Per la stabilità della rete del futuro servono più rinnovabili

Come adattare le varie infrastrutture energetiche difronte ai cambiamenti climatici? E quanto sono resilienti le diverse fonti energetiche al mutamento del clima? Quali i costi? Uno studio ha fatto delle simulazioni.

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Se anche si riuscisse a rispettare l’accordo di Parigi sul cambiamento climatico, o persino se domattina smettessimo di inondare l’atmosfera di CO2, il clima continuerebbe a cambiare per svariati decenni, visto che il complesso atmosfera-oceani-biosfera ha una sua inerzia e richiede un lungo periodo di tempo prima di stabilizzarsi su una nuova condizione.

Secondo diverse stime, l’attuale livello di CO2 in aria, ci “condanna” almeno ad un aumento ulteriore di temperatura di circa 0,6 °C nei prossimi 40 anni.

Visti i danni che già produce l’attuale cambiamento climatico, è quindi indispensabile pensare anche a come adattare le varie infrastrutture alla situazione, ancora più pesante, in cui inevitabilmente ci verremo a trovare in futuro.

I sistemi di produzione elettrica non fanno eccezione: finora abbiamo ragionato sul come cambiarli per limitare il global warming, ma bisogna anche pensare a come cambiarli per limitare su di loro le conseguenze del global warming.

E, curiosamente, le due linee di cambiamento coincidono: bisogna puntare sulle rinnovabili per entrambi gli scopi.

Lo ha scoperto Ariel Miara, ricercatore dell’Energy National Renewable Energy Laboratory (Nrel), appartenente al Ministero dell’Energia statunitense, che ha pubblicato su Environmental Science & Technology i risultati di uno studio sull’argomento.

«Abbiamo simulato in un modello computerizzato, quattro possibili scenari di sviluppo del sistema Usa di generazione elettrica, basati su fonti prontamente espandibili, rispettivamente carbone, gas nucleare o solare/eolico, per capire quanto fossero resilienti all’aumento di temperature e al cambio del regime delle piogge, causati dal cambiamento climatico», spiega Miara.

In un primo tempo la simulazione è stata fatta immaginando un mondo senza cambiamento climatico.

«Questo run del modello, che rispecchia come finora sono state condotte le simulazioni sul futuro della rete elettrica Usa, ha mostrato che grazie alle sole forze del mercato, lo sviluppo del sistema elettrico americano al 2030 e al 2050, porterebbe a un aumento di potenza tale da soddisfare la domanda e ad un incremento dell’affidabilità del sistema. Ma contare su questo risultato è illusorio e pericoloso, perché condurrebbe a problemi seri quando il cambiamento climatico eserciterà la sua influenza sulla sicurezza della fornitura elettrica».

Per vedere quanto sarà pesante questa influenza, la seconda parte della simulazione ha inserito nel modello i previsti aumenti di temperatura e periodi eccesso o carenza di previsioni, indicati dai modelli climatici per il Nord America nei prossimi decenni.

«Ebbene, inserendo questo fattore, i risultati diventano molto meno rassicuranti, per gli insoliti picchi di consumo, dovuti per esempio ad ondate di calore, e i problemi alla generazione termoelettrica, per i periodi di siccità che riducono la produzione da centrali idroelettriche e anche quella, per i problemi di raffreddamento delle centrali termiche. La simulazione mostra che negli scenari con poche rinnovabili la capacità di riserva nella generazione scende spesso sotto ai livelli accettabili, il che può condurre a grandi e prolungati black-out di intere aree del paese, in caso di guasto a linee o centrali».

Per rimediare a questo ci sono tre strade, che non si escludono fra loro.

«La prima è aumentare l’interconnessione fra le varie regioni Usa, così da spostare più elettricità fra loro. La seconda è migliorare i sistemi di raffreddamento delle centrali termiche, in modo che possano funzionare anche in caso di scarsa portata dei fiumi. La terza è aumentare di molto la quantità di rinnovabili, come il solare e l’eolico, nel mix elettrico, visto che queste fonti di energia non hanno bisogno di raffreddamento».

In totale, a secondo degli scenari climatici, gli Usa dovrebbero prevedere un aumento ulteriore della generazione elettrica fra i 5,2 e il 12%, sopra quello necessario per soddisfare l’aumento della domanda, con l’obiettivo di mantenere il sistema al sicuro da defaillance causate da eventi meteo estremi.

«Il costo per adattare rete e generazione elettrica Usa al cambiamento climatico sarà di 125-143 miliardi di dollari, e, secondo la nostra simulazione, un’espansione basata su rinnovabili intermittenti e generazione a gas, rappresenta il mix più competitivo, per assicurare sufficiente produzione e sicurezza», conclude Miara.

Quindi il cambiamento climatico richiederà, sicuramente anche in Europa e in Italia, ingenti spese per rendere le reti più affidabili, e prepararsi ai problemi di produzione delle centrali termiche, azzoppate dalle ondate di calore e dalla siccità. E il modo più economico per ottenere questo, secondo il Nrel, è aumentare la quota delle fonti meno sensibili a riscaldamento globale: solare ed eolico.

A questo proposito, un altro studio dello stesso Nrel indica che sarebbe molto opportuno andare oltre all’affermarsi in ordine sparso di queste due fonti, coordinandole e integrandole fra loro e con altre, così da farle diventare compiutamente il perno della generazione elettrica.

«Siamo davanti a un cambiamento di paradigma: ormai le rinnovabili stanno superando la soglia del 20% di produzione elettrica negli Usa, ed è tempo che puntino a obbiettivi più ambiziosi della semplice riduzione del costo del kWh», dicono nel rapporto Katherine Dykes e colleghi dell’ente di ricerca statunitense.

Questi obbiettivi consistono nel coprire i picchi di domanda e sostituire la generazione convenzionale elettrica anche con servizi come la regolazione di frequenza per stabilizzare la rete, compiti finora preclusi a solare ed eolico per la loro intermittenza non programmabile.

«Fornire questi servizi aiuterà le fonti rinnovabili a compensare l’inevitabile calo degli aiuti pubblici. Finora si è tentato di ovviare con i contratti PPA, cioè con forniture a prezzo costante a un determinato utente, ma in questo modo le rinnovabili non programmabili rinunciano ad approfittare delle opportunità di mercato, che possono garantire notevoli ritorni a chi riesce a fornire energia nei momenti di maggiore richiesta o di necessità di bilanciamento della rete».

Per questo Dykes e colleghi propongono due linee di azione nella futura costruzione di impianti a rinnovabili.

«Prima di tutto bisogna coordinare l’uso della terra fra più impianti; per esempio centrali eoliche e solari, o solare e idroelettrico, così da ottimizzare la spesa per l’occupazione del suolo e per l’accesso alla rete, tagliando i costi. In secondo luogo, occorre coordinare la gestione di più impianti, fra rinnovabili programmabili, come idroelettrico o biomasse, e intermittenti, come solare ed eolico, in modo da poter programmare nel tempo la loro produzione, entrando così nel mercato del dispacciamento e in quello dei servizi di regolazione della rete, che sono altamente remunerativi», spiega la ricercatrice Nrel.

Costruendo centrali alimentate a rinnovabili miste, magari assistiti anche da impianti di accumulo, il settore riuscirebbe, per così dire, a uscire dalla sua “infanzia assistita” e iniziare a competere nel mercato “dei grandi”, dimostrando di essere una alternativa completa e affidabile, anche sul piano della stabilità della rete, alla generazione da fossili.

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