo, invece, il rifiuto organico, di fatto viene incenerito…
«Sì, è una osservazione corretta, e infatti riteniamo che, a parte i casi in cui occorre eliminare rapidamente dei rifiuti biologici, il nostro metodo sia particolarmente utile per trattare le plastiche non riciclabili, come quelle troppo sporche dei teli agricoli oppure il cosiddetto ‘plastix’, lo scarto dei centri di riciclo, costituito da plastiche di ogni tipo non più separabili, che oggi, per lo più, può essere solo bruciato nei termovalorizzatori”.
Ecco, appunto, già oggi le plastiche si bruciano nei termovalorizzatori, anzi sono particolarmente ricercate da questi impianti per il loro alto potere calorifico. Che vantaggi darebbe gassificarle?
«Beh, nei termovalorizzatori le plastiche, appunto, vengono bruciate, quindi si producono grandi quantità di fuliggine, gas, composti e ceneri tossiche di ogni genere, che richiedono complessi sistemi di filtraggio e smaltimento. Inoltre, i termovalorizzatori, per la natura composita del rifiuto, spesso molto umido, non possono essere molto efficienti nel recupero dell’energia, mentre il metano che produciamo noi lo si può utilizzare con alta efficienza. Infine, questi impianti producono CO2, che, essendo mescolata a grandi quantità di azoto dell’aria, è molto difficile da separare e quindi finisce in atmosfera, peggiorando il cambiamento climatico”.
C’è però un altro modo per ottenere gas combustibili dalle plastiche e dai rifiuti in genere: la pirolisi, cioè il riscaldamento dei rifiuti in reattori a 700-800 °C senza contatto con l’aria. In questo caso è il semplice calore a scomporre i rifiuti e gassificarli.
«Sì, la pirolisi ha alcune somiglianze con il nostro sistema, ma anche grosse differenze. L’uso di temperature così alte rende difficile produrle con energie rinnovabili. Quindi una parte dei gas ottenuti vengono subito bruciati per scaldare il reattore, e il sistema diventa soprattutto un modo per distruggere rifiuti, non per trasformarli in qualcosa di utile. Inoltre, con la pirolisi nel reattore avviene ogni genere di reazioni chimiche, con il risultato che alla fine resta non cenere, ma una sorta di olio catramoso estremamente tossico, difficile da smaltire. E la ragione principale perché la pirolisi, di cui si parla da decenni, in realtà non è quasi usata”,
E quindi vedremo presto impianti di idrossigassificazione dei rifiuti?
“Al momento abbiamo verificato il funzionamento dei due stadi, e stiamo testando in laboratorio l’idrogassificazione di miscele di rifiuti reali. Per passare a prototipi e dimostratori su scala industriale serviranno finanziamenti ben più cospicui, che stiamo peraltro cercando. Qualche industria interessata ci ha già contattato”.