Lezioni dalla crisi energetica per non mettere a rischio la decarbonizzazione

Più importante ridurre la domanda di combustibili fossili che agire sull’offerta. Wood Mackenzie indica una strada che governi, aziende e investitori potrebbero seguire per conciliare decarbonizzazione ed equità sociale.

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Colli di bottiglia produttivi post-pandemia+invasione russa dell’Ucraina+lotta ai mutamenti climatici = un rompicapo energetico che fa sembrare relativamente semplice e innocuo lo shock petrolifero degli anni ’70.

Un simile contesto senza precedenti deve spingere governi, aziende e investitori a uno sforzo inedito per giungere ad una sintesi fra priorità e tempistiche che rischiano di diventare inconciliabili.

Sono queste le premesse di una nota della società di ricerche Wood Mackenzie, secondo cui dall’evolversi della crisi emergono cinque possibili lezioni che potrebbero “modellare la politica e le strategie aziendali per gli anni a venire”.

Come o peggio degli anni ‘70

“Come negli anni ’70, le ragioni della crisi energetica vanno indietro di molti anni… [Ma] la grande differenza rispetto agli anni ’70 è che, oggi, il mondo sta cercando di affrontare contemporaneamente un altro problema: la minaccia di un cambiamento climatico catastrofico… C’è una tensione ineludibile tra i problemi urgenti della sicurezza energetica e dell’accessibilità economica, e la sfida a lungo termine del cambiamento climatico”, scrivono gli analisti di Wood Mackenzie.

Le politiche, gli investimenti e le strategie aziendali destinate ad affrontare la minaccia climatica hanno avuto finora solo un effetto marginale in termini di riduzione della domanda di combustibili fossili, che rappresentano ancora circa l’80% dell’energia primaria complessiva.

Se, da una parte, tutte le azioni finora messe in campo non sono riuscite a ridurre ancora sufficientemente la dipendenza dalle fonti fossili, dall’altra, hanno contribuito a limitarne comunque le forniture e a farne aumentare inavvertitamente i prezzi.

L’impennata dei prezzi dei combustibili fossili è una minaccia non solo per i consumatori e le economie dei paesi importatori di energia, ma anche per la stessa transizione energetica, se nel frattempo non si è abbastanza rapidi a sostituire le fonti fossili con altre prive di carbonio.

Gli alti costi dei carburanti e le carenze energetiche possono cioè alimentare una reazione contro le politiche climatiche, dicono gli analisti. Se i governi vogliono continuare a fare progressi nella riduzione delle emissioni, dovranno quindi riuscire a garantire contemporaneamente sia la sicurezza energetica che l’accessibilità economica.

Le cinque lezioni

Dalla sua analisi, Wood Mackenzie trae queste cinque “lezioni” che proviamo a riportare senza troppi commenti.

Lezione 1

Il mondo è ancora dipendente dai combustibili fossili, e la transizione energetica deve concentrarsi sulla riduzione della domanda piuttosto che dell’offerta. Ridurre l’offerta quando la domanda è ancora alta vuol dire darsi la zappa sui piedi.

“Per evitare di esacerbare il rischio di futuri picchi di prezzo, l’enfasi deve essere posta sulla riduzione della domanda, con l’offerta che segue man mano in modo che le fonti più costose e con maggiori emissioni non sono più necessarie”, dicono gli autori della nota.

Le tecnologie per ridurre la domanda di combustibili fossili variano da settore a settore. Secondo la loro visione nei trasporti sono i veicoli elettrici e i biocarburanti avanzati; nella generazione di energia, le energie rinnovabili, l’idrogeno e l’energia nucleare; per il riscaldamento, le pompe di calore.

Una transizione che si concentri sulla diffusione di queste tecnologie, il più velocemente possibile, eviterebbe ai consumatori del futuro il peso schiacciante dei costi energetici che molti stanno affrontando oggi.

Lezione 2

I legami tra i mercati energetici sono diventati più stretti, in particolare a causa della crescita di un mercato globale del gas naturale liquefatto (GNL), sviluppatosi solo negli ultimi 10 anni. Gli shock in un settore o in una regione si possono quindi trasmettere rapidamente verso un altro.

Quando l’anno scorso le economie sono emerse dalla pandemia e la domanda è aumentata, la riduzione delle esportazioni dai gasdotti russi ha contribuito a spingere i prezzi del gas in Europa a livelli record per le preoccupazioni sulla disponibilità durante l’inverno, trascinando anche i prezzi del GNL in Asia.

C’è quindi la necessità di una maggiore flessibilità sia della domanda che dell’offerta, per rendere il mercato più resiliente agli shock che più facilmente ora si propagano sui mercati internazionali.

Questo può significare una serie di misure, tra cui l’ampliamento delle fonti di approvvigionamento, a volte con contratti a lungo termine, un maggiore sfruttamento della capacità già esistente della infrastrutture di stoccaggio e importazione e la creazione di flessibilità nel mercato elettrico attraverso programmi di risposta alla domanda (demand response).

Lezione 3

I paesi consumatori devono mitigare il rischio geopolitico che la globalizzazione pone alla sicurezza energetica rafforzando la produzione interna.

Piuttosto che una “deglobalizzazione“, il rapporto chiede una “ri-globalizzazione“, lungo linee di approvvigionamento fra regioni più affini fra loro economicamente, politicamente e culturalmente.

“I legami tra alleati probabilmente si rafforzeranno, mentre quelli tra rivali o potenziali rivali si eroderanno. La Russia troverà ancora acquirenti per il suo petrolio e il suo gas, con la Cina e altre economie emergenti che probabilmente sostituiranno i clienti europei nel corso del tempo, man mano che i limiti delle infrastrutture lo permetteranno. I paesi europei compreranno più GNL dagli Stati Uniti e altrove e soddisferanno più della loro domanda di energia internamente con una maggiore produzione di gas naturale rinnovabile e idrogeno”, dicono gli autori della nota.

Non si deve rinunciare alla leggera ai benefici della globalizzazione, e i governi devono avere ben chiaro quali prodotti creano davvero vulnerabilità strategiche e quali no. Ma è assolutamente necessario fare di più per sostenere la diversità dell’offerta in settori chiave come la catena di approvvigionamento dei veicoli elettrici e delle batterie, fino alle miniere di minerali critici, avvertono i ricercatori.

Lezione 4

La resilienza e la sicurezza possono essere costose, ma vale la pena pagarne i costi come assicurazione contro volatilità estreme dei prezzi.

Quando le energie a basse emissioni di carbonio avranno soppiantato una quota maggiore di fonti fossili, i loro costi per i consumatori e quelli per il potenziamento della rete elettrica si alleggeriranno. Ma ci vorrà del tempo, dice la società di ricerca, secondo cui anche il nucleare potrebbe contribuire ad una soluzione, mantenendo gli impianti esistenti aperti il più a lungo possibile, anche se la questione della costruzione di nuovi impianti “solleva problemi di costi”.

Fino ad allora, l’unica vera risposta per aiutare le persone a rischio di povertà energetica è usare la politica fiscale e di spesa. I tagli alle tasse sull’energia possono essere politicamente inevitabili a volte, ma oscurano i segnali di prezzo che incoraggiano le persone a ridurre i consumi. Una soluzione migliore sarebbe quella di usare sconti forfettari per alleviare le difficoltà dei più bisognosi, secondo Wood Mackenzie.

Lezione 5

L’innovazione nelle nuove tecnologie è cruciale per la sicurezza energetica, così come per affrontare il cambiamento climatico, ha indicato la società nella nota da cui è tratto questo grafico sullo stato di sviluppo di alcune tecnologie.

“In definitiva, l’unico modo per raggiungere un sistema energetico largamente elettrificato basato su una generazione a zero emissioni di carbonio sarà attraverso i progressi della tecnologia”, dicono gli analisti. Fra le tecnologie che hanno mostrato progressi promettenti negli ultimi anni, Wood Mackenzie cita i piccoli reattori nucleari modulari, la geotermia avanzata, lo stoccaggio di energia a lunga durata, la combustione di ammoniaca o idrogeno e la cattura, l’uso e lo stoccaggio del carbonio (CCUS).

L’efficienza energetica può essere un modo importante per frenare la domanda e ridurre la vulnerabilità agli shock dei prezzi, ma solo se c’è una politica globale e segnali di prezzo abbastanza forti per sbloccarla.

Conclusioni

Questa crisi è un campanello d’allarme, che ha esposto debolezze dei sistemi energetici formatesi in molti anni. C’è ora un’opportunità per i settori pubblico e privato di lavorare insieme per correggere alcuni di questi difetti, dicono gli autori della nota.

I governi devono cercare di spostare la domanda lontano dai combustibili fossili piuttosto che cercare di frenare la loro offerta.

Gli ostacoli agli investimenti nell’energia a basso contenuto di carbonio dovrebbero essere rimossi il più possibile, semplificando le procedure autorizzative per accelerare lo sviluppo. Ma i governi devono anche attutire l’impatto della volatilità dei prezzi dei combustibili fossili durante la transizione.

Come i governi, anche gli investitori dovrebbero rivedere le loro strategie climatiche alla luce delle preoccupazioni sulla sicurezza energetica, facendo meno pressioni sulle aziende private dei paesi sviluppati affinché evitino di investire nei combustibili fossili. Non dovrebbero cioè soffocare necessariamente i flussi di capitali verso le fossili, ma puntare più convintamente sulle opportunità nelle tecnologie che assicurano basse emissioni e forniture energetiche affidabili.

Raggiungere emissioni nette zero al 2050 richiederà 60.000 miliardi di dollari di investimenti, ha calcolato Wood Mackenzie. Le tecnologie che offrono doppi benefici sia per il clima che per la sicurezza energetica presenteranno le maggiori opportunità. E con l’aumentare della pressione politica dovuta ai prezzi elevati, le aziende troveranno governi più disposti a lavorare insieme sulle politiche per sostenere tali investimenti, ha concluso la società di ricerche.

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